Gabriel Montesi, da Cassano a Bukowski con passione

Gabriel Montesi
Gabriel Montesi, fotografato da Roberta Krasnig per il 31esimo numero di "Fabrique du Cinéma".

Eclettico e intenso, Gabriel Montesi, classe ’92, è una delle promesse più promettenti del cinema italiano. Inizia da un piccolo teatro di Aprilia per entrare successivamente alla Scuola d’arte cinematografica Gianmaria Volontè: per lui il cinema è collettività, scambio e armonia tra anime diverse. Negli ultimi anni ha lavorato con registi del calibro di Fabio e Damiano D’Innocenzo e Matteo Rovere e lo abbiamo visto da poco nei panni di Antonio Cassano diretto da Luca Ribuoli. È una persona istintiva che preferisce «occuparsi del presente anziché preoccuparsi del futuro», perché è così che sono nati alcuni degli incontri che hanno segnato la sua carriera.

Ti avvicini al mondo della recitazione a meno di vent’anni. Nel 2019 termini il tuo percorso alla Volonté. Chi è oggi Gabriel Montesi?

Non lo so [ride], ancora non lo so. La ricerca di me stesso è stata la vera ragione per cui mi sono avvicinato alla recitazione. Avevo 19 anni, ero in quella fase della vita in cui non sai né chi sei né chi vuoi essere, io e un mio amico siamo andati ad Aprilia a seguire un corso di teatro dentro una ex fabbrica abbandonata, ci sembrava un’atmosfera divertente. In seguito mi sono avvicinato a Roma frequentando dei laboratori e nel 2016 sono entrato alla Volontè, ed è stata una delle più grandi opportunità che mi sia mai capitata. Grazie alle persone che ho conosciuto lì ho capito veramente l’importanza del gruppo e che il cinema è un’arte collettiva. In assoluto sono una persona che preferisce puntare a occuparsi del presente più che a preoccuparsi del futuro. Ho sempre vissuto l’oggi e ciò mi ha portato a fare begli incontri, ho messo da parte tante esperienze che ora mi stanno aiutando a costruire la mia persona.

Ti abbiamo visto lo scorso anno in Favolacce dei fratelli D’Innocenzo. Come ti sei trovato nei panni di Amelio?

È stato un viaggio bellissimo, a volte ancora mi manca quel set e le sue sensazioni. Ho incontrato i fratelli D’Innocenzo grazie al casting director Davide Zurolo che mi mise a fare la spalla durante i provini di Favolacce. Ho sentito da subito una forte intesa con Fabio e Damiano, legata forse anche al fatto che proveniamo tutti da un’infanzia vissuta in un piccolo paesino. Questo credo che ti regali una certa poetica e un preciso modo di vedere le cose, di recepirle e di ascoltarle. Amelio è stato un personaggio che mi ha posto molte domande sul concetto di famiglia. L’intero film racconta di persone che hanno l’obiettivo di raggiungere un desiderio di perfezione, una famiglia divinizzata. La figura di Amelio è un po’ il paradosso del film, il completo opposto del personaggio interpretato da Elio [Germano ndr]: è euforico, non sa bene come fare il padre e non sa come dare amore, quindi tratta il figlio Geremia più come se fosse un amico, un fratellino. Favolacce è un film che, oltre ad avermi fatto riflettere come attore, mi ha messo in discussione anche come spettatore, stravolgendo i miei concetti personali di vita e di morte, di buono e di cattivo.

In Romulus di Matteo Rovere eri il re Cnaeus. Cosa ti ha lasciato questo personaggio?

Cneaus è un re che si autoproclama all’interno di un gruppo, interpretarlo mi ha ricordato Il Signore delle mosche. Domina il branco per garantirsi una sopravvivenza più lunga. È un personaggio interessante e mi ha fatto molto piacere tornare a lavorare con Rovere che avevo già conosciuto precedentemente sul set de Il primo re. Di questa serie ho amato anche il fatto che il concetto di “branco” (in senso positivo) si è ricreato perfettamente anche all’interno del set, mi sono trovato circondato da persone meravigliose che mi hanno aiutato a costruire il mio personaggio e a sostenerlo. Ho legato moltissimo con Claudio Bellisario, un giovane attore formidabile conosciuto lì, e con Marco Cicalese, con cui invece avevo già condiviso tutto il percorso all’interno della Volontè.

Gabriel MontesiTi abbiamo rivisto su Sky in Speravo de morì prima, miniserie italiana diretta da Luca Ribuoli: che effetto ti ha fatto interpretare un mito del calcio come Antonio Cassano? 

Quando ho fatto il provino per Cassano mi sono presentato al casting con il suo taglio di capelli, per calarmi meglio nel personaggio. Ricordo che guardandomi allo specchio ho pensato: “Ao’, però ce prendo!”. Nonostante la somiglianza fisiognomica è stato impegnativo interpretare una personalità geniale e stravagante come quella di questo mito del calcio. Una delle sfide più grandi poi è stato il dialetto barese: per questo devo ringraziare infinitamente Francesco Zenzola, un attore fantastico senza il quale non sarei riuscito a fare nulla. Lui è di Bari e abbiamo fatto insieme un doppio lavoro: siamo arrivati prima a un barese più pulito e poi a uno con cadenza “spagnoleggiante” dovuta all’anno che Cassano ha passato in Spagna con il Real Madrid. È stata la prima volta che ho interpretato una persona reale e grazie a questo ho imparato che mi piace restituire e non imitare. Scegliendo alcuni gesti e alcune movenze è come se restituissi a Cassano una parte di sé e così facendo lo ringraziassi in modo vero e puro.

Sarai anche nella serie Christian, sempre per Sky, diretta da Stefano Lodovichi e Roberto “Saku” Cinardi. Vuoi parlarci della trama?

Christian, interpretato da Edoardo Pesce, vive alla periferia di Roma in un contesto di criminalità. Sopravvive “menando”, fino a quando non si ritrova con dei segni sulle mani, che scopre essere delle stimmate. La serie viaggia su questo contrasto, si costruisce sul limite tra il reale e i miracoli. Qui io interpreto Penna, un piccolo malvivente amico della compagnia di Christian. Lavorare con Edoardo è stato davvero formativo e divertente, è un grande. Personalmente non credo al “sovrannaturale” ma sono sicuro che esista un qualcosa che va oltre i nostri limiti, che superi i nostri pensieri. Mi piace spostare lo sguardo.

Sei considerato una delle giovani promesse del cinema italiano: come vedi il futuro di questo mondo? Un consiglio ai giovani che vorrebbero fare il tuo lavoro?

Se io so’ una promessa già siamo messi male! Non lo so, stiamo vivendo un presente in cui il futuro fa un po’ paura ma in ogni caso sono ottimista, e penso che ci sarà presto una grande rinascita. Comunque, spero in una reazione più che in una resistenza. A un giovane che si sta avviando in un percorso lavorativo come il mio dico di continuare, di non arrendersi mai e soprattutto di sentire la “fame” di questo mestiere. Per me recitare ormai non è neanche più una passione, è una sorta di bisogno fisico che mi fa star bene, una parte di me senza la quale non riesco nemmeno a immaginarmi. Non ci dobbiamo far fermare dalla situazione di distacco che stiamo vivendo, dobbiamo interagire con persone con la stessa passione, perché il cinema è collettività, è scambio, è armonia tra anime diverse.

Gabriel MontesiHai interpretato ruoli diversi, quasi sempre drammatici: quale di questi ti è rimasto particolarmente impresso?

Ogni ruolo ha lasciato in me qualcosa e non ne vorrei scegliere uno in particolare. Ho paura che dovendo prediligere un personaggio sugli altri mi lascerei troppo influenzare, mentre voglio sentirmi sempre libero e completamente adattabile. Se dovessi scegliere invece una personalità che vorrei interpretare e che mi piacerebbe studiare, è quella di Martin Luther King.

Se dopo di me potessi prendere un caffè con una persona per te importante, chi sceglieresti?

Mio fratello Gianmarco, per me lui è stato ed è tuttora un maestro, è una persona ribelle e coraggiosa che va dritto per la sua strada. Non ha paura di osare e per questo ha e avrà per sempre tutta la mia stima. Pensando a lui mi viene in mente una frase di Bukowski: «Godo nel minacciare il sole con una pistola ad acqua».

Fotografa: ROBERTA KRASNIG Assistenti fotografa: LAURA AURIZZI / ELISA MALLAMACI Stylist: CONSUELO MOCETTI per STEFANIA SCIORTINO STYLIST Trucco: ELEONORA DE FELICIS@HARUMI Capelli: GIADA UDOVISI@HARUMI Abiti: HUGO BOSS / LEVI’S / BOMBOOGIE / BERNA / ANERKJENDT