Il cinema di Gianni Amelio continua a Colpire al cuore

gianni amelio

Colpire al cuore è l’opera prima di Gianni Amelio, un film sul terrorismo, ma soprattutto un manifesto dell’incomunicabilità fra due generazioni a confronto: il dramma intimo sul rapporto tra un padre e un figlio negli anni di piombo. «Oltre ad essere diventato padre, la mia conquista più grande è fare questo lavoro con una serenità che prima non avevo!» eppure, il regista calabrese che ha fatto coming out nel 2014, aveva alle spalle già anni di gavetta in tv. Si libera però dell’ansia da prestazione solo dopo aver girato Porte Aperte (che gli dona la fama e una nomination agli Oscar), quando un macchinista gli dice che gli ricorda Mario Monicelli: questo gli permette di iniziare a lavorare accettando di poter sbagliare.

Sceneggiato con Vincenzo Cerami, Colpire al cuore è ambientato nella cupa e lattiginosa Milano dei primi anni Ottanta. Girato nel 1982 in appena otto settimane e con pochi mezzi, alla sua presentazione a Venezia ha diviso la critica tra chi parteggiava per il padre, chi per il figlio e chi l’ha accusato di fiancheggiare il terrorismo. Un’accusa ridicola per una lettura superficiale della pellicola e dei personaggi, entrambi vittime delle circostanze e delle ferite profonde che si portano addosso come una croce.

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Colpire al cuore è film controverso e audace, che offre un’inedita prospettiva capovolta: non sono i padri a controllare i figli, quella provocatoria gioventù bruciata che vorrebbe sovvertire l’ordine, ma l’esatto contrario. Gianni Amelio ribalta gli stereotipi patriarcali e racconta un padre rivoluzionario che collabora con un’organizzazione eversiva, fermato da un figlio schiacciato dal bisogno di ordine e di regole e, forse, anche un po’ di punire quel padre che sente distante. La storia è semplice e agghiacciante insieme, perché racconta un tradimento insanabile: un adolescente, Emilio (Fausto Rossi), che denuncia il padre (Jean-Louis Trintignant), quando scopre che sta aiutando la compagna (Laura Morante) di un brigatista, morto in uno scontro a fuoco.

Il gap tra padre e figlio, la distanza siderale che li divide è chiara fin dalle prime scene, la macchina da presa li segue con discrezione con un carrello all’indietro: Dario corre nel parco e fatica a stare accanto al figlio in bicicletta, i due non riescono a coordinarsi e a mantenere il passo. Sono una nota stonata, un meccanismo che si inceppa: qualcosa non funziona e lo si avverte dal primo istante. Emilio sembra incapace di avvicinarsi a suo padre o a chiunque altro; simbolo assoluto di voyerismo, si mantiene distante e osserva tutti dall’obiettivo di una macchina fotografica o dalla fessura tra i frammenti di una vetrata. Tutto è distorto, perché dal buco della serratura sembriamo tutti ladri, tutti assassini.

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Parafrasando uno dei dialoghi più famosi, Dario dice al figlio che lo sa che lui vorrebbe che gli dicesse cosa e bene o cosa è male, tutti vorrebbero qualcuno capace di semplificare in dicotomie nette la realtà, essere imboccati da certezze rassicuranti, ma padri perfetti così non ne esistono più e Emilio risponde: figli perfetti ancora meno. Ed è un po’ questa la chiave, il grumo dolorante dell’inadeguatezza di entrambi i personaggi in quelli che dovrebbero essere i loro ruoli naturali: si dice che un bambino impari cosa è la delusione quando cadono gli eroi, ovvero quando smette di idealizzare i genitori che crede onniscienti e infallibili e li scopre umani, imperfetti o peggio. Gli adulti la riscoprono quando capiscono di non poter convivere con la delusione di non potersi specchiare nel proprio figlio e infondo è un tradimento anche questo, forse il peggiore.

Gianni Amelio ha dichiarato spesso: «Non credevo che sarei sopravvissuto a questo film!» e invece è sopravvissuto a questa e a molte altre pellicole che hanno aperto porte e regalato tenerezze (qui la recensione di Fabrique du Cinéma). Di Gianni Amelio continueranno a sopravvivere il coraggio, il riscatto paterno, l’autenticità e la maestria. Ora più che mai è importante restare umani, e per ricordarcelo serve che sopravvivano le testimonianze, i film onesti e tutto quello che ci ha fatto innamorare nel buio della sala. Dopotutto, il cinema di Amelio ha il compito di colpire al cuore, lasciare un segno indelebile, altrimenti sarebbe una carezza e non farebbe così male.