Come pecore in mezzo ai lupi: anche in Italia l’action è donna

Come pecore in mezzo ai lupi
"Come pecore in mezzo ai lupi", esordio di Lyda Patitucci prodotto da Groenlandia con Rai Cinema; protagonisti Andrea Arcangeli e Isabella Ragonese.

Finalmente un’italiana con il bel vizio del cinema action: nel suo esordio Come pecore in mezzo ai lupi (in sala in questi giorni) Lyda Patitucci ha fatto studiare il serbo a Isabella Ragonese, poliziotta infiltrata in una pericolosa banda di slavi per sventare un grosso colpo.

Caso tragico, come partner in crime si ritroverà il fratello squattrinato, e solo fingere di non conoscersi potrà salvarli. Lui è Andrea Arcangeli, che per la regista ferrarese è dimagrito dopo Romulus come un piccolo Christian Bale. E tra loro una talentuosa attrice bambina. Mentre Tommaso Ragno impersona il loro padre sfuggente e fanatico religioso.

«Non tutto nella vita va esplicitato e formalizzato» per Lyda, poiché i suoi personaggi si presentano asciugati in un passato stilizzato. Il suo obiettivo è farci precipitare nel «senso del pericolo, della minaccia costante. Nessuno è mai al sicuro». Vera, il personaggio di Ragonese, fugge dalle relazioni, dal fratello in primis e usa la chiusura per rompere i rapporti. «Vera risulta sempre nascosta e compressa. Cerco di usare elementi esterni a lei per raccontarla. Suoni, riflessi della sua personalità in altri personaggi specchio». Così ha girato un crime oscuro, pieno di proiettili, pugni, inseguimenti e doppiogiochisti.

In Veloce come il vento, Smetto quando voglio – Masterclass, Il primo re, Il campione eri la seconda unità alla regia. Come cambia il lavoro quando diventi tu la regista?

Tra seconda unità e la mia regia c’è un cuscinetto di transizione di due serie tv che ho diretto, Curon e Vostro Onore. Ma la seconda unità è molto tecnica poiché ti allinea alla visione dei registi. Girando in contemporanea con stunt, effetti e scene complesse. La differenza vera è che si lavora meno con gli attori. Assorbe una quantità di tempo e risorse davvero enorme nella preparazione, sul set e in postproduzione. Con Matteo Rovere in Veloce come il vento ho eseguito tutta la parte delle corse in auto: mentre Matteo girava tutto il resto io giravo le ricostruite nel circuito. Nel Primo re invece ho pianificato e orchestrato le battaglie. Matteo seguiva Remo e io il resto. Poi in Smetto quando voglio abbiamo lavorato molto sull’assalto al treno, sugli inseguimenti e gli incidenti. Lì ho fatto un lavoro molto preciso di pre-visualizzazione: mentre Sydney Sibilia sviluppava la commedia con gli attori, io gestivo gli stunt. Nel Campione c’era invece tutto un altro lavoro: il regista Leonardo De Agostini aveva fatto tutta la programmazione delle scene di calcio, mentre io ho seguito allenamenti e partite. Nel mio lavoro mi sono ritrovata a gestire piloti e stuntman, quindi per me tecnicamente non c’è differenza nel coreografare una battaglia o una partita di calcio. Unisco sul set le competenze sul cinema con quelle sulla materia, perché la seconda unità dev’essere malleabile in funzione al lavoro del regista. Sia su film che su serie, le buone collaborazioni tra registi sono molto virtuose e vantaggiose. In Curon ad esempio ho diretto gli ultimi tre episodi e Fabio Mollo i primi quattro. Lui è molto più intimista e lavora sulla recitazione e gli attori, io giravo tanto in acqua e in montagna.

Come pecore in mezzo ai lupi
Andrea Arcangeli e Carolina Michelangeli.

L’intreccio di action e drammaturgia per te è una delle cose più importanti.

Sono i film che mi piace vedere. Mi piace che succedano le cose, che la gente si muova, lotti. Amo mettere in condizioni estreme i miei personaggi per tirarne fuori aspetti interessanti. Sono storie che non mi appartengono, perciò m’incuriosiscono di più.

Come pecore ci sussurra che l’emotività di una donna forse è un difetto nel mondo dei maschi.

Questa è la chiave di Vera, la protagonista. Il suo punto di vista. Ma nella realtà l’emotività non è mai un difetto. Al contrario, il più aperto alle emozioni è Bruno, il fratello. E in questo è lui a dare la lezione più positiva, che nell’incontro con l’altro ci può essere una speranza.

Sei stata definita una Kathryn Bigelow italiana, ma quali sono le registe e i registi che segui di più?

È molto difficile rispondere perché la quantità di registi che amo è infinita. Sulla parte femminile oltre la Bigelow, che è stata l’unico modello per generazioni di donne che volevano fare questo lavoro e non ci sono riuscite, c’è Jane Campion, ma quando ero piccola impazzivo per il fatto che Pet Sematary – Cimitero vivente, fosse diretto da una donna. Quello della regia è un percorso molto particolare, difficile e poco incasellabile dove tutto ti dice “fai qualcos’altro”, quindi se ti distrai un attimo, anche per vivere semplicemente, smetti di seguirlo questo mestiere. Secondo me è così che molte donne non sono diventate registe. Purtroppo siamo in un mondo maschio-centrico. Per fortuna che ultimamente son venute fuori anche registe ascrivibili a modi di fare cinema più estremi, come Julia Ducournau, che è molto vicina a Cronenberg.

Nel tuo cast hai una piccola attrice, Carolina Michelangeli. Il suo personaggio, senza spoilerare, affronta dei traumi emotivi fortissimi. Come avete lavorato con lei?

Abbiamo fatto un cast molto lungo partendo da un bacino di centinaia di persone. Carolina aveva esperienza sul set per un film di Laura Bispuri, ma Andrea Arcangeli, che doveva fare suo padre, è stato molto disponibile affiancandomi nei provini per verificare l’intesa tra bambina e adulto. Pensa che sul set aveva 8 anni e mezzo, come Marta. Carolina ha perfetta consapevolezza della finzione cinematografica, è stata molto rigorosa nel calarsi giocando col suo ruolo anche perché è abituata alla disciplina dalla ginnastica artistica. Ha un tratto caratteriale simile al suo personaggio, ma al contrario di Marta la sua famiglia la segue senza mai forzarla. Cosa importantissima per i bambini attori. È piccina e in parte fragile, ma è anche molto tosta. Nei suoi piani d’ascolto, ad esempio, ha la capacità di far capire allo spettatore la scena come solo i bravi interpreti sanno fare.

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