Accattone di Pier Paolo Pasolini, intellettuale corsaro

accattone

Pier Paolo Pasolini è stato un intellettuale corsaro, come i suoi scritti, e uno dei più grandi protagonisti del Novecento italiano. La sua vita ha destato scandalo, il mistero irrisolto del suo omicidio fa ancora discutere e la sua impronta sulla storia del cinema e della letteratura è indelebile.

Pasolini inizia a lavorare nel mondo del cinema nel 1954 come sceneggiatore per Soldati, Fellini e Bertolucci (per il suo esordio, La commare secca), che era anche il suo aiuto regista in Accattone. L’opera prima di Pasolini è stata costellata di problemi in fase di produzione e distribuzione: Accattone (1961) doveva essere prodotto da Federico Fellini che però si era tirato indietro all’ultimo momento, scontento del girato giornaliero, valutato come sgrammaticato, consigliando lapidario a Pasolini «torna a scrivere, è meglio».

La pellicola del regista friulano è una metafora di quella parte di Italia che vive nelle periferie delle grandi città, senza poter sperare di migliorare la propria condizione. La scelta di utilizzare soprattutto attori non-professionisti, nasce dalla convinzione di Pasolini che i ragazzi di vita non siano rappresentabili, poiché sono soggetti incontaminati e privi di sovrastrutture sociali.

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Accattone è il soprannome di Vittorio Cataldi (un iconico Franco Citti), un sottoproletario che tenta di sopravvivere nella periferia romana. Accattone vive di espedienti, lascia la moglie, tradisce gli amici, sfrutta una prostituta, ruba, si mette nei guai e perde la vita in un incidente. Pasolini ritrae in modo impietoso, ma per certi versi glorificante, una gioventù sola e disgraziata ma anche felice, in modo spudorato e incontenibile. Accattone è un film duro, come era dura la vita nelle periferie del mondo, ma è anche poetico, un inno all’amore per gli esseri umani fragili, corrotti e senza speranze.

Il costo approssimativo del film si aggira intorno al budget di una pellicola di serie B, circa cinquanta milioni. Presentato alla 26ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia – fuori concorso – il 31 agosto 1961, il film di Pasolini riceve critiche e aspre contestazioni. Memorabile la prima romana del film, al cinema Barberini, dove un gruppo di giovani neofascisti cerca di impedirne la proiezione, lanciando contro lo schermo bottiglie d’inchiostro e finocchi, per sbeffeggiare l’omosessualità di Pasolini. Il film riceve anche il blocco della censura, Accattone infatti è stato il primo film del cinema italiano ad essere vietato ai minori di 18 anni.

L’esordio di Pasolini viene spesso catalogato come uno dei film più importanti della storia del cinema italiano, ma è anche un simbolo di innovazione e di un nuovo tipo di autorialità. Il punto di forza della pellicola sta nel realismo della recitazione, Pasolini fotografa la realtà come nessun altro regista sa fare, anche se non è visionario come Fellini e non ha la padronanza tecnica del mezzo che caratterizza la regia di Antonioni. Mette in scena la vita vera così come è ed è questo che rende il suo cinema la perfetta metafora della realtà.

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La macchina da presa di Pasolini segue il protagonista lungo le strade polverose di un’estate romana bruciata dal sole, nella borgata, tra le baracche e le macerie, e lo fa con uno stile essenziale: pochi movimenti di macchina, numerosi primi piani, con quello stile un po’ agé da film muto. Con la splendida fotografia in bianco e nero di Tonino Delli Colli e il montaggio dal ritmo perfetto di Nino Baragli, che contribuiscono a una resa perfetta dei tempi e delle immagini.

Accattone con i suoi ladri e le sue prostitute, mostrando l’ultimo tra gli ultimi, strappa il cinema alle star di Hollywood e regala ai suoi ragazzi di vita un posto nell’immaginario comune del novecento. Pasolini porta sul grande schermo un cinema poetico che non si fa merce e non serve il potere, scomodo e sincero. Questo lo sapeva bene, di Accattone lui stesso diceva «non sarà nemmeno un film bello, non lo so; l’ho immaginato come un film angoloso, fuori delle regole, con la macchina da presa costantemente puntata sulle facce dei protagonisti. Sarà comunque un film sincero».

Er mondo è de chi cià li denti, ci ricorda il film, il cinema è di chi ha uno sguardo nuovo sulle cose e nessuna paura, come Pier Paolo Pasolini che non voleva compiacere nessuno, solo far sentire la sua voce.