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Tommaso Agnese

Francesca Monte, icona alt-pop da 15 milioni di streaming

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Francesca Monte è una cantautrice e musicista italiana classe 1987. Il suo è un talento indiscusso, la sua voce una meraviglia sonora che ha già conquistato molti traguardi: ha collaborato con il batterista di Jimi Hendrix, Buddy Miles, nel 2014 partecipa a The Voice of Italy e poi a X Factor Italia, i suoi brani hanno raggiunto più di 15 milioni di streaming. Francesca è una vera “alt-pop Icon”.

Francesca Monte is an Italian singer-songwriter, born in 1987. Her talent is undeniable, her voice an acoustic wonder. In her youthful career she has already achieved many goals. She has collaborated with Buddy Miles, Jimmy Hendrix’s drummer, and in 2014 she participated in “The Voice of Italy” and “X Factor Italia”. Her tracks have reached more than 12 million streams. Francesca is a true “Alt Pop Icon”.

Com’è nata la passione per la musica?

Sono nata in una famiglia di musicisti, mio padre suonava il basso, un Hofner degli anni ’60, mio zio era maestro di pianoforte al conservatorio e mia zia cantante lirica. Trascorrevo pomeriggi ad ascoltare mia nonna Margherita cantare le canzoni napoletane del grande Roberto Murolo. A 14 anni poi ho iniziato a comporre i primi brani al pianoforte e da subito ho capito che avevo un dono speciale.

Where did the passion for music rise from?

I was born in a family of musicians; my father played the bass in a band, a 60’s Hofner, my uncle a piano teacher at the conservatory and my aunt an opera singer. I would spend afternoons listening to nonna Margherita singing the Neapolitan songs of the great Roberto Murolo. At 14 years old then, I started composing my first pieces at the piano and I soon understood that I had a special gift.

Con la tua musica hai viaggiato per il mondo. Quali sono state le emozioni più grandi?

Il viaggio più importante è stato negli Stati Uniti, a Dallas. Avevo solo 17 anni quando ho avuto l’onore di duettare con il grande Buddy Miles, batterista di Jimi Hendrix e cantante di Carlos Santana. Buddy mi ha mostrato il dono dell’umiltà, aiutandomi a credere in me stessa: penso che il talento sia come una piantina, va coltivato e annaffiato giorno per giorno. Con il suo sorriso smagliante e avvolgete Buddy mi disse: “You have a powerful voice like Christina Aguilera”, non lo dimenticherò mai.

Music has taken you all around the world. What have you picked up, and which have been the greatest experiences? 

The most meaningful trip was in the United States, to Dallas. I was only 17 when I had the honour of singing two original duets with the great Buddy Miles, Jimi Hendrix’s drummer and vocalist with Carlos Santana. Buddy’s huge talent showed me the gift of humility, helping me to believe in myself. I think that talent is like a plant. It needs to be taken care of, and watered day by day. With his beaming, captivating smile, Buddy told me: “You have a powerful voice like Christina Aguilera.” That was unforgettable.

Francesca Monte nel video Alien
Francesca Monte nel video di “Alièn”.

Hai raggiunto il successo molto presto, ha cambiato la tua vita?

Ho fatto tanta gavetta suonando in giro per il mondo.  Mi sono esibita in Italia, in Europa, negli Emirati Arabi. Il grande successo è arrivato con la partecipazione a The Voice Of Italy e a X Factor Italia. Quel tipo di successo che si esaurisce in poco tempo se non hai i mezzi per continuare un percorso artistico che sia credibile e unico, lavorando con costanza e dedizione. Ho avuto e ho la fortuna di avere al mio fianco un team vincente. Da due anni collaboro con la label londinese Rotbaum Records e a oggi abbiamo totalizzato più di 15 milioni di ascolti in tutto il mondo, come artisti indipendenti. Il successo, se così si può chiamare, non mi ha cambiata, perché tutti i riconoscimenti che ho ricevuto sono frutto di anni di duro lavoro.

You’ve achieved success very early on. Has that changed your life, and in what way?

I have paid my dues busking around the world. I have performed in Italy, in Europe, in the United Arab Emirates. I achieved success with my participation in “The Voice of Italy” and in “X Factor Italia”. That type of success dwindles very quickly, unless you’ve got the means to keep up a novel and credible artistic career, consistently and with dedication. I’ve had the fortune of having a winning team. I’ve been collaborating with the London label “Rotbaum Records” and we have currently reached more than 15 million streams worldwide, as independent artists. Success, if you can call it such, hasn’t changed me, because all the recognition I’ve received is fruit of years of hard work.

Il tuo album Alièn si è trasformato in un cortometraggio: com’è stato avvicinarsi al cinema?

Alièn è un manifesto, una denuncia sociale, un sogno premonitore. Un bambino che è stato concepito in un tempo certo e partorito in un tempo incerto, durante la pandemia. Ho voluto fortemente che l’ep Alièn diventasse un cortometraggio per esprimere a 360 gradi tutte le mie personalità, le mie emozioni, le mie visioni. Prezioso è stato il contributo di designer emergenti di grande talento, italiani ed internazionali, e la collaborazione dell’Istituto Marangoni Londra: insieme hanno dato vita a creazioni uniche che ho indossato per il progetto. Girato tra l’Italia, valorizzando il territorio campano, e Londra, il corto è stato diretto dal regista Paolo Hanzo e presentato alla masterclass del Giffoni Experience.

Your album ‘Alièn’ has been turned into a short film. How was it to work closely with cinema?

 Alièn is a manifesto, a social condemnation, a prophetic/ominous dream. A child who was conceived in a time of certainty and born in a time of uncertainty, during the Covid-19 pandemic. I strongly wished for the EP “Alièn” to become a short movie so as to wholly express all my personality traits, my emotions, my views. The invaluable contribution of young, talented designers, both foreign and Italian, together with the contribution of Marangoni Institute in London, they gave rise to unique ideas that I took up in the project. Shot in Italy, making the most of the land of Campagna, and London, the short film was directed by Paolo Hanzo and presented at the masterclass of the Giffoni Experience.

Ci sono film che hanno ispirato la tua musica o la tua vita?

Musica e cinema sono un connubio perfetto. Sono sempre stata attenta in particolare alle colonne sonore dei film; i miei compositori preferiti sono il maestro Ennio Morricone con Il pianista sull’oceano e C’era una volta il West, Alexandre Desplat in Twilight e Harry Potter, Hans Zimmer in L’ultimo samurai e Inception. Adoro Carlo Verdone, un genio con mille sfaccettature. I film che mi hanno segnata sono vari: Titanic, Il grande Gatsby, La vera storia di David Gale, Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick, immenso.

Are there any films which have inspired your music or your life?

Music and Cinema are a perfect combination. I have always paid particular attention to movie soundtracks. My favourite composers: Maestro Ennio Morricone “The Legend of 1900”, “Once Upon a Time in the West”, Alexandre Desplat “Twilight”, “Harry Potter”, Hans Zimmer “The Last Samurai”, “Inception”. I love the actor and director Carlo Verdone, a multi-faceted genius. The films which left a mark in me are varied: “Titanic”, “The Great Gatsby”, “The Life of David Gale”, Stanley Kubrick’s “Eyes Wide Shut”, massive.

Traduzione a cura di David Scicluna for @successinenglish.eu

 

 

Lopez Del Espino, la scultura tra religione e innovazione

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Lopez Del Espino, classe 1985, è un giovane scultore spagnolo di fama internazionale che, fra l’altro, in Francia ha ottenuto la medaglia d’argento al merito delle Belle Arti. La sua arte ricca di soggetti religiosi prende le mosse dalla spiritualità della sua terra natia, l’Andalusia. Ad ispirarlo però è anche il cinema, al quale progetta di dedicarsi per ampliare le sue possibilità espressive.

Lopez Del Espino, born in 1985, is a young sculptor of international fame. His religious art is inspired by the spirituality of his homeland, Andalusia. Cinema inspires him as well and he would not mind being able to work with it, to broaden his expressive possibilities. He was awarded the Silver Medal of Merit in Fine Arts in Paris in 2016.

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla scultura?

Fin da bambino ho sempre avuto una certa inclinazione per l’arte. Mi piaceva disegnare e passavo le giornate a dipingere. A dodici anni fortunatamente ho scoperto la scultura e da quel momento il mio desiderio è stato esclusivamente quello di diventare uno scultore. Era un talento che sentivo innato dentro di me.

What prompted you to approach sculpture?

Since I was a child, I’ve always had a certain inclination towards art. I enjoyed drawing, I spent the day painting and, luckily, when I was twelve, I discovered sculpture. From that moment on, I focused all my desires on becoming a sculptor, and I found out that it’s a talent I was born with.

Lopez-Del-Espino-intervista

Trattare temi religiosi oggi potrebbe essere considerata una scelta anacronistica per un giovane artista, invece nel tuo stile c’è una grande innovazione che guarda al futuro. Da dove deriva il tuo interesse per la religione e le immagini religiose?

Lo devo al luogo dove sono nato, l’Andalusia, nel sud della Spagna, che ha radici religiose molto importanti. Ad esempio, la Semana Santa (Settimana Santa) qui è vissuta intensamente, ed io sono cresciuto in tutto questo. Se fossi nato in un’altra città la mia arte sarebbe stata probabilmente meno influenzata dalle immagini religiose e sarei uno scultore diverso. Oggi invece quello che faccio è contrapporre il mio background religioso e le altre correnti artistiche più avanguardistiche che ho conosciuto in seguito ai miei studi professionali.

Dealing with religious subjects, today could be considered an anachronistic choice for a young artist.  Instead, your style, comprises great innovation that looks to the future.  What is the basis of your interest in religion and religious images?

I owe this to my birthplace, Andalusia, in the south of Spain, because it has very important religious roots. For instance, the Semana Santa (Holy Week) here is lived deeply, and it’s something I feel connected to. If I had been born in another city, my art would probably be less influenced by religious images, and I might have become a civil sculptor. So my art is a juxtaposition of my religious background, I would say, and the other more avant-garde artistic currents that I studied professionally.

Le espressioni e i sentimenti che danno vita alle tue sculture sembrano voler raccontare qualcosa in più. Quanto è importante per te il realismo nella resa artistica?

Io sono uno scultore figurativo, tuttavia in alcuni lavori sono voluto andare oltre con l’anatomia e l’espressione. Alla fine, non importa quanta anatomia conosci e quanti libri hai studiato, il modo migliore per imparare e rappresentare un argomento è attraverso il lavoro dal vivo. Non mi piace l’arte tiepida e banale, quindi cerco sempre di appassionarmi a quello che faccio e a concentrarmi su ciò che sento con le mani mentre scolpisco. Voglio rappresentare l’essere umano nei suoi momenti più profondi, non si tratta solo di rappresentare l’anatomia di un corpo, ma anche l’anima della persona.

The expression, the feelings that make your sculptures come alive, want to tell something more.  How important is the realism of artistic rendering to you?

You can see through my work that I am a figurative sculptor. However, in certain works, I aimed to go further with anatomy and expression. At the end, no matter how much anatomy you know, and how many books you’ve studied, the best way you can learn and represent a subject is through a live model. I do not like lukewarmness in art, so I try to be passionate about what I do and what I feel through my hand when I am sculpting. I feel that I must represent the human being in its deepest moments – it is not only about representing anatomy but also, on many occasions, about capturing the essence of the person.

Lopez-Del-Espino-intervista

Che rapporto hai con il cinema? Ci sono film che hanno influenzato il tuo percorso?

Ci sono state cose che avrei voluto rappresentare, ma la scultura, come forma artistica, non è stata all’altezza, non me lo ha permesso. La musica e il cinema sono media che ti permettono di creare atmosfere e attimi che la scultura non può raffigurare. Mi dispiacerebbe poter intraprendere un’altra carriera artistica per poter dare libero sfogo a tutte le sensazioni che musica e cinema mi trasmettono. Per molti motivi, il mio film preferito e quello che mi ha influenzato di più è Il Padrino.

What does cinema mean to you? Are there any films that have influenced your path?

I have said, on many occasions, that there have been things that I wanted to represent, but sculpture fell short. Music and Cinema are media that would allow you to create the atmosphere and moments that sculpture cannot do. I would like to be able to develop another career apart from sculpture to be able to give free rein to all the feelings that music and cinema can open for me. In many ways, my favourite movie and the one that has influenced me the most is The Godfather.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa rappresenta per te l’Italia?

Quest’anno, dobbiamo consegnare circa sette diverse opere: una in Spagna, una nella Repubblica Dominicana, un’altra per il Messico. Anche l’anno prossimo saremo carichi lavoro: mostre a Madrid, Parigi e New York. Per quanto riguarda l’Italia, per me è la madre di tutte le ispirazioni, maestra e culla dell’arte. Passando per le sue strade, visitando le sue chiese, i suoi quartieri, gli angoli, le terrazze e i musei… è il paese più stimolante che conosco. Amo la sua storia, i suoi artisti sono il mio riferimento. L’Italia è il luogo dove mi sarebbe piaciuto nascere, dopo la Spagna.

What are your future projects? What does Italy represent for you?

This year, 2022, we have to deliver about seven different works of sculpture: a monument in Spain, in the Dominican Republic and another monument for Mexico. Next year we are also busy with a lot of work – we have exhibitions in Madrid, Paris and New York. Italy is a mother of inspiration, a teacher and the cradle of art.  Walking its streets, visiting its churches, its neighbourhoods, corners, terraces and museums… it’s the most inspiring country I know. I am a lover of its history, and its artists are my reference. For me, Italy is the place where I would have liked to be born, after Spain.

Traduzione a cura di David Scicluna for @successinenglish.eu

Instagram interviews: Giorgio Pasotti

Quando chiamiamo Giorgio Pasotti, bergamasco, la situazione per il picco di contagi da Coronavirus in città è nel momento peggiore: Giorgio è preoccupato per la famiglia e gli amici che vivono lì, e nel suo Instagram ha inserito un numero a cui poter fare una donazione per l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in prima linea nell’emergenza. Ma, come per le altre interviste di queste storie Instragram #TuttiacasaconFabrique, il nostro obiettivo è soprattutto quello di parlare di cinema con attori e registi, facendoci raccontare aneddoti ed episodi della loro carriera, proprio per guardare oltre a questo momento così difficile.

F: Giorgio, cominciamo con un paese importante per te: la Cina.

GP: Il mio rapporto con la Cina nasce parecchi anni fa. Sono partito il 12 dicembre del 1992, tre anni dopo la rivoluzione studentesca di Tienanmen. Era una Cina drasticamente diversa da quella di oggi. Io ho avuto la fortuna di poter pensare di fare un’esperienza unica e irripetibile, perché ho potuto vedere il processo di trasformazione di quelli che erano i confini con l’occidente. Prima di allora gli stessi studenti cinesi ai tempi avevano poco chiaro cosa ci fosse al di fuori dei loro confini.

F: Cosa studiavi?

GP: Medicina. Volevo diventare medico sportivo. Mio padre lavora nell’antiquariato, e casualmente era venuto a conoscenza di un’università a Pechino tra le migliori in Cina. Io avevo appena finito il servizio militare, era ottobre. All’epoca non ci si poteva più iscrivere all’università in quel periodo, così ho passato i due mesi successivi senza sapere con certezza cosa fare del mio futuro. Poi, sentendo di quest’università, decisi di fare la valigia e partire.

F: Ci vuole molto coraggio (o follia).

GP: Avevo diciannove anni, a quell’età non ci si rende davvero conto di quello che si fa.

F: Parli cinese?

GP: Si, anche se non lo parlo più bene come prima. L’ho imparato lì, perché non sono partito conoscendolo prima. La Cina all’epoca ti accoglieva in uno scenario completamente diverso. Non c’era nessuna scritta in inglese, e nessuno, o quasi, parlava inglese. Arrivo all’università faccio l’esame d’ammissione, e mi dicono che posso rimanere. La stanza in cui alloggiavo era di circa due metri per quattro, e la condividevo con un ragazzo del Gabon. Avevamo solo una brandina e uno scrittoio a testa distanti un metro l’uno dall’altro.

F: Quindi l’arrivo non è stato dei più positivi.

GP: È stato abbastanza scioccante. Non era certo una prigionia, ma il regolamento comunista all’epoca era molto restrittivo. Ci si alzava alle 5.30 del mattino, alle 6 c’era l’ora di educazione fisica nazional-popolare. Chiunque doveva mettersi in fila e l’istruttore dava gli esercizi ad ogni singola persona. Il jet-lag non aiutava, e anche se mi svegliavo estremamente presto trovavo già alle 5 persone che facevano attività.

F: Quand’è che hai scoperto la tua passione per la recitazione? Lì in Cina?

GP: Non ho mai sognato di fare l’attore, non ho mai avuto una formazione recitativa classica. Mentre ero in Cina coltivavo parallelamente allo studio la mia passione per le arti marziali, e un giorno venne una produttrice di Hong Kong che cercava un ragazzo occidentale da scritturare per una produzione locale. Il primo film a cui ho partecipato si chiamava Treasure Hunt, con protagonista Chow Yun-Fat. Io interpretavo un ragazzo di origine americana cresciuto dai monaci shaolin. Ottenni la parte solo perché non c’erano altri attori occidentali disponibili. Non volevo assolutamente fare l’attore, ma ho pensato anche che partecipare in una produzione cinese sarebbe stata un’esperienza che non sarebbe più ricapitata. Per farla breve, il film esce e ha un grande successo, e in seguito mi chiamano per fare un secondo film, poi un terzo e un quarto.

F: Erano film sulle arti marziali?

GP: Tutti sulle arti marziali. Non dovevo recitare ma solo tirare calci. Facevo una cosa che sapevo fare ma in uno spazio diverso. Vado ad Hong Kong per l’anteprima del film e scopro di aver raggiunto una certa notorietà in quanto unico occidentale. Capitava anche che girando per le strade di Hong Kong qualcuno ogni tanto mi fermasse e mi chiedesse l’autografo.

F: Lasciando da parte la Cina, qual è il personaggio che hai interpretato che ti è rimasto più dentro?

GP: Ce ne sono parecchi, ma sono molto legato al primo film che ho fatto. È un film di Daniele Luchetti ed è I piccoli maestri, tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Meneghello. Racconta la storia di un gruppo di ragazzi universitari durante la seconda guerra mondiale che abbandonano gli studi a Padova per abbracciare la resistenza. Quando sono tornato in Italia non ero ancora certo di voler fare l’attore, ma erano usciti degli articoli su di me e sulla mia carriera cinematografica in Cina. Non so come queste notizie arrivarono all’orecchio di Daniele Luchetti, non gliel’ho mai chiesto, ma disse che stavano cercando dei ragazzi per fare il suo film. Il fratello più grande di mio padre morì partigiano a 16 anni proprio sulla linea gotica, e dunque sono cresciuto con questa storia che i miei parenti mi raccontavano. La storia del film era molto simile, e quindi io sono andato a fare il provino quasi come per ripagare ciò che questo zio che non ho mai conosciuto aveva fatto. Daniele mi offrì subito il ruolo da protagonista, perché per lui gli attori erano “quelli che con una valigia o uno zaino facevano il giro del mondo e poi tornavano”.

F: Nella tua carriera hai lavorato con molti grandi registi, tra cui Monicelli. Puoi raccontarci qualche aneddoto?

GP: Di Monicelli ne posso raccontare parecchi, lavorare con lui è stata una grandissima esperienza soprattutto a livello umano oltre che professionale. È uno degli uomini più intelligenti che abbia mai incontrato. Durante le riprese de Le rose del deserto abbiamo lavorato tre mesi in Tunisia, e ogni tanto arrivavano delle forti tempeste di vento. Non si poteva fare molto, l’opzione migliore era ripararsi dietro qualcosa e aspettare che la tempesta passasse. Durante una di queste tempeste sento gridare “Mario! Mario!”. Io mi affaccio da dietro il carro armato che faceva parte del set e vedo nella polvere Monicelli con un elmo in testa da seconda guerra mondiale e un cappotto di tre taglie più grande di lui che avanzava per inerzia. Io tra me e me pensavo “ma dove va quest’uomo? Ma come fa?”.

F: E sul lavoro com’era?

GP: Aveva le sue simpatie e le sue antipatie. Aveva un rapporto esclusivo con Alessandro Haber in cui gliene diceva di tutti i colori, ma era una cosa che si era sviluppata negli anni. A me no invece; a me ha sempre voluto bene, rispettato e stimato. Diceva della nostra generazione di attori che “tu e la tua generazione prendete questo lavoro troppo sul serio; non ridete mai”.

F: Opinioni su Muccino e Sorrentino?

GP: Gabriele Muccino lo conosco da sempre. È un rapporto di amicizia e stima che ci unisce da anni. La prima volta che lo vidi era in un ufficio, stava realizzando la sua opera prima Ecco fatto. Ero lì per un provino, vidi Gabriele entrare con i roller blade e pensai subito che fosse una persona poco seria. Invece poi ne ho scoperto il talento e penso che l’abbia anche ampiamente dimostrato.

F: E Sorrentino?

GP: Sorrentino lo considero il più grande talento che oggi abbiamo in Italia. È una persona a cui bastano pochi fotogrammi per far riconoscere il suo stile, il suo gusto musicale. È vero che è accompagnato da professionisti come Lillo Macchitelli, che lo consiglia, ma è anche un meraviglioso DJ. Io sono un fan di tutto quello che Sorrentino ha fatto, non ultimo il lavoro su Young Pope che trovo una delle serie più belle degli ultimi anni.

F: Che tipo di film ti piace raccontare? So che il tuo secondo film come regista è in uscita, quando sarà possibile…

GP: Sono un grande appassionato del cinema scandinavo. Questa mia seconda regia è il remake proprio di un film danese dal titolo Le mele di Adamo, un film del 2005 di cui mi innamorai perdutamente. Mi rimase quest’ironia intelligente e attuale, forse più attuale ora rispetto a quando il film uscì. Questi film riescono a raccontare la vita senza accontentare nessuno, ma semplicemente raccontandola per quello che è, nella sua ferocia, a volte nella sua tristezza e a volte nella gioia che ti porta.

(ringraziamo per la collaborazione Giovanni Ardizzone)

 

Cinema e web: una lunga storia d’amore

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Sono diversi anni che assistiamo alle trasposizioni cinematografiche di fenomeni del web. Sono anni che vediamo produzioni e distribuzioni investire milioni di euro per lanciare i famosi youtubers nel mondo del cinema. E sono anni che assistiamo al fallimento di queste operazioni. Perché l’industria cinematografica si muove in questa direzione? Forse il problema è sempre lo stesso. In Italia non esiste una vera industria cinematografica e per questo numeri, statistiche e risultati non creano un precedente. Ogni produttore e distributore è convinto della genialità della propria operazione, di aver trovato la gallina dalle uova d’oro, il Checco Zalone del web. Tanto alla fine si sa che i dati nel nostro Paese non sono poi così importanti. Come in televisione, anche nel cinema spesso e volentieri si sottolineano solo i grandi successi, e non i grandi flop. Ma l’analisi degli insuccessi in un’industria è fondamentale, perché permette di correggere il tiro, di migliorarsi e andare nella giusta direzione.

Dietro al discorso che andiamo a fare, c’è quindi un approfondimento più generale del fenomeno: non si tratta di singoli film, della critica all’uno o all’altro, ma dell’analisi di un linguaggio.

immagine da Game Therapy
“Game Therapy”

Il primo postulato fondamentale è che il linguaggio del web non è un linguaggio cinematografico. Forse negli anni a venire potrà diventare l’ottava forma d’arte dopo il cinema, ma sicuramente le leggi che lo governano sono completamente differenti da quelle che regolano la settima arte. Il cinema è una forma d’arte dove la visione è dilatata, l’attenzione ai dettagli è costante, il suono, i colori, la recitazione sono elementi che non possono passare in secondo piano. Ma soprattutto il linguaggio narrativo e la sua struttura seguono schemi e regole ben precise, e anche le eccezioni rientrano tutte nel paradigma di una STORIA da raccontare, compiuta (parliamo di un cinema apprezzato dalla critica e dal pubblico).

Il linguaggio del web e la sua fruizione è molto diverso. Tutto si abbassa di vari livelli, tutto è concentrato, spremuto, segmentato. La comicità, il nonsense, l’irrazionale, la burla, la parodia, divampano. Viviamo in una società dove l’uso dei social e degli smartphone si è espanso a dismisura, ogni individuo fruisce di contenuti web a qualsiasi ora della propria giornata, siamo costantemente bombardati da video, fotografie, immagini. In questo bombardamento rientrano anche le webserie, gli youtuber, gli sketch e le gag degli artisti 2.0. Queste piccole opere devono essere capaci di strappare un sorriso, un interesse, in pochi minuti. E in pochi minuti possono ottenere migliaia di visualizzazioni. Non è importante la qualità tecnica, non è importante il livello di recitazione degli interpreti, la cosa importante è che l’amalgama del tutto porti al risultato prefissato, che può andare dalla semplice risata alla vendita di un prodotto.

Questi due elementi vendita e contenuto si fondono spesso palesemente, perché così funziona il web. È un grande mercato che ti entra dentro casa. È un contenuto gratuito, fruito quasi sempre attraverso lo smartphone (anche questo un mezzo compresso, non un cinemascope con il dolby sorround!). E se un prodotto ha successo può raggiungere milioni di persone, un pubblico grande come quello del prime time televisivo, e superarlo. E dunque ha un potenziale di visibilità decisamente più alto di quello cinematografico. Anche perché essendo un contenuto gratuito e condivisibile, gli utenti possono postarlo sulle proprie pagine suggerirlo sotto forma di link, e fare un passa parola mediatico senza paragoni. Tutto questo e molto altro è il mondo del web. Ha le sue regole, il suo funzionamento, il suo linguaggio espressivo. Ed è impossibile da trasferire sul grande schermo.

Sempre meglio che lavorare dei The Pills
“Sempre meglio che lavorare”

Se si vuole ottenere un simile successo commerciale al cinema, ci si aspetta che una storia mantenga ritmo e intensità dall’inizio alla fine, che faccia ridere se si tratta di una commedia, o che colpisca le emozioni più profonde se si tratta di un dramma, e via dicendo. Tutto si dilata e il pubblico che paga un biglietto, che spende dieci euro e dedica 90 e passa minuti della propria vita solo ed esclusivamente alla fruizione di un’opera si aspetta qualcosa in cambio. Si aspetta di identificarsi in ciò che vede e di provare emozioni.

Perché questo è il cinema. Una forma d’arte il cui successo è sempre più determinato da una storia che funzioni, da un’interpretazione credibile e da un coinvolgente impatto visivo. I milioni di persone che visualizzano un contenuto sul proprio smartphone in forma gratuita non si muoveranno mai in massa per vedere lo stesso contenuto a pagamento e in un arco temporale più lungo e all’interno di un luogo/spazio predefinito. È come se si decidesse di esporre le fotografie più visualizzate su Instagram in un museo, pensando che i milioni di persone che le hanno visualizzate accorrerebbero in massa. Non è così, perché il pubblico del web concede al contenuto un’attenzione disinteressata, veloce, rapida, spesso disattenta.

Ma soprattutto è il contenuto che entra nella vita dello “spettatore”, non è lo spettatore che si muove verso il contenuto (e quindi prende l’automobile o i mezzi pubblici e va al cinema). Oltretutto i contenuti audiovisivi presenti sul web in Italia hanno per la maggior parte un livello culturale inferiore rispetto ad altre opere artistiche. Questo perché si aprono a un pubblico più vasto e con un livello culturale basso (sosteneva Umberto Eco che «Internet è la patria degli scemi del villaggio»), ma allo stesso tempo ha un enorme potenziale, quello di permettere a un pubblico non acculturato di avvicinarsi in piccole dosi alla cultura. Sempre che si voglia seguire questa strada.

Dunque perché produzioni e distribuzioni spendono milioni di euro nella trasposizione cinematografica dei fenomeni del web? Forse solo per azzardo. In un futuro dove il cinema sarà dominato dai grandi blockbuster internazionali e il pubblico è destinato ad assottigliarsi a favore di quello del video on demand, forse l’investimento più azzeccato sarebbe quello di entrare a spada tratta nella produzione di contenuti di qualità direttamente sul web in maniera sempre maggiore, come stanno facendo molti colossi internazionali (da Amazon a Netflix) e collegare la produzione web alla pay per view.

Immagine da Si muore tutti democristiani
“Si muore tutti democristiani”

Oppure ripartire da produzioni intelligenti e originali (come il successo di Perfetti sconosciuti) creandoci attorno una vera industria cinematografica. I dati parlando da soli, a partire dal film dei The Pills Sempre meglio che lavorare, passando per Game Therapy e Addio fottuti musi verdi, i film delle star del web hanno riscosso una sequela di critiche e flop al box office. Per provare ad avere successo anche nel cinema bisognerebbe ripartire da zero, annullare quello che si è fatto sul web, e adattarsi al linguaggio cinematografico. Vedremo se i prossimi Social Dream e Si muore tutti democristiani (che peraltro ha ricevuto buone critiche al Festival di Roma, per la capacità di allontanarsi dagli sketch proposti sul web e proporre un film “vero”), riusciranno ad adeguarsi alle leggi del grande schermo.

Una cosa è certa, per non rischiare di bruciare questi promettenti talenti le grandi produzioni dovrebbero accompagnarli nella trasformazione verso il linguaggio filmico fornendo loro lo strumento principe della narrazione cinematografica, lo sceneggiatore professionista, figura a volte bistrattata in Italia, ma che risulta fondamentale per questo genere di operazioni. L’unico, con la sua esperienza, capace di creare una struttura di genere forte e compiuta, mutando la comicità del web in storie dal ritmo, tempo e respiro cinematografico.

* L’opinione di Tommaso Agnese – Regista, scrittore e produttore creativo

Elogio della follia

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Il presupposto per essere giovani registi e vivere nel nostro paese è senza dubbio la follia. Ci vuole una sana dose di pazzia oltre a un carattere d’acciaio per cercare di emergere nel panorama cinematografico italiano.

Bisogna fare i conti con l’assenza di contributi a sostegno delle nuove generazioni, la scarsità di vere scuole di formazione (a parte rari casi) e il poco credito che il sistema Italia dà ai giovani volenterosi. La base da cui si parte è un nulla galleggiante che può essere solo riempito piano piano dei propri sforzi, della propria curiosità, dell’altruismo delle poche persone che credono fermamente nei giovani.

È un percorso faticoso e intricato, dove senza dubbio vince l’idea originale, perché per essere registi in Italia bisogna diventare anche autori: è necessario farsi conoscere attraverso le proprie intuizioni, perché da noi non esiste una separazione professionale netta come nelle cinematografie straniere più prolifiche, che slegano il percorso del director da quello dello screenwriter. Bisogna adattarsi, e così l’arte dell’arrangiarsi è diventata imprescindibile per chi fa cinema; oltre al talento la forza di volontà è essenziale.

In tutto questo non mancano tuttavia i sogni e la speranza, non bisogna scoraggiarsi, anzi occorre aggregarsi, lavorare insieme e lottare nel perseguire i propri desideri cinematografici, anche se tutto ciò si scontra con il muro del potere, ossia di chi può concretamente dare una possibilità a un giovane autore: le produzioni, le distribuzioni, i festival. Entità troppo spesso ancorate a vecchi principi che avrebbero bisogno di una boccata di aria pulita per una cura generazionale indispensabile.

Non è facile, ma è possibile e il low budget è una strada. Dimostrare che con le nuove tecnologie e l’abbassamento dei costi di realizzazione ciò che si faceva prima con tanto si può fare ora con poco e bene, confezionando prodotti di ottima qualità: questa pare essere l’unica sfida che oggi i giovani possono lanciare al sistema scricchiolante e ossessivo del cinema italiano. Dimostrare di saper essere competitivi.

E così Fabrique, in collaborazione con l’agenzia Sosia&Pistoia, vuole anticipare i tempi e presentare quelli che per noi sono dei talenti in erba pronti a mettersi in gioco, registi giovani, anzi giovanissimi che perseguono il nostro stesso sogno.

 

• GIUSEPPE STASI (28 anni) e GIANCARLO FONTANA (29 anni)

Lavori

Film Amore oggi (con Sky, 2014), in tv con Neripoppins (2013) e Un due tre stella (2012), e Italstellar parodia virale di Interstellar di Nolan

Premi

Premio Satira Politica a Forte dei Marmi 2012, Pescara Web Fest premio alla carriera 2012, Premio Walter Schepis per la comunicazione 2011

Film preferito

  1. 8 e 1/2. Oltre ad avermi fatto capire come un regista dovrebbe muovere la macchina da presa, mi ha insegnato che «la felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno».
  2. Memento di Christopher Nolan, perché riesce a rendere accattivante una storia per certi versi scontata con un montaggio destrutturato impossibile da dimenticare. Perché forse alla fine non importa tanto ciò che dici, ma come lo dici.

Buoni propositi per il futuro

Con il nostro gruppo Inception stiamo lavorando su molti fronti: spot, web serie, serie tv e anche un nuovo lungometraggio. Insomma, non ci facciamo mancare nulla. L’importante è cominciare un nuovo progetto come se fosse il primo, con molta umiltà e mettendoci tutto l’impegno possibile.

• LUDOVICO DI MARTINO  (22 anni)

Lavori

Roles, webserie

Premi

Web Award al Roma Fiction Fest (2013) e Premio del Pubblico al Roma Creative Contest

Film preferito

Impazzisco quando vedo Il petroliere di Paul Thomas Anderson, ma anche L’imbalsamatore di Matteo Garrone, Irreversible di Gaspar Noé. Mi piace il cinema viscerale, quello che parte dallo stomaco di chi lo fa.

Buoni propositi per il futuro

Sto preparando un film e mi piacerebbe realizzare una serie che ho in mente da un po’… Ma nel futuro mi piace vederci ogni cosa.

 

• ANDREA LANFREDI (31 anni) e NICOLA PAROLINI (34 anni)

Lavori

La Bouillabaisse, cortometraggio

Premi

Miglior Film 2013 e Miglior Fotografia all’edizione italiana del 48 Hour Film Project edizione, e premio Miglior Regia alla finale mondiale di New Orleans, dove il corto rappresentava l’Italia tra 107 paesi, classificandosi secondo assoluto e guadagnandosi l’accesso a Cannes 2014 nel corner court metrage (fuori concorso). Filmapalooza 2014-Best Directing, Best Film First Runner Up.

Film preferito

  1. Romeo+Juliet di Baz Luhrmann. Che altro aggiungere? Lui è un genio, è riuscito a rendere attuale un capolavoro di Shakespeare con freschezza, stile e originalità. È un maestro, in tutto.
  2.  Inception, per la preparazione durata 10 anni. Nolan gia sapeva come doveva essere e ha avuto la pazienza di attendere, e poi aggiungo Matrix per ragioni che vanno al di là del cinema…

Buoni propositi per il futuro

Stiamo lavorando a varie cose, in particolare speriamo parta a breve Bouillabaisse – La serie e un altro cortometraggio “favolisticamente” scorretto intitolato Morale della favola.

 

di: Tommaso Agnese

foto: Francesca Fago

hair & make up: Ilaria Montagna

 

Grazie a:

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