Paradise, la commedia “stranita” di Davide Del Degan

Paradise

A quattro anni di distanza dal documentario presentato fuori concorso al Festival di Cannes diretto insieme a Thanos Anastopoulos L’ultima spiaggia, ritratto complessivamente poco riuscito di alcuni degli abituali frequentatori dello stabilimento balneare triestino di Pedoci, Davide Del Degan esordisce nel lungometraggio di finzione con un’opera prima per diversi aspetti atipica, presentata allo scorso Torino Film Festival e giunta adesso in sala. Una “commedia stranita”, come ama definirla il regista di Trieste classe 1968, in cui gli aspetti ironici e leggeri tendono con il passare dei minuti a lasciare il passo a toni più intimisti.

Calogero (Vincenzo Nemolato) è un venditore di granite siciliano che, dopo aver assistito a un omicidio di mafia, prende la sofferta decisione di divenire testimone di giustizia, ritrovandosi così trasferito attraverso il programma protezione testimoni in un paesino tra le montagne friulane. A Sauris, questo il nome della località, è solo e cerca con fatica di integrarsi in un contesto sociale molto lontano da quello di provenienza, nella speranza che la moglie incinta lo riesca a raggiungere il prima possibile dopo il parto. Ben presto, però, nel piccolo paese composto da poche centinaia di abitanti Calogero viene raggiunto dall’autore dell’omicidio di cui è stato testimone (Giovanni Calcagno) e la sua vita sarà destinata a cambiare ulteriormente in modo imprevedibile. 

Sceneggiato da Andrea Magnani, regista e sceneggiatore di Easy (2017), il film ha il pregio di provare a seguire una strada differente, più inventiva  rispetto a quella cui siamo solitamente abituati, nel raccontare il dramma di chi vede all’improvviso la propria vita sconvolta dalla mafia. Per quanto dal punto di vista visivo sia ben confezionato e possa contare sulle apprezzabili interpretazioni dei protagonisti Nemolato e Calacagno (tra i due sullo schermo si costituisce una discreta alchimia), Paradise però si muove con incertezza e poca naturalezza tra i toni della commedia, del thriller e del dramma, finendo per non riuscire mai davvero a divertire lo spettatore, né tanto meno a farlo riflettere su temi di una certa importanza quali lo spaesamento, la solitudine, la necessità di cambiamento e il senso di colpa. Un po’ come accadeva nel già citato documentario L’ultima spiaggia, l’idea di partenza è buona e sulla carta stimolante ma lo sviluppo deludente. Davvero un peccato.