Teatro di guerra

Un momento delle prove dello spettacolo "La guerra grande".

“La Guerra Grande. Storie di gente comune” è il titolo dello spettacolo diretto dal giovane Roberto Di Maio e prodotto dall’editore Laterza, in prima nazionale sabato 23 (ore 21) e domenica 24 maggio (ore 18) al Teatro India. Storie narrate e racconti vissuti nelle migliaia di lettere che per la prima volta viaggiano massicciamente da e per le città del fronte bellico durante le date delle battaglie più tragiche.

Per Fabrique abbiamo intervistato il regista Roberto Di Maio e la produttrice esecutiva Margherita Laterza.

Roberto, è una grande responsabilità tramandare un evento tanto radicato nelle nostra memoria nazionale come il primo conflitto mondiale. Cosa c’è di innovativo nel vostro spettacolo tra le varie commemorazioni che vengono proposte in questo centenario?

R.D.M.: La responsabilità più grande è legata al fatto che purtroppo questo evento è quasi completamente scomparso dalla nostra memoria personale. È rimasto un “monolite” della memoria nazione purtroppo per niente conosciuto. Studiamo qualcosa alle scuole, dimenticandocene poco dopo. E quello che studiamo è purtroppo un elenco di luoghi, eventi e date. Qui si parla di persone, di storie di gente comune appunto. Di chi la guerra l’ha fatta, di chi l’ha subita, di chi l’ha scelta e di chi l’ha ripudiata. Per cui la vera responsabilità che sento non è nei confronti della guerra, bensì della dignità degli esseri umani che “porto in scena”. Non so quali commemorazioni ci verranno proposte in questo centenario, per cui non saprei fare un confronto. Che onestamente mi interessa anche poco. La prima domanda che mi sono fatto, quando Giuseppe Laterza mi ha chiesto di presentare questo progetto, è stata: come faccio a ridurre il tempo che ci divide dalla prima guerra mondiale? La risposta che mi sono dato è ricercare il giusto equilibrio tra il presente e passato, cercando un linguaggio contemporaneo, rimanendo però fedele all’epoca originale.

In che modo i linguaggi si commistionano nella tua opera? E come credi che vengano recepiti soprattutto dai giovani fruitori?

R.D.M.: Ho cercato, insieme a tutti i miei collaboratori, di far convivere i due “secoli” diversi in ogni aspetto della messa in scena. Partendo dal testo (di Paolo Di Maio), che con una struttura cinematograficamente intrecciata porta in scena le reali caratteristiche dell’epoca. Facendo vivere le immagini originali dell’Istituto Luce con il video-mapping (di Federico Spaziani). Interagendo con musiche elettroniche (di Claudio Cotugno – ATO), che nascono da uno studio delle canzoni, registrazioni e sonorità tipiche della Grande Guerra. Creando una cornice dal forte impatto visivo, con le scenografie (di Luca Stadirani), le luci (di Paride Donatelli) e i costumi (di Giulia Camoglio). Tutto questo penso che riesca ad avvicinare a un evento così distante dal nostro quotidiano un pubblico giovane e non solo.

Nel cast troviamo Stefano Fresi, Piero Cardano, Giulio Cristini, Beatrice Fedi, Lucrezia Guidone, Diego Sepe, Rosario Petix. Come hai scelto i tuoi attori?

 R.D.M.:  La mia formazione attoriale mi porta a porre al centro di tutto gli attori e le loro interpretazioni, vera parte viva del teatro. Ho la fortuna di lavorare con cast eccezionale. Attori bravissimi, con cui immergermi in una collaborativa e creativa ricerca. Il loro altissimo livello e la loro totale dedizione al lavoro sono stati determinanti nella scelta del gruppo.

Stefano Fresi.

Margherita, la casa editrice Laterza produce il suo primo spettacolo teatrale, liberamente tratto dall’omonimo libro di Antonio Gibelli. Cosa ha portato a una così audace scelta produttiva?

 M.L.: L’idea di trasformare il libro di Gibelli in uno spettacolo teatrale viene dall’esigenza di cambiare il punto di vista sulla prima guerra mondiale, nel momento del suo centenario. Gibelli raccoglie lettere per il fronte e dal fronte: attraverso le parole di soldati, mogli rimaste a casa, crocerossine, uomini di chiesa capiamo come la guerra non è solo un gioco tra grandi potenze né un mostro lontano di cui possiamo dimenticarci; oggi come allora la guerra è qualcosa che ci riguarda tutti, da vicino. In questi anni c’è stato un fenomeno sorprendente, quello dei festival e delle lezioni di storia. Contrariamente agli indici di lettura, che sono andati calando, quelli di queste manifestazioni pubbliche sono cresciuti. La scelta di entrare nel campo teatrale come produttori nasce dalla constatazione che le persone hanno voglia di “vivere” la cultura e di viverla in comune, in comunità… Quale strumento migliore del teatro per creare comunità attorno a un evento culturale? Il teatro ha il potere di produrre conoscenza tramite le emozioni e, al contrario di quanto avviene con un libro o col cinema, sono emozioni al tempo stesso collettive e irripetibili. Un mediatore culturale, oggi, deve avere il coraggio di rinnovarsi e di andare incontro a esigenze che mutano. I libri esisteranno sempre, ma il teatro potrebbe essere il luogo dove una comunità si forma facendo esperienza collettiva dei propri libri. E io, che del teatro vorrei fare la mia vita, non posso che esserne contenta.

Lasciaci con un’impressione, visione, o parola che simboleggi la tuaGuerra Grande”.

 M.L.: “La Guerra Grande”, per me, è il miracolo dell’umanità che resiste alla disumanità della guerra.