Vittorio, c’eravamo tanto amati: De Sica e Maddalena… Zero in condotta

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La versione restaurata di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica è stata presentata al 71° Festival di Cannes, nella sezione Cannes Classics, per i 70 anni dalla realizzazione del capolavoro del 1948.

Conosciuto in tutto il mondo per essere uno dei padri, insieme a Roberto Rossellini e Luchino Visconti, del Neorealismo cinematografico italiano, Vittorio De Sica (1901–1974) è stato attore, regista e sceneggiatore. Tra i cineasti più influenti della storia del cinema, nato in «tragica e aristocratica povertà», appena quindicenne ha iniziato ad esibirsi come attore dilettante in piccoli spettacoli. «Parlami d’amore Mariù… tutta la mia vita sei tu…» forse non sapete che il motivetto di questa canzone l’ha canticchiato, nel 1932, proprio De Sica nel film Gli uomini, che mascalzoni… di Mario Camerini, la pellicola del suo esordio come attore prima di affermarsi come uno dei più grandi cineasti italiani.

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Una volta iniziata la sua fortunata attività come regista, non ha abbandonato la recitazione: è apparso in un centinaio di pellicole, anche in piccoli ruoli, collezionando numerosi premi. Vittorio De Sica ha firmato quattro grandi capolavori del cinema mondiale: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951) e Umberto D. (1952), i primi due hanno vinto l’Oscar come miglior film straniero e il Nastro d’argento per la migliore regia. Nel 1972 De Sica ha ottenuto il suo quarto e ultimo Premio Oscar con la trasposizione filmica del romanzo di Giorgio Bassani Il giardino dei Finzi-Contini.

«Il mio scopo è rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso della piccola cronaca, anzi, della piccolissima cronaca» così il regista racconta la vita vera dell’Italia del dopoguerra, prende gli attori dalla strada e costruisce una regia fatta di primi piani drammatici e contrasti. Molti dei suoi film rientrano però nella categoria del cosiddetto cinema dei telefoni bianchi, definizione derivata dal modo di rappresentare la piccola borghesia attraverso i generi tipici dell’epoca: il vaudeville e il film di tipo collegiale.

Maddalena… Zero in condotta (1940) appartiene al secondo genere e, oltre ad essere tratto da una commedia ungherese di Laszlo Kadar, segna l’esordio alla regia di Vittorio De Sica. La pellicola è ambientata a Roma, in un istituto professionale femminile: le alunne di una quarta si prendono gioco di Elisa Malgari (Vera Bergman) giovane professoressa di corrispondenza commerciale. Tra tutte, spicca Maddalena Lenci (Carla Del Poggio), una ragazza dal carattere vispo che trova una lettera d’amore scritta da Elisa, il destinatario è il signor Hartman l’uomo immaginario usato negli esempi del libro di testo. La studentessa privatista Eva (Irasema Delian), impadronitasi della lettera, la spedisce per errore e arriva per davvero ad Alfredo Hartman (Vittorio De Sica), un ricco industriale viennese che incuriosito parte per Roma.

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Maddalena… Zero in condotta è una gradevole commedia degli equivoci a sfondo sentimentale, caratterizzata da personaggi femminili complessi e sfaccettati. Inoltre, De Sica ha introdotto in questo film uno dei temi a lui più cari: lo scherno nei confronti della realtà borghese e aristocratica. Altrettanto profonda è la descrizione del mondo della scuola: gli insegnanti si rivelano miopi e inadatti, dovrebbero essere responsabili dell’educazione delle giovani generazioni ma di fatto non sono all’altezza del proprio ruolo.

Vittorio De Sica — il cui nipote Andrea De Sica è anche lui un promettente regista, conosciuto per il lungometraggio I figli della notte — resta uno dei cineasti più affascinanti della storia del cinema. Dopo la sua morte, Ettore Scola gli ha dedicato il capolavoro C’eravamo tanto amati e una strada di Napoli nel quartiere Stella porta il suo nome. Non credo possa esistere un modo più adatto di celebrare il regista che, per quarant’anni, ha rappresentato il cinema italiano agli occhi del mondo.