Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio: Almodóvar e le donne

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Se dici cinema spagnolo tutti pensano immediatamente a lui: Pedro Almodóvar. Con il suo sguardo dolce-amaro sul mondo, film dopo film, ha smascherato l’ipocrisia della società con una risata. Con Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988) ottiene la sua prima candidatura all’Oscar, mentre Tutto su mia madre (1999) lo consacra al grande pubblico, vincendo la Miglior Regia a Cannes nel 1999 e l’Oscar al Miglior Film Straniero nel 2000.

Il film è noto come la dichiarazione d’amore del cinema alle donne. Sono loro le eroine di tutti i suoi film: coraggiose, ironiche, giovani, vecchie, nevrotiche, perse, sole, amanti, puttane, madri, traditrici, fedeli o malinconiche, incarnano gli opposti, il dualismo di tutte le cose. Pedro Almodóvar predilige l’universo femminile e dedica tutta la sua filmografia a illustrarne le molteplici sfaccettature, dichiarando dopotutto: «per me l’origine della finzione, del teatro, dello spettacolo è vedere più di due donne che stanno parlando».

 

Pedro Almodóvar ha raccontato spesso di aver scoperto il cinema giovanissimo grazie a una piccola sala di paese dove, per combattere il freddo durante le proiezioni, portava una latta piena di carbonella. Il calore di quel braciere improvvisato si è trasformato nel paradigma di quello che il cinema significa, il conforto di qualcosa che brucia e riscalda. Se è vero che il cinema nasce da un trauma, quello di Almodóvar è venuto al mondo nel sottosuolo di una compagnia telefonica, dove ha lavorato per dieci anni. Frustrato da un lavoro sicuro ma noioso, ha già trent’anni quando cerca disperatamente un modo per esprimersi. Nei ritagli di tempo, prova di tutto: recita in una piccola compagnia teatrale, pubblica il memoir di una donna immaginaria, scrive fumetti, racconti underground e un fotoromanzo porno. Poi, arriva il cinema, gira corti in Super8 e li proietta per gli amici, improvvisando dal vivo la colonna sonora.

È il 1980, quando esordisce nel lungometraggio con Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (Pepi, Luci, Bom y otras chicas del montón) con Carmen Maura come protagonista. Almodóvar spende una cifra ridicola, 400 pesetas, per un film di 80 minuti scarsi, girando solo durante i fine settimana con amici e volontari. Il pubblico lo accoglie con poco entusiasmo, la critica lo trova scandaloso e un po’ volgare, gli agenti sconsigliano alle attrici di lavorare con lui per non bruciarsi la carriera. Ci vorrà un po’ prima che gli venga riconosciuto il talento unico che l’ha reso un maestro del cinema.

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Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio ci porta nel cuore della movida madrilena: musica punk, abbigliamento sgargiante anni ‘80 e libertà sfrenata post-franchista. Il film racconta la storia di Pepi, una ragazza emancipata che conserva la sua verginità per poterla vendere e ricavarne un po’ di soldi. Nel tempo libero coltiva marijuana sul suo balcone, un poliziotto la scopre e cerca di arrestarla e alla fine la violenta. Pepi si vendica, ma il pestaggio non va come previsto; usa allora la giovanissima amica Bom per sedurre Luci, la moglie del poliziotto, una donna repressa con tendenze masochiste. Così delle pratiche sessuali estreme vengono scambiate con lezioni d’uncinetto e tra equivoci, donne barbute, ripicche, pubblicità assurde e situazioni grottesche, un gran numero di personaggi fuori dagli schemi reggono un film folle dalla trama a tratti sconclusionata.

L’esordio – qui le altre opere prime d’autore – al cinema di Pedro Almodóvar non è privo di difetti, ma sorprende per la sincerità con cui dà vita alla storia e il modo onesto e senza filtri scelto per raccontarla.  Tra le risate della commedia almodóvariana, si percepisce però sempre una tensione malinconica che vibra tra piacere e dolore e caratterizza il suo cinema degli emarginati. Sotto il franchismo essere omosessuali costituiva un reato, migliaia di gay vennero condotti in colonie agricole (veri e propri campi di concentramento). In questo contesto, Pepi, Luci, Bom è un esordio dissacrante che inneggia all’eversione e alla libertà più sfrenata: per questo si parla di cinema di rottura più che di semplice tentativo di scandalizzare.

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Almodóvar mette in primo piano quei personaggi che nessuno mostra sul grande schermo: transessuali, gay e bisessuali, ma anche eterosessuali lontani dallo stereotipo del machismo e donne sessualmente libere che sovvertono le regole sociali con fascino, eros e melodramma. Un mondo dove nessuno è veramente per bene come vuole dare a vedere e gli stereotipi vengono puntualmente ribaltati.

Alla fine, i suoi film sono vere e proprie storie d’amore tra i protagonisti e la vita, i personaggi seguono i propri istinti viscerali perché in fondo vogliono solo essere liberi. Vivono tutti una dualità, cercano libertà e sottomissione senza contraddizione alcuna, non si vergognano di quello che desiderano, che sia una un’umiliazione o un gioco di ruolo. Soprattutto, amano indistintamente in modo eccessivo e confusionario, un po’ come si ama la vita dopo una lunga reclusione, così come si ama il cinema folle, colorato e senza regole di Pedro Almodóvar che comunque non sarà mai più così esplicito e bruciante.