Le Space Monkeys di Aldo Iuliano: “Il mio sguardo positivo per le nuove generazioni”

Space Monkeys
I protagonisti di "Space Monkeys".

Se nel suo premiato cortometraggio Penalty parlava per immagini di immigrazione, Aldo Iuliano con Space Monkeys mette in scena un ritratto di una generazione Z sperduta tra sogni, deliri e irresponsabilità. Si tratta di un’opera prima molto visionaria, un teen drama low budget con 5 anni di gestazione e soli 30 giorni di set, scritta insieme al fratello sceneggiatore Severino Iuliano.

Abbiamo parlato con il regista di Crotone in occasione del lancio del film, prodotto dalla Freak Factory di Andrette Lo Conte insieme a Rai Cinema e nelle sale dal 28 novembre. Il suo film è un qui e ora che non voleva dichiarare backstories dei personaggi che nella loro parte equilibrata sono in relazione con i propri genitori giusto tramite cellulare, ma fra di loro, forti del branco formato in questa notte folle, arriveranno a giocarsi la vita con una pericolosa challenge.

È il tuo esordio al lungometraggio, ma non dietro la macchina da presa. Come cambiano le cose da un corto a un lungo?

Per me è cambiato poco perché con mio fratello, che è sceneggiatore, lavoriamo sempre tantissime ore sulle storie, sul soggetto. Penso sia anche una grande responsabilità raccontare qualcosa alla gente, sia in un corto che in un lungo. Poi tecnicamente è diverso, certo, ma “cosa vogliamo ascoltare” è la domanda che ci poniamo più spesso. Così scriviamo e riscriviamo sempre. Come per Penalty, anche qui avevo letto un suo high concept che mi aveva interessato. Con Space Monkeys volevo fare una fotografia di questi tempi un po’ strani, a cavallo tra sogno e realtà, tra virtuale e reale. Mentre prima si discuteva del confine, dalla Generazione Z in poi questo confine non c’è più. Quindi l’idea di rappresentarlo ha iniziato ad affascinarmi così ho cominciato con i miei calcoli di script e scrittura visiva. Per me la regia è una scrittura in più che aggiunge alla sceneggiatura.

Con tuo fratello come vi dividete il lavoro, come convivete o come vi scontrate?

Lui è uno sceneggiatore puro: classico uso del computer, una volta macchina da scrivere, e pensa solo a scrivere. Certe volte io e lui insieme facciamo delle robe indipendenti, soprattutto quando siamo lontani da progetti grossi. Facciamo delle cose tutte nostre, lui come sceneggiatore, io invece arrivando dai fumetti ho questa ossessione per le immagini. Amo la semiologia del cinema. Ai tempi dell’università ero affascinato dalle lezioni di Italo Moscati, mi perdevo nei libri che rimediavo tra Crotone e Teramo. Ero affamato di tante cose, ma con Severino non ci accavalliamo perché la mia scrittura visuale arriva dopo la fase del soggetto, che è più sua. Lui inizia a scrivere, io sono presente ma non invasivo. Il resto è surf!

Space Monkeys richiama l’esperimento delle scimmie inviate sole nello spazio. Cos’è lo spazio per i tuoi personaggi?

È quel luogo dove realtà e virtuale coesistono. Ho voluto creare questa specie di bolla perché mi piace giocare col tempo. Il cinema ti concede di manipolare tempo e spazio. Con la Generazione Z secondo me ci ritroviamo in una nuova umanità. Le scimmie spaziali non esistono, e per questo volevo un’allegoria su qualcosa che spaventasse e meravigliasse perché non c’era prima. Se ci pensi, lo Space Monkeys era anche la challenge del Choking Game, il gioco del soffocamento sul web. Per questo ho capito che era il titolo giusto. Lo spazio dove si muovono i miei personaggi è interiore. Ma se parli con i ragazzi, capisci che non hanno confine tra reale e virtuale. Sono capaci di skippare da un discorso online a sentimenti provati con delle persone due giorni prima. Parlano varie lingue e a loro modo sono meravigliosi. Volevo ritrarre senza giudizio questa generazione nuova, infatti nel film mi calo in mezzo al gruppo, con l’obiettivo di vederli vivere da vicino le loro situazioni. 

Aldo Iuliano sul set di Space Monkeys
Aldo Iuliano sul set di “Space Monkeys”.

Si avverte un forte senso di smarrimento nei ragazzi, nella generazione che racconti. Tutta questa solitudine, quasi spaziale abbiamo detto, in cosa può essere trasformata?

Nelle situazioni più estreme ci ricordiamo di essere umani, e non scimmie. E in quanto umani abbiamo delle potenzialità. Credo che questa generazione abbia grandi potenzialità. Tendono secondo me a non voler perdere il contatto col reale. I loro sentimenti non sono diversi dai nostri quando eravamo adolescenti. Quindi per me Space Monkeys è un augurio positivo per il futuro. Il mio è uno sguardo positivo su di loro. In questi anni ho avuto la fortuna di insegnare in alcune accademie, e sono loro che mi hanno istruito per questo film. Insegno regia per puro spirito di restituzione, non perché mi consideri arrivato, infatti dai ragazzi prendevo appunti sulle storie che mi raccontavano, mi passavano i loro pezzi musicali. Li ho studiati parecchio. Un po’ come avevo fatto con i giovani immigrati di Penalty. Insomma, punto all’immersione totale.

Hai anche fatto scelte molto precise per le location. Una spiaggia, una villa e una scenografia che avvolge i ragazzi come fosse una madre algida. Quasi un personaggio in più.

Hai centrato una cosa che spero arrivi al pubblico. La natura è sempre presente in ogni cosa che facciamo. La misi anche nel campo di Penalty, che era ambientato tutto su una spiaggia. Qui volevo estraniarmi da spazio e tempo. Se guardi bene, ho usato cellulari rotondi che non esistono. In questo ho guardato un po’ ad Arancia meccanica, dove il concetto del “senza tempo” è ampiamente messo in pratica. Con Francesca Sartori abbiamo lavorato per rendere anche i costumi senza un tempo determinato. Abbiamo girato a Crotone perché ci tenevo a inserire i miei luoghi. La Baia dei Greci ha una forma circolare come il telefono tondo e come la piscina nel castello che ho scelto. Quest’altra location è la dimora di un mio amico, immersa nella natura, lì vicino ma già in montagna. Mi aveva rapito perché è molto strana: ha una torre al piano superiore, con un albero e una vasca circolare che di notte sembrava sospesa nello spazio. Paki Meduri è stato fondamentale nello scenografare questo posto così bizzarro completando l’estraniamento di cui avevo bisogno.    

A proposito di Kubrick, il tuo Able sembra una citazione dell’Hal9000 di Odissea nello spazio.

In realtà ho studiato Arancia meccanica per il “senza tempo”, ma dentro ci ho messo quel buco nero di vasca perché la nostra umanità sta andando su altri pianeti. L’intelligenza artificiale Able doveva essere solo domotica. Hal ti spaventava, ma Able replica la furbizia umana. Quando dice “posso fare quello che vuoi, basta che mi autorizzi”, quello è internet che replica lo scarico di responsabilità tipico degli esseri umani. Insomma, il computer diventa figlio di puttana come noi. Quindi non ho pensato a Odissea nello spazio, ma a come il computer sia il riflesso di noi stessi oggi.

Dall’accuratezza dei tuoi lavori si vede che non lasci nulla al caso. Cosa ti ha sorpreso durante questo film di questi attori?

Ho cercato per mesi gli attori. Sono sempre presente ai casting perché voglio ascoltare gli interpreti per capire chi ho di fronte. I cinque attori protagonisti sono giovani che stanno crescendo, e in ognuno di loro ho trovato la giusta scintilla per i personaggi. Li ho sottoposti a un lavoro molto duro, un’esperienza immersiva che li ha messi sotto pressione come volevo. Mi ha quasi sorpreso che si siano fidati completamente perché è stato davvero duro.

Hai già in mente un’opera seconda?

Si, ancora più fuori di testa di questa, non vedo l’ora. Si chiama L’universo è paese. Un film sull’importanza di non arrendersi mai. Dirlo in un periodo storico del genere credo sia urgente. Sarà un dramedy, anche se il genere lo scelgono sempre le storie. E questa è una storia che io e mio fratello curiamo già da tanto tempo. Sai, tutto dipende dalla necessità di quello che vuoi dire. Ma saprai di più quando mi faranno fare il film.