Calcutta: il cantante che aspetta davanti a un mondo di pecore

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C’è un po’ di futuro sul grande palco del Francioni, il vecchio stadio di Latina all’ombra della cisterna a fungo. C’è il futuro della musica italiana che ingombrante si fa spazio con una prepotenza che ha l’espressione tenera del faccione di Edoardo. Che sfugge dal retaggio hipster di cui è figlio, superando i capisaldi di quel movimento indie scappato dal ghetto, lontano dalla malinconica mise del fascino anacronistico di Tommaso Paradiso e dalle leopardiane pose ingobbite di Niccolò Contessa. Edoardo è Calcutta (qui il suo sito ufficiale) e mette d’accordo tutti, scioglie tutti, anche quel pubblico snob che tendenzialmente frequenta certi concerti, ma senza divertirsi troppo, con moderazione. Non stasera, non oggi, non con Calcutta sul palco, che colora uno stadio con migliaia di sciarpe rosse, con musica nuova, che ricorda, richiama, cita e saluta, ma è nuova ed è tutta sua.

Calcutta è travolgente, invidiabilmente coinvolgente, grazie all’atteggiamento più radical e più rockstar che ci si possa aspettare: il disinteresse. Sembra un caso che proprio lui si trovi lì sopra, si muove a disagio, si guarda intorno, balbetta qualche frase tra una canzone e l’altra, ride delle sue battute e si rifugia in un’altra strofa. Naturale come il cielo azzurro di un’estate da campione del mondo. Ogni volta che finisce di cantare riapre gli occhi con un sospiro, come a controllare che fosse davvero tutto tutto lì, che fosse tutto vero, come un bambino alla prima recita che non ha ancora capito bene il senso degli applausi.

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Sul palco ci è salito con una sciarpa del Latina sull’asta, perché chi non salta è gialloblu anche se il Frosinone è di nuovo in serie A. È lo schermo alle sue spalle a dare il benvenuto a tutti, anticipato solo da un piccolo spazio pubblicità dedicato all’Acqua Parda, una sorta di Cacao Meravigliao 2.0, presentato con verve internazionale dal buon Pierluigi Pardo, nuovo guru televisivo della musica Indie. Poi tutto fiorisce in una pioggia di luci e voci, dal microfono attacca la splendida Briciole, prima che si srotolino due ore di concerto che scivolano come un lungo conciliabolo tra amici, ogni canzone chiacchiera con la folla, che risponde, risponde forte e chiaro. Giovani, vecchi, ragazzi e bambini, ultras e groupie, musicisti e dj, tutti ammucchiati sul prato verde. E questo non è un talent show, sono 20.000 persone a fissare un ragazzotto a metà tra un Vasco Rossi prima maniera ed un allenatore di categoria.

Sul palco c’è l’insicurezza della provincia, in una geografia di mille luoghi, rimbalzati da un testo all’altro a spasso per la nostra piccola Italia in un vernissage di cartoline da negozio di souvenir, da Pesaro a Peschiera del Garda, fino alla grandiosità di Venezia, che è bella ma non è il suo mare, meglio il freddo della stazione di Fondi. L’insicurezza da piccola città, perché il mondo è un tavolo e noi siamo le briciole, tra campi di kiwi e chiese impolverate che lasciano suonare queste campane. Affinché questo mondo cane si faccia gli affari suoi. Calcutta è lui, è così, è tutto lì, senza costruzioni intellettuali, senza ruffianate. Semplice, testi asciugati al massimo ma non vuoti, colmi di mille pensieri ammucchiati che si svelano nelle frasi ironiche di una spruzzata di baffi, di uno che ti chiede di vestirti da Sandra perché a lui riesce bene fare Raimondo. Calcutta è un ghigno sul viso ed una bugia alle interviste. Ti parla di Frassica e di Raffaella Carrà, la cantina buia di Battisti, di YouPorn e danza kuduro. E si potrebbe ridurre tutto parlando di un giro facile come «mi sento il cuore a mille», ma la verità è dentro «la saliva che risbatte forte come il mare i miei pensieri a riva», all’interno di frasi come «mi sono addormentato di te».

Avrebbe potuto fare un album sulla falsa riga del primo, una serie di ritornelli facili, una canzone estiva e giocare sull’immagine di sé che hanno costruito sulle sue imprudenze. Invece il buon Edoardo ha sfoderato un piccolo gioiello della musica Italiana: ritmi, melodie e testi che ti rimangono lì, a mezza bocca, incapace di odiarle, pronto a ricantarle.

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Come hanno fatto tutti in un concerto che sembrava un festival, fiumi di gente in fila ed in passeggiata già dal mattino, uno stadio in festa, dalle aperture di Mesa e di Francesco De Leo, fino a Frah Quintale che dà ufficialmente il via alle danze, una giostra che scoppia mentre il sole balzella lontano. Un po’ di karaoke con i Thegiornalisti e gli Oasis, prima dello spettacolo finale, un visual bello, originale, d’impatto, capace di reinventarsi ad ogni canzone, passando dagli effetti di luce e forme, ai selfie sfocati, dalle insegne retrò alle illustrazioni iconiche del personaggio, baffi, cappuccio e cappellino, tutto accompagnato da una band al completo, con tanto di Giorgio Poi alla chitarra, reso tutto più maestoso dal coro di Chiara Calderale e le sue ragazze, messe in bella mostra a dar man forte al nostro di Latina.

Sulle note di Oroscopo arriva anche Tommaso Paradiso, saltellando e strillando prima di scomparire nel backstage, lasciando che il viaggio continui a vele spiegate, da Cosa mi manchi a fare a Pesto, da Rai a Del Verde, da Gaetano a Hubner passando come ombre cinesi su varie città. Non c’è il giochino del bis, sembra non ci sia mai finzione con Calcutta, c’è solo uno spettacolo lungo un intero pomeriggio, offerto da Dna Concerti e Bomba Dischi e dall’aria di mare di questa piccola città del basso Lazio. Dove Calcutta aspetta tutti gli altri, seduto davanti a un mondo di pecore, come sulla copertina del suo ultimo album. Il Frosinone sarà pure di nuovo in Serie A, la musica italiana starà pur vivendo una nuova vita, ma Calcutta sta giocando un campionato a parte. Mettendo radici nelle tue radici.