Rocco Fasano: sento la rivoluzione sulla pelle

Rocco Fasano per Fabrique du Cinema
Rocco Fasano fotografato da Roberta Krasnig per la copertina del n. 35 di Fabrique du Cinéma.

Strano a dirsi, ma chi esordisce oggi ha almeno tre vantaggi: ruoli, piattaforme e social. Uno chiama l’altro, e sono tutti figli della stessa epoca: quella in cui può finalmente esistere un personaggio teen omosessuale e bipolare come Niccolò Fares (Skam Italia). Se quel ruolo e quell’interpretazione, poi, fanno anche innamorare il pubblico, e se hai davvero talento, allora la cassa di risonanza è enorme: in un attimo hai oltre 200mila followers che si aspettano qualcosa da te, come artista e come essere umano. Rocco Fasano, 29 anni, è il frutto di quest’epoca. Esponente di una mascolinità onesta e di una generazione che affida al cinema e alla serialità il potere del futuro: è a lui che Fabrique du Cinéma dedica la copertina del nuovo numero.

«Sappi che sono davvero emozionato, perché Fabrique lo conosco da almeno sette anni, ai tempi in cui iniziavo a muovermi in questo lavoro. Molti amici mi hanno introdotto a questa rivista e sono cresciuto avendola sempre presente, come riferimento di un magazine con una forte spinta indipendente e con lo sguardo rivolto alle novità di questo Paese. Quindi ora mi state dicendo che mi annoverate tra i nuovi volti dello spettacolo italiano?».

Ebbene sì, e a me sembra quasi ovvia la tua presenza qui. Secondo te quand’è che si crea un nuovo volto nell’immaginario collettivo, e cosa ti ha portato ad esserlo?

Me lo sono chiesto, e molto è da attribuire a Skam Italia. È stato uno spartiacque e non solo per me. Siamo riusciti a fare una serie nuova con un linguaggio nuovo, che affrontasse tematiche attuali parlando onestamente ai giovani e dei giovani. Skam Italia è nato come un esperimento sociale, fortemente e orgogliosamente europeo, inizialmente fondato solo sul passaparola.

Basta guardare le ultime edizioni di Sanremo per capire che un nuovo volto si posiziona laddove al pubblico manca un elemento di identificazione e c’è un vuoto da riempire. Rocco-persona e Niccolò-personaggio che vuoti hanno colmato?

Mi azzardo a fare un’ipotesi: forse le mie performance rientrano in un filone di scelte che appartengono un po’ allo stesso mondo. Nel caso di Niccolò è stata una delle prime rappresentazioni a rifiutare la mascolinità tossica. Ma parliamo sempre di personaggi maschili pronti a non insabbiare, nascondere e demonizzare la propria vulnerabilità. Quelli sono fardelli culturali che ci portiamo dietro dal secolo scorso. Ecco, un personaggio come Niccolò riconosce la propria fragilità, la studia e ne trae forza. E io, da performer, ho fatto lo stesso processo su di me. Ci credi che è stata una gioia?

Ci credo sì. Non a caso i giovani si identificano molto in te: merito del tuo attivismo, dell’aspetto un po’ androgino, dei ruoli?
Non ne ho una percezione chiara, ma so che vorrei essere una figura propositiva che non ha paura di esprimersi né a livello artistico né come essere umano. Per me questo mestiere è una fede da prendere di pancia. Questa è la generazione del turning point, parliamo di realtà che loro vivono tutti i giorni. Penso subito a Euphoria, che per me è l’esempio di serie tv perfetta. Si rivolge ai giovani in maniera accattivante e brillante, con proprietà di linguaggio e cognizione di causa. Ma nel nostro paese mancava qualcosa del genere.

Borderline e omosessuale in Skam, in Non mi uccidere (su Netflix) porti in scena una metafora “supernatural” della manipolazione maschile e dell’annichilimento giovanile. E sei un attivista antifascista in Hotel Portofino su Sky, in mezzo a un cast internazionale. La senti giusto un po’ di responsabilità?

Eh… [ride]. È vero quello che dici su Non mi uccidere, lì incarno un esempio negativo: è una favola nera che si concentra sull’affrancamento della figura femminile da una serie di figure nocive. Per molti versi il film mostra la liberazione di donne che non accettano di farsi sottomettere. Gli uomini che orbitano attorno sono presenze-zavorre che provano a manipolarle. In qualche modo le tematiche sono sempre quelle, no?

Siete stati la prima generazione di attori a doversi confrontare anche con i social. Senti la responsabilità di sfruttarli per il bene del progetto?
Bella domanda, anche perché oggi non c’è un libro delle regole. Credo sia imprescindibile, da lì passa la promozione del progetto ma anche un approccio culturale. Il paradigma sociale è cambiato: come lo ignori un fatto del genere? Se diventi un personaggio devi per forza barcamenarti. Non mi dispiace avere un dialogo con chi mi segue, lasciare una traccia virtuale del mio percorso. Rimango prudente, però: mi spaventa l’idea che si finisca ad aver paura di rivolgere la parola a un ragazzo o a una ragazza.

Siete tanti, siete amici tra voi, uniti ma in rappresentanza di identità diverse. Stai attraversando una piccola rivoluzione?

Io devo dire, senza esagerare, che sulla pelle un po’ la sento questa rivoluzione. Sono anni turbolenti, ma possiamo fare la differenza. Con i media e come singoli. Se ci esprimiamo davvero e se facciamo tutto quello che vogliamo fare, senza paura, noi possiamo realizzare un cambiamento anche con l’intrattenimento.

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Fotografa Roberta Krasnig, Assistenti Sonia Pagavino, Elisa Mallamaci; Stylist Stefania Sciortino, Assistente Giulia Laface; Capelli Adriano Cocciarelli@Harumi; Makeup Ilaria Di Lauro; Abiti: Diesel, Gucci; Prodotti per capelli: Body e Sun Schwarzkopf Professional; Location: Studio 21 – Roma