VALO e le strambe creature del pianeta Amebò

VALO

Fumettista e illustratrice molisana, Valentina Patete, in arte VALO, ha esordito nell’editoria a fumetti con il rocambolesco e coloratissimo Cronache di Amebò. Merito anche di Eris, la casa editrice torinese che le ha dato fiducia dopo l’incontro per autori e autrici emergenti al festival Arf! di Roma. L’abbiamo intervistata per sapere di più sulla nascita del libro e le sue molteplici influenze. 

Cronache di Amebò è un fumetto esplosivo, un vero caleidoscopio di situazioni e di personaggi. Ci racconti come è nata la storia?

Da un Inktober [una sfida artistica che si svolge nel mese di ottobre e prevede di pubblicare online un disegno al giorno, ndr] di tre anni fa. Decisi di realizzare una tavola per ogni parola e collegarle tutte insieme creando una sorta di storia. L’esperimento mi piacque perché rendeva il prodotto molto fresco e un po’ fuori dagli schemi di una trama prestabilita. Così ho preso quelle prime tavole e ho continuato per questa strada della creazione istantanea della storia.

Ambientazioni, oggetti e tutti i personaggi disegnati – dai protagonisti alle più rapide comparse sullo sfondo delle vignette – dimostrano la tua fantasia nell’assemblare liberamente figure e caratteri fra loro. C’è stato uno studio accurato, una sorta di character design per ognuno di loro, o hai utilizzato anche l’improvvisazione?

Sono molto più brava nell’improvvisazione che nello studio accurato, forse perché nella vita sono impaziente e anche un po’ pigra, quindi dedico poco tempo alle singole cose (anche se il fumetto l’ho finito dopo tre anni…), e questo non so se sia positivo o negativo. Comunque di base c’è uno studio dei personaggi principali, del pianeta, e di alcuni oggetti più volte comparsi. Per i personaggi secondari invece creavo al momento.

Senza svelare troppo la storia narrata, direi che Paperolla  – passiva e buffa prima, poi vera supereroina – è una delle figure chiave dell’intera vicenda. Com’è nato questo personaggio?

Mi sono sempre piaciuti i parco giochi vecchio stile, soprattutto i giochi a molla, perché hanno quasi tutti questa espressione passiva che fa ridere se si pensa che sono dei giochi per bambini. E più li guardi più senti un senso di impotenza e che potrebbero esplodere da un momento all’altro: una staticità solo apparente. Paperolla è così: un personaggio apparentemente morto, privo di parola e motricità, trattato male continuamente, che ad un certo punto ha la possibilità di riscattare se stessa sfogando tutta la sua rabbia. Anche se non la definirei tanto supereroina. 

VALOFin dalle prime tavole il libro, con la struttura a vignette e il testo in rima baciata, mostra riferimenti al fumetto italiano delle origini, penso a Quadratino o al Signor Bonaventura, per esempio. Man mano invece prende corpo un mondo fantascientifico ultracolorato che forse rimanda a Carpinteri e ai maestri del gruppo Valvoline. Condividi questi rimandi? Quali sono state le tue letture durante la lavorazione del libro?

Con il “Corriere dei piccoli” ci sei andato molto vicino ma per i motivi sbagliati. Ho guardato molto Antonio Rubino per alcune scelte stilistiche; ad esempio la nona tavola di Zibaude e l’amante stancante l’ho strutturata guardando illustrazioni come “Gli spettacoli pirotecnici sul Piave” o “La Russia Bolscevica vista a volo d’uccello”. Il rimando a Carpinteri e ai grandi nomi del fumetto italiano è giustissimo, infatti ho iniziato ad appassionarmi al fumetto proprio grazie ai loro lavori. In più, letture come Safary Honemoon di Jessie Jacobs, Hip Hop Family Tree di Ed Piskor, i fumetti di Shintaro Kago e il Taxista di Marti mi hanno aiutata molto.

L’incontro con la casa editrice Eris è avvenuto nel corso del festival del fumetto romano Arf. Ci racconti come è andata? Avevi già un’idea ben chiara di cosa avresti realizzato?

Io non ho mai un’idea ben chiara su niente. Praticamente ho partecipato al bando “Job Arf” che dà la possibilità alle persone di proporre i propri progetti alle case editrici. Portai quello che era prima Cronache di Amebò, un albo di dieci pagine con Zibaude e l’amante stancante ed era molto diverso qualche anno fa, non avevo neanche il soggetto generale della storia, ma non fu un problema, fortunatamente, perché a Eris piacque (credo) come agivo sulle tavole, come le strutturavo e come cercavo di trovare una soluzione alternativa nelle azioni tra i personaggi. 

Facciamo un rapido passo indietro. Quanto della tua formazione artistica credi ti sia servito per realizzare il tuo fumetto d’esordio? Ci sono nomi o esperienze che ritieni ti abbiamo dato una chiave o anche solo un consiglio per lavorare autonomamente?

La scuola Comix a Napoli – lo dico sempre – l’ho vissuta male per un periodo, però mi ha dato anche molto, grazie ad alcuni professori che effettivamente mi hanno insegnato bene il mestiere, come Giuseppe Boccia, Andrea Scoppetta, Andrea Chella, Gianluca Acciarino e soprattutto Pako, con cui sono ancora in contatto e che mi ha sempre supportata e spinta a non fermarmi.

Oltre al lavoro nel fumetto realizzi anche illustrazioni. Come gestisci le immagini singole, slegate dalla composizione della tavola a fumetti? Fra le tecniche, ad esempio, prediligi sempre la colorazione digitale?

Ultimamente sì, anche se mi piace sperimentare, infatti a volte dipingo in acrilico oppure uso pastelli e pennarelli. Sull’illustrazione ci ragiono di più rispetto a un fumetto, perché non mi viene facile concentrare un singolo tema in un’unica immagine. Mentre credo di cavarmela abbastanza bene nella composizione del disegno.

Stai lavorando a un nuovo libro a fumetti? Cosa puoi anticiparci?

Ancora no. Vorrei iniziare tanti progetti che ho in testa ma non so a quale dare la priorità. Sto cercando di darmi un’organizzazione giornaliera per non impazzire o, peggio, per non finire a non fare nulla.