Alto Adige: un territorio, mille storie

Aldo Adige paesaggio
Alto Adige, una location perfetta e inusuale per i film.

La provincia autonoma di Bolzano mette a disposizione un fondo annuo di 5 milioni per sostenere film, serie e documentari realizzati totalmente o in parte in Alto Adige. La condizione per accedere al fondo è che la produzione reinvesta localmente almeno il 150% del finanziamento ottenuto, con un occhio di riguardo alla location scelta. Per favorire dunque la conoscenza del proprio territorio, la IDM Film Fund & Commission organizza ogni anno un location tour per guidare produttori, registi e sceneggiatori alla scoperta dell’Alto Adige. PLACES #9, tenuto lo scorso ottobre, ha portato questa volta gli operatori del settore nella Val d’Ultimo, quasi completamente inedita al cinema. Fabrique du Cinéma era con loro.

Alto Adige: storie di boschi

Il villaggio di Santa Gertrude ha 200 abitanti, un affaccio spericolato sulla valle del Valsura e case grigie dai tetti spioventi, appoggiate ai fianchi delle montagne. A ottobre fa già freddo – siamo a più di 1500 metri – e nell’aria umida c’è il bouquet dell’alta quota, quell’odore di vacche e camini che solo qui, solo ora, si può chiamare profumo. La guida ci conduce su un sentiero ripido, da cui si parte per le escursioni, proprio accanto alla stalla dove la gente del posto improvvisa d’estate un cinema all’aperto, col proiettore sul fieno. Qui, a girare, sono venuti in pochi: Marco Bonfanti con il suo L’uomo senza gravità, e prima di lui Andreas Prochaska, con il western di montagna Lo straniero della valle oscura.

Sembra incredibile che il cinema non abbia ancora scoperto il luogo in cui si ferma la guida, la radura dei Fledermauslarch, i “larici dei pipistrelli”: tre alberi millenari di trentasette metri, sopravvissuti alla storia, alle frane, ai fulmini che si sono portati via le loro belle cime. Hanno forme contorte – sembrano gli uomini-albero di J.R.R.Tolkien – e oggi sono rifugio di picchi, civette, martore e adolescenti in amore. Sono considerati spiriti femminili, detti “alberi della luce”: non sono invadenti come gli abeti, la loro resina è curativa e le radici scendono in profondità, a forma di cuore. Abitata fin dal 9000 avanti Cristo (come testimonia il centro di documentazione Culten, a Santa Valburga), la valle è ricca di leggende, e la radura dei larici è un luogo magico, in cui la presenza umana – segnalata poco più giù da una chiesa, una scuola e un cimitero – sembra del tutto secondaria.

Eppure non lo è. Proprio in quella chiesa, in una notte del novembre 1973, la guida ci ricorda che si consumò un giallo ancora irrisolto, noto come “l’omicidio della perpetua”: un caso di nera con ingredienti macabri – una vittima legata con tende di broccato nella canonica, un giovane prete accusato di omicidio – che sconvolse la valle finendo nel romanzo Il cappello nero di Maria Luise Maurer. Una delle tante storie di cui quei larici, da 2000 anni a questa parte, sono stati testimoni.

È che la natura, tra queste montagne, ha un profondo legame con l’uomo. Un legame materiale innanzitutto, che è quello del legno delle tegole, dei balconi e dei recinti delle case – nero l’abete, grigio il larice, rosso se l’albero è giovane. È forse un caso che il giovane sindaco del paese di Santa Gertrude sia anche a capo di un’azienda di falegnameria (sue le costruzioni in legno dei film Lo straniero della valle oscura, Elser, La libertà dell’aquila, Hexe Lilli rettet Weihnachten e Iceman), ma la coincidenza rende l’idea: è difficile, in Val d’Ultimo, separare le storie della natura da quelle dell’uomo.

Aldo Adige boscoStorie di uomini

Difficile soprattutto quando si parla del Parco Naturale dello Stelvio, uno dei parchi più grandi e più antichi d’Italia, capace di contenere paesi interi e laghi, dove il 1 febbraio del 1986 “venne giù tutto”, racconta il direttore della struttura: due metri di neve in poche ore e all’improvviso le valanghe, 19 masi travolti, due morti e una cittadina completamente isolata. Da allora tutto, qui, si chiama “lahner”, cioè slavina: anche il centro informazioni del parco è Lahnersage. “La gente fece 12 chilometri sugli sci per avvertire i paesi vicini”, ricorda il direttore, che ha 38 anni e la storia se l’è sentita raccontare dai genitori.

Il parco – dove è possibile girare film, previa consultazione con la guardia forestale – è il suo terzo lavoro. Il secondo è l’educatore ambientale nelle scuole. Il primo è il maso. L’ha ereditato da suo padre, e più che un lavoro, dice, “è una passione. Con cinque vacche non sopravvivi nemmeno con i contributi della provincia. E la vita è dura: sveglia alle 4 e si va in stalla, alle 8 al lavoro nel parco, lunedì riposo, la sera di nuovo in stalla. A novembre e dicembre in valle non c’è più il sole. La vita è un’altra cosa”. Oggi tutti i contadini, ci dice, hanno un secondo e un terzo lavoro. La maggior parte dei masi sono stati venduti a persone che ci vengono per le vacanze, due o tre volte l’anno. Al Lago Zoccolo ne sono stati abbandonati più di 25.

Che la valle stia andando verso un lento, ma progressivo spopolamento, lo racconta anche il destino della chiesa di Sant’Elena, la madre di Costantino, eretta nel XIV secolo a 1500 metri, nel bel mezzo di un bosco a due chilometri da San Pancrazio, all’imbocco della valle. Un luogo che si diceva proteggesse dai fulmini, dal fuoco e dalle malattie, una chiesa dove si veniva in pellegrinaggio dalle altre valli (la Val di Non è a due giorni di cammino), e dove nel 1700 – per volontà di 200 contadini – aprì anche una scuola. Dal 1975 quella scuola è chiusa, e al suo posto c’è una foresteria (affittabile e disponibile come location): i bambini non studiano più qui. Quando ne nasce uno la gente del posto espone sulle porte delle case la figura di una cicogna, ma succede sempre più di rado: dieci anni fa vivevano in valle 3000 persone, oggi sono 2800 di cui 800 ogni giorno cercano lavoro fuori. E sono pochi quelli che tornano, come Hannes Schwienbacher, il fornaio più famoso della valle: dopo l’apprendistato a Bressanone ha convinto il padre e il nonno a prendere la certificazione bio, e oggi sforna panini alla segale in forni da 600 pezzi, in un ambiente completamente automatizzato. “Ci ho messo cinque anni a non svegliarmi più di notte”, dice.

La nuova scuola elementare del paese, in compenso, è bellissima: “Dobbiamo motivare le persone a restare”, spiega il dirigente scolastico. C’è una biblioteca fornita, una sala computer, una terrazza e un’ampia vetrata con vista sul bosco, una piccola cucina e banchi in legno diversi per ogni classe. Tutti distanziati, tutti a misura di covid. In palestra, al piano di sotto, giacciono una cinquantina di banchi in plastica grigia, avvolti nel cellophane. Sono i famosi “banchi con le rotelle”, li ha spediti il ministero. “Non ci servono. Glieli stiamo rimandando indietro”

Storie di montagna

E poi, naturalmente, in Alto Adige c’è la montagna. Dal paese di Pracupola, alle sponde del lago Zoccolo, si può salire con gli impianti fino a 2600 metri, sullo Schwemmalm, una località sciistica che negli anni Novanta finì in un paio di film tv e qualche documentario. “Cinquanta persone non le porti mica su in elicottero”, ci spiega Franz Holzknecht della società funiviaria, fornitore di macchine speciali, manodopera e logistica per cinema e tv. Se in un film si vuole guidare un gatto delle nevi sullo Schwemmalm, insomma, l’uomo da contattare è lui. A ottobre c’è già la neve, macchie candide sul giallo dell’erba, e in vetta ci raggiunge Dominik Paris, 31enne campione di sci, nato proprio in Val d’Ultimo. Un fenomeno che d’inverno è capace di scendere a valle in un minuto e mezzo, a 130 chilometri all’ora: “Ho sempre fatto questo perché non avevo molto altro da fare – dice con candore – papà era un maestro di sci, dalle 8 alle 17 stavo sulla neve”. Ancora una volta è la natura, qui, che plasma il destino dell’uomo. Anche in maniera drammatica, come quando nel 1882 il Rio Valsura, ingrossandosi, si portò via un paese intero, risparmiando solo una pittoresca casa appollaiata su una roccia (Hausl am Stein, oggi di proprietà del comune di San Pancrazio). O quando, negli anni Cinquanta, per costruire le dighe e i laghi artificiali gli ingegneri cancellarono masi storici e tenute, oggi interamente coperti dall’acqua. Tutto per quell’energia elettrica che, appena dieci anni dopo, diventò l’obiettivo dei terroristi della BAS, il comitato di liberazione del Sud Tirolo: il piano era quello di far saltare in aria i tralicci dell’alta tensione per privare di elettricità, e quindi paralizzare, le fabbriche degli “italiani”. “A fine anni Sessanta qui fu ucciso anche un carabiniere. Sono stati i nostri anni di piombo – racconta la guida – oggi, in qualche modo, ci siamo uniti. Ma nessuno può dimenticare quella storia”. Una delle tante storie che questa terra, tra le più autentiche e incontaminate dell’Alto Adige, offre a chi saprà intercettarle.

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