Allora siamo tutti puttane: a proposito di Revenge Porn

Nudes e il Revenge Porn
"Nudes", la serie antologica in streaming su RaiPlay.

In Italia il Revenge Porn è reato dal 2019. È stato un passo cruciale per la lotta alla violenza di genere, ma il fenomeno resta endemico e di matrice culturale. La comprensione dei suoi effetti e delle conseguenze passa anche attraverso la rappresentazione che ne fa il cinema; gli esempi recenti di Nudes (la serie in streaming su RaiPlay)e Sesso sfortunato e follie porno (vincitore dell’ultima Berlinale) offrono degli importanti spunti di riflessione comuni, nonostante le profonde differenze. Ne abbiamo parlato con Silvia Semenzin, ricercatrice postdoc in Sociologia Digitale all’Università Complutense di Madrid e docente in New Media & Digital Culture all’Università di Amsterdam, nonché attivista della campagna #intimitàviolata che ha portato all’approvazione della legge del 2019. È in libreria, assieme a Lucia Bainotti, con Donne tutte puttane (Durango Edizioni, 2021).

Nudes

Nudes ha diversi meriti: la Rai prova a svecchiarsi, tiene accessi i riflettori su un tema che non sembra avere confini né diatopici né temporali, avvicina un target giovanissimo a un fenomeno di cui è necessario che si conoscano cause ed effetti. L’intenzione è ottima, ma con Silvia Semenzin abbiamo provato capire cosa non quadra.

Nella serie prima è Vittorio a vendicarsi di un rifiuto, poi è Emilia a diffondere un video intimo della migliore amica per sfogare la sua gelosia. La vendetta è il perno narrativo, ma per Semenzin con il Revenge Porn c’entra poco: «la traduzione italiana di Revenge Porn “pornovendetta” mette sulla strada sbagliata. La pornografia prevede un consenso (che non c’è); la vendetta una ritorsione da parte di qualcuno per un’offesa subita. Il Revenge Porn è solo in piccolissima parte un fenomeno legato alla vendetta, e circoscriverne la rappresentazione è fuorviante». È dirimente, per Semenzin, parlare di Revenge Porn nei termini di “condivisione non consensuale di materiale intimo”. Considerare il Revenge Porn un fenomeno istintivo-vendicativo ha due conseguenze: colpevolizzare la vittima (donna nel 90% per dei casi), e non riconoscere che alla base del fenomeno non c’è la vendetta, bensì una volontà di controllo, orientata ad alimentare un «un potere di matrice patriarcale».

Fotinì Peluso, fra i protagonisti di "Nudes"..
Fotinì Peluso, fra i protagonisti di “Nudes”.

Di più: «la storia di Sofia è statisticamente improbabile» ci dice Semenzin; alimenta la retorica de “le donne sono le peggiori nemiche delle donne”. L’ha spiegato bene Michela Murgia: «Se il patriarcato vuole dominare il sesso femminile senza ricorrere continuamente alla forza ha bisogno di convincere delle sue ragioni almeno due terzi delle donne e lo fa offrendo a ognuna un vantaggio che all’altra è negato» (Stai zitta, p. 52). Una rappresentazione come quella di Nudes enfatizza una narrazione del conflitto interfemminile che esiste nei termini in cui è usata dal sistema maschilista: è come se a calcio una squadra facesse anche l’arbitro della partita. L’obiettivo di questa struttura sociale è subdolo: filtrare un messaggio che criminalizzi l’impulso sessuale (femminile).

Un fenomeno con cui le donne fanno i conti da sempre, e che complice il distanziamento sociale ha investito anche il tema del sesso virtuale. Su tutte la pratica del Sexting (centrale in Nudes), criticatissima a causa delle sue «presunte conseguenze nocive dovute all’ibridazione tra sessualità e tecnologie». Il messaggio – ci perdoneranno gli autori di Nudes è preistorico: se fai Sexting il Revenge Porn è inevitabile. Ma Semenzin ci ricorda che «quello che c’è in comune tra il Sexting e il Revenge Porn è lo stesso che accomuna il sesso e lo stupro: nulla».

Sesso sfortunato o follie porno

In Sesso sfortunato o follie porno la criminalizzazione dell’impulso sessuale femminile tocca un punto di non ritorno. Nella pellicola un video intimo di Emi, una maestra d’asilo di Bucarest, finisce (non si sa come) su Pornhub. Nella lunga sequenza finale va in scena un processo vero e proprio. La corte è composta dalla preside e dai genitori degli alunni, i quali accusano Emi di non essere «eticamente e moralmente accettabile». Una mamma mostra il video a tutti i presenti per «capire di cosa si tratti». Emi è lì accanto. Le accuse si susseguono. Un padre sostiene che «il problema non è che lei abbia fatto sesso. Il punto è che certi comportamenti li hanno solo le puttane».

Vecchia storia: «una donna o è santa o è puttana» dice Semenzin. Secondo i genitori, la maestra non è moralmente irricevibile perché ha fatto sesso con suo marito, ma perché nel farlo ha tenuto degli atteggiamenti da puttana”, come frustare il sedere del partner o fare Dirty Talk. Per il padre c’è un confine oltre cui il sesso non è più “normale” e diventa pornografico, quindi “immorale”. Al contrario, nessuno si sogna di attaccare la sessualità del marito, il quale ricopre un ruolo pubblico al pari della moglie. È evidente la sottotraccia del “doppio standard”: «emerge quando la sessualità maschile è giudicata libera, potente e incontrollabile, e quella femminile oblativa, orientata alla riproduzione».

La pellicola suggerisce un accorgimento decisivo per ribaltare una semantica della sessualità erronea: la maestra parla di “video intimo”, i genitori di “video hard”; giornali, media e cinema tendono a fare lo stesso, ossia riducono la semantica della sessualità alla semantica della pornografia per “immoralizzare” la prima (supponendo che la seconda lo sia).

Sesso sfortunato o follie porno
Un’immagine da “Sesso sfortunato o follie porno”, vincitore del Festival di Berlino 2021 (ph: Silviu Ghetie /Micro Film)

Ciò deriva da «un puritanesimo e una sessuofobia ancora vigenti, che considerano offensiva e volgare la nudità e la sessualità – soprattutto femminile – e stigmatizzano la pornografia e qualsiasi tipo di materiale erotico». Certo, la pornografia è nata per un pubblico maschile, ma – ribadiamolo – non è la pornografia il problema, lo è, al contrario, l’assenza di un’educazione sessuale nel nostro paese che inverta l’immaginario di una società maschilistica ed educhi anche alla fruizione della pornografia. Il focus lo indica la pellicola rumena: sostituiamo al concetto esclusivo di normalità una cultura del consenso.

Il video di Emi e il marito fa da prologo al film, poi la camera pedina il quotidiano della donna per quasi un’ora. Fa la spesa, va in libreria, pranza. Impossibile: Emi – che faceva cose “da puttana” – fa anche cose “normali”? Il messaggio chiave di Sesso sfortunato o follie porno è qui; lo suggerisce Semenzin: «è fondamentale distinguere tra sessualizzare e oggettificare». Se per esempio una donna – come fa Emi – vi dice (consensualmente!) “sono la tua puttana”, è perché gode nel dirlo, e nel suo immaginario quella frase la colloca al centro del piacere, non a lato; sta sessualizzando voi, la frase, il momento. Poi si stufa e i magari i ruoli si ribaltano. Spoiler: tutti vogliamo essere sessualizzati. Viceversa, oggettificare è una degenerazione della sessualizzazione; è eroticamente mortifero, concretizza il dislivello di genere come status quo della dinamica relazionale. È questo l’humus allarmante che alimenta il commento del padre.

Allora, se certi comportamenti sono da puttana, è il caso che ci inventiamo un termine anche per quelli da puttana al maschile, oppure la smettiamo di raccontare a ragazzi e ragazze un cortocircuito in cui una società machista nasconde ciò che in realtà impone: un dislivello di genere (che non riguarda solo uomo-donna) da perseguire e imporre per gli uomini e da accettare per le donne. Non basterebbe mettere al centro “consenso e “piacere”? Nudes ci prova a metà, Sesso sfortunato e follie porno ci riesce quasi. Ma qua siamo ancora fermi a una ragazza che ha mangiato una mela 2021 anni fa. Dicono.