La santa piccola, un film capace di osare, apre la 20a edizione del Riff

la santa piccola
"La santa piccola", vincitore della Biennale College, è il film d'apertura del Riff 20a edizione.

Erotismo, bellezza, sacro e profano: questi gli ingredienti principali de La santa piccola, il film d’apertura della 20a edizione del RiffRome Independent Film Festival. L’opera prima di Silvia Brunelli, tratta dall’omonimo romanzo di Vincenzo Restivo, ci porta a Napoli, in un rione soleggiato dove tutti si conoscono. I protagonisti sono Mario (Vincenzo Antonucci) e Lino (Francesco Pellegrino), due amici inseparabili le cui giornate sono intrappolate nella routine. Tutto però è destinato a cambiare quando Annaluce (Sophia Guastaferro) la sorellina di Lino, inizia a fare miracoli diventando la santa protettrice del rione. Per i due ragazzi si apre un mondo nuovo che li porterà a prendere percorsi diversi, fino a mettere in repentaglio la cosa più importante: la loro amicizia.

La santa piccola, vincitore della Biennale College veneziana, è l’opera scelta per aprire la rassegna diretta da Fabrizio Ferrari, che quest’anno presenta 95 opere tra lungometraggi, documentari e corti da Italia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Brasile, Argentina, Cile, Usa, Canada, Burkina Faso, Libano. Tra queste, 21 anteprime mondiali, 9 anteprime europee, 45 anteprime italiane.

Nella conferenza stampa che si è tenuta al rinnovato Cinema Troisi, Silvia Brunelli, accompagnata dalla co-sceneggiatrice Francesca Scanu, ha detto emozionata: «Per me è doppiamente simbolico trovarmi qui, al Cinema Troisi. È la prima proiezione dopo Venezia e avere l’opportunità di debuttare a Roma in questa sala storica è una grande gioia. Io sono trasteverina e questa era la sala dove passavo i pomeriggi con mia nonna a vedere i cartoni animati».

Come nasce l’approccio all’erotismo del film, che invece ultimamente è sempre più è “bandito” dal nostro cinema?

SB: Attraverso il sesso ho voluto raccontare l’arco di trasformazione dei due protagonisti, seguendone l’emotività e lo sviluppo. Ho voluto mostrare integralmente i loro corpi perché volevo mettermi alla prova, sapevo che era il mio primo lungometraggio e se non avessi trovato il coraggio di osare ora non lo avrei più fatto.

Qual è il suo rapporto con Napoli?

SB: Questo film non avrebbe potuto essere ambientato in nessun’altra città perché il folklore, l’umanità e il sentire religioso che lo pervadono sono interamente napoletani. Durante la pandemia avevamo proposto per ragioni di comodità di girare qui a Roma, alla Garbatella, ma ci siamo subito resi conti che la storia non funzionava. Amo Napoli, è una città piena di contrasti e conflitti.

In definitiva, che cosa prova Lino per Mario?

Francesca Scanu: Questa domanda ha messo in crisi anche noi per tutto il processo di scrittura. Raccontiamo un momento di transizione nella vita di questi due ragazzi e pensiamo che non sia fondamentale dare una risposta chiara al fatto se Lino sia o non sia omosessuale. Lino si sta ancora scoprendo o molto più semplicemente vive la sua sessualità in modo più libero e disinibito. Abbiamo lasciato Lino avvolto in questo velo di ambiguità.

SB: Mario è un personaggio che non agisce in termini di direzione e movimento ma solo internamente ed emotivamente. Lino, invece, non si ferma mai, deve colmare le sue difficoltà emotive ed è per questo che forse neanche si accorge che Mario inizia a guardarlo in un altro modo. Lino è contemporaneo perché è estremamente fluido, ricerca solo qualcuno che non lo faccia sentire abbandonato ma amato.