Francesco Patierno e La cura per parlare di Covid e Camus

la cura
"La cura" di Francesco Patierno, in concorso alla Festa del Cinema di Roma.

Nella Napoli odierna si dipana La cura, vicenda ispirata al romanzo La peste di Albert Camus, in concorso alla Festa del Cinema di Roma. Era ambientato in Africa, nell’Algeria Francese di Orano, ma Francesco Patierno traspone i ruoli originali su uno scacchiere con il Covid e il lockdown al posto della peste bubbonica degli anni Quaranta, rilanciando con un gioco tra due dimensioni narrative disposte in un metacinema fatto di copioni da set e attori al lavoro sempre più coinvolti nella nascente pandemia. I personaggi del medico, del giornalista, del gesuita predicatore, del portiere d’albergo e dello speculatore senza scrupoli permangono, ma nella sceneggiatura firmata anche da Francesco Di Leva e Andrej Longo vengono plasmati nuovamente intorno a doppi ruoli.

Oltre al protagonista Di Leva, nel cast abbiamo Alessandro Preziosi e Peppe Lanzetta nei ruoli di Tarrou, figlio del pubblico ministero, e di Padre Paneloux, che in questa versione parla a chiesa e città vuote, e telefonini che lo trasmettono da un treppiedi. Forse i loro monologhi sono i più forti, nonché fedeli al testo originale. Ma emergono anche Francesco Mandelli, Cristina Donadio e Antonino Iuorio. Il regista partenopeo inserisce sequenze e panoramiche girate con il drone durante il lockdown. Il risultato offre prospettive della città che ne rimarcano al tempo stesso la magnificenza dei lineamenti architettonici quanto la tragicità di quelle strade silenziosamente vuote. Senza traffico, quasi svuotate della loro stessa anima.

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In questa Festa del Cinema di Roma numero 17, il lavoro di Patierno viene presentato in concorso nella sezione Progressive. Benché i presupposti e l’impostazione concettuale fossero un buon punto di partenza, La cura si sviluppa preferendo, a un linguaggio più cinematografico, una narrazione più vicina nelle forme alla letteratura da cui proviene e al teatro, dal quale forse anche Di Leva ha colto molta ispirazione.

Ne viene fuori, nonostante le prospettive offerte dalla Napoli deserta e il parterre di attori e attrici valenti, un risultato ostico a chi non conosce il romanzo, e senza mai un mordente che esuli dalle immagini toccanti legate alla pandemia. Si potevano escogitare dei cambi di registro più forti nel metacinema tra set e realtà dei personaggi, e il mescolare tutto risuona quasi autoassolutorio. Coraggiosa poi la scelta di portare adesso al cinema, e in maniera così cruda, quella stessa tragedia che ha fatto fuggire il pubblico da due anni. Ma quanto realmente utile in termini di presenze in sala? E d’incasso? Il tempo ci risponderà sulla domanda: “Esercizio di stile o molto di più?”