Terry Gilliam e i Monty Python e il Sacro Graal, pazzo o visionario?

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Terry Gilliam inizia la sua carriera come illustratore, diventa un ottimo animatore e poi presta la sua follia al cinema. Ironico, fuori dagli schemi e imprevedibile è l’unico membro americano (ormai naturalizzato britannico) dei Monty Python. Arriva in Gran Bretagna per evitare l’arruolamento nella guerra del Vietnam e inizia a lavorare come cartoonist per la televisione. In questo modo conosce Chapman, Cleese, Palin, Idle e Terry Jones, i fondatori del gruppo teatrale Monty Python. Insieme realizzano per la BBC Flying Circus (1969), una serie comica di successo, fatta di gag e sketch animati realizzati con la tecnica del cut out. Proprio con i Monty Python, Gilliam compie poi il salto verso il grande schermo, come regista.

Nella carriera di Gilliam non mancano però i fallimenti, le lotte contro la casa cinematografica che prese le redini del suo Le avventure del barone di Munchausen, la morte di Heath Ledger durante Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo, i ventinove anni di sforzi compiuti nel tentativo di girare The Man Who Killed Don Quixote, basato sul Don Chisciotte di Miguel de Cervantes, immortalati in un documentario: Lost in La Mancha di Keith Fulton e Louis Pepe. Ora però finalmente al cinema con Adam Driver e Jonathan Pryce come protagonisti, un chiaro omaggio a Orson Welles (qui la sua opera prima), infatti Don Quixote è il suo film incompiuto.

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Nel 1975  Gilliam fa il suo esordio come regista, insieme al collega Terry Jones, realizza il primo lungometraggio comico che si prende gioco della Storia. Un insieme di gag esilaranti, ma ormai un po’ datate, dal ritmo poco fluido e dall’umorismo no-sense e grottesco. Monty Python e il Sacro Graal è un film a basso costo che racconta la storia di Re Artù (Graham Chapman) che, dopo aver vagato per la Gran Bretagna alla ricerca dei cavalieri per la sua tavola rotonda, riceve da Dio la difficile missione di trovare il Santo Graal. Comincia così la difficile ricerca tra gag, conigli assassini e personaggi comici come il cavaliere nero e il mago pazzo.

Il film risulta sorprendentemente vincente, nonostante sia tutto affidato al caso, della regia se ne incaricarono Gilliam e Jones solo perché nessuno degli altri quattro voleva prendersene la responsabilità. Inoltre, alcune delle gag più riuscite, derivano da dei problemi di budget risolti in modo assolutamente creativo e integrato alla storia e alla comicità no-sense del film, come il finale monco e l’uso delle noci di cocco per simulare il rumore degli zoccoli dei cavalli al galoppo.

La potenza comica di questa pellicola, deve tutto all’umorismo perfettamente calibrato che combina monologhi filosofici e gag linguistiche a battute scatologiche e sessuali. Per non parlare dell’autoironia e dell’escamotage usato contro la pratica dei sottotitoli: vengono scritti in finto norvegese e nella versione DVD si può selezionare, tra le modalità di vsione, quella sottotitoli per chi non apprezza il film che consiste nel testo dell’Enrico IV di Shakespeare.

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I film di Terry Gilliam hanno un aspetto peculiare e riconoscibile per il suo stile esasperato ed eclettico. Decisamente postmoderno, mescola il bello al kitsch, la cultura alta ai fenomeni pop, l’antico al moderno. Da Brazil (1985) – condiderato il suo capolovoro – a L’esercito delle 12 scimmie (1995), il protagonista dei suoi film è spesso un anti-eroe travolto da una situazione straordinaria. Il cinema, dichiara, «deve stimolare il pubblico a pensare in modo diverso. C’è chi lo fa creando scandalo, a me interessa cambiare lentamente il punto di vista, fare innervosire il pubblico, farlo preoccupare al punto da chiedersi “ma cosa sta succedendo?”» e, soprattutto, deve spingere le persone ad esplorare la propria immaginazione.

Terry Gilliam è soprattutto un visionario, qualcuno che si è sempre sentito diverso e che ha amato la diversità negli altri e ha fatto dell’ironia – su di sé e sul mondo – una bandiera. Non a caso, ha dichiarato spesso di credere che il suo cinema dia «conforto a chi crede di essere l’unico pazzo al mondo e che – dopo avere visto i miei film – sa che ce ne è almeno un altro». Pazzo o visionario? Non importa, se Terry Gilliam può continuare a lottare contro i mulini a vento del cinema.