Sorrentino e L’uomo in più: il calcio, la musica e nessun pareggio

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Che posso dire, che è meglio aver amato e perso, piuttosto che mettere linoleum nei vostri salotti?: ed è con questa citazione di una poesia di Amiri Baraka (In Memory of Radio) che si apre il primo film di Paolo Sorrentino, scritto e diretto nel 2001.

Napoli, anni ’80. Antonio Pisapia (Andrea Renzi) è un calciatore all’apice della propria carriera, uno che non si presta ai trucchi del calcio scommesse, un timido e i timidi decidono di fare i difensori, si nascondono dietro agli attaccanti, tentano di passare inosservati. Tony Pisapia (Toni Servillo) è un cantante di successo, un uomo egocentrico e dipendente dalla cocaina. Il calcio e la musica sono fabbriche di sogni e – in un’epoca di eccessi come lo sono stati gli anni ’80 – i due omonimi hanno tutto da perdere: Tony viene sorpreso a letto con una minorenne, mentre Antonio si rompe i legamenti durante un allenamento.

Una chiave di lettura la dà anche la frase che l’ex Presidente rivolge ad Antonio: Penso che il calcio è un gioco e tu sei un uomo fondamentalmente triste. Forse il senso del film è tutto lì, non vale la pena giocare se non ti diverti, perché ’a vita è ‘na strunzata, dice Tony. Ed è la poesia di Sorrentino, grottesca e ironica insieme, sin dal primo film – in quel monologo di Servillo sulla libertà, la vita, la morte, la cocaina e il dolore, c’è già tutto. La narrazione procede parallela raccontando la disfatta dei due protagonisti, omonimi ma diversi, fino a quello sguardo lunghissimo che lega per sempre le loro vite e li conduce ognuno al proprio epilogo.

L’uomo in più del titolo viene citato per tutto il film, ma viene esplicitato solo nel finale: inteso non solo come schema di gioco rivoluzionario (quattro punte invece di tre), ma soprattutto come necessità dell’altro e di quello che rappresenta. Alla fine della storia, quando le luci si spengono, i due infelici si riconoscono come spiriti affini: nell’istante in cui si guardano, scelgono il proprio finale e rifiutano la dittatura dell’apparenza, reagiscono all’emarginazione.

Non è un caso che dell’Italia, prima di indagare la Chiesa, la scelta di Sorrentino sia ricaduta sul mondo della musica leggera e su quello del pallone, entrambi orgoglio del nostro Paese. Il film d’esordio del regista premio Oscar è un insieme di scelte musicali azzardate, luce fredda e regia esplicita, con una sceneggiatura equilibrata e tutti quei contrasti che caratterizzeranno poi tutti i suoi film.

Il talento di Sorrentino si fa notare subito, presentato alla Mostra di Venezia del 2001, vince il Nastro d’Argento per il miglior film esordiente e ottiene tre candidature al David di Donatello. Il regista napoletano è anche autore del soggetto e della sceneggiatura, per creare i due Pisapia si è ispirato a due personaggi reali: il cantautore Franco Califano e il calciatore Agostino Di Bartolomei, morto suicida. Il titolo stesso è ispirato allo schema tattico applicato da Ezio Glerean, allenatore del Cittadella negli anni ‘90.

Il personaggio di Tony tornerà poi nel primo romanzo di Sorrentino Hanno tutti ragione (Premio Strega 2010), però con il nome di Tony Pagoda, erede di Tony Pisapia. Il romanzo ci regala un altro frammento di Tony, l’ultimo pezzo del puzzle: Niente, io sono uno di quelli che, per ingordi di etichette deficienti, viene definito un cantante da night. Però io non sono un’etichetta. Io sono un uomo. Ma che dire, col senno di poi, non era meglio essere un’etichetta?

Quest’esordio è anche l’inizio del sodalizio artistico tra Toni Servillo e Paolo Sorrentino, un’amicizia determinante per la carriera di entrambi. E pensare che Servillo ha conosciuto Sorrentino lavorando a teatro, ma all’inizio non aveva un grande interesse per questa collaborazione. Un classico momento alla Sliding Doors, chissà come sarebbe andata altrimenti.