Ossessione: il gesto trasgressivo e simbolico di Luchino Visconti

luchino visconti

Luchino Visconti (1906-1976) è stato una figura di spicco nel panorama artistico e culturale italiano. Milanese di nascita, regista e scrittore ribelle e anticonformista, è stato uno dei padri del Neorealismo. Ha diretto numerosi film a carattere storico, la sua estrema cura delle ambientazioni e delle scenografie è stata ammirata e imitata da numerose generazioni di autori. Con la sua attività, intensa fino alla morte, si classifica come uno degli uomini più prolifici e influenti del periodo postbellico italiano. Nel corso della sua carriera, tra gli altri riconoscimenti, ha ottenuto un Leone d’argento e un Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia, la Palma d’oro al Festival di Cannes per Il Gattopardo (1963) e quattro volte il Nastro d’argento come miglior regista.

Iracondo, despota del set, maniaco della perfezione, bisessuale, aristocratico tormentato e comunista militante. Quella di Visconti è una vita atipica e avventurosa: in Francia ha una relazione con Coco Chanel che gli presenta Jean Renoir e comincia a lavorare come assistente su vari set cinematografici. Quando l’Italia è nel caos fra i bombardamenti di Roma e la guerra civile, frequenta l’ambiente antifascista dei redattori della rivista Cinema e partecipa attivamente alla Resistenza mettendo a disposizione la propria casa, trasformata per l’occasione in rifugio segreto, e per questo un’attrice lo salva per un pelo dalla condanna a morte per fucilazione.

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Il suo esordio cinematografico avviene a quarant’anni: Ossessione (1943) è il primo film ad essere definito neorealista, ed è proprio il montatore, Mario Serandrei, il primo a definirlo tale ufficializzando la nascita di un genere che avrà grande fortuna in quegli anni. L’opera prima di Visconti è ispirata a The Postman Always Rings Twice (Il postino suona sempre due volte) di James M. Cain, ma la situazione politica italiana non gli ha permesso di ottenere i diritti dell’opera che perciò non viene citata nei titoli del film, danneggiando per questo la distribuzione.

La pellicola è ambientata nelle campagne ferraresi e i due interpreti principali sono Massimo Girotti (Gino) e Clara Calamai (Giovanna); si racconta la storia d’amore di due amanti e assassini che arrivano a sbarazzarsi del marito di lei, aspirando a una felicità che non raggiungeranno mai. La regia di Visconti è composta da inquadrature studiate nel dettaglio e movimenti di macchina calibrati, con una resa visiva tendente alla perfezione. I contrasti dominano il film, dal nettissimo bianco e nero allo studio degli spazi: interni oppressivi, esterni desolati, campi lunghissimi e dispersivi. Infatti, in Ossessione Visconti riversa tutto ciò che ha imparato dal realismo poetico di Renoir e dalle esperienze teatrali, ma si può scorgere anche quell’americanismo che lo appassiona e che rende il film efficace e senza fronzoli.

L’uscita in sala genera molto entusiasmo tra i giovanissimi critici, ma al contempo scatena un’oppressione fascista molto decisa: proiezioni interrotte, perquisizioni delle sale e minacce ai gestori dei cinema sono all’ordine del giorno. La pellicola per un periodo è anche parzialmente censurata e persino sequestrata, ma Visconti è riuscito a tenere nascosta una copia del negativo fino alla fine della guerra.

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In Ossessione, il fulcro è la critica dello squallido modello di esistenza piccolo-borghese tanto caro al fascismo e al cosiddetto cinema dei telefoni bianchi. Inoltre, per la Feminist Film Theory, in questa pellicola per la prima volta il corpo di un uomo diviene elemento sensuale e oggetto del desiderio dello sguardo di una donna: mediante una soggettiva di Giovanna, la macchina da presa si avvicina al viso di Gino, anche l’abbigliamento (una canottiera attillata e molto scollata) enfatizza la caratterizzazione sensuale e il suo corpo è spesso l’oggetto degli sguardi espliciti di altri personaggi femminili, ma anche di quelli maschili come lo spagnolo, figura emblematica al centro di aspre polemiche a causa del sotto-testo omoerotico.

In un’Italia pervasa dalla cultura fascista dove sia l’adulterio che l’omosessualità sono banditi, fare un film toccando entrambi i temi è un gesto fortemente trasgressivo e simbolico. Luchino Visconti è stato un regista privilegiato che ha scelto di raccontare i vinti e di mettersi dalla loro parte sia dietro la macchina da presa che nella vita. Questo ha fatto di Ossessione una delle cento pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese e, di Visconti, l’indimenticabile Conte rosso.