L’afide e la formica: la corsa verso la libertà di Mario Vitale

L'afide e la formica
Cristina Parku e Beppe Fiorello in "L'afide e la formica" (ph: Giuseppe Carchedi).

Premiato ai Fabrique du Cinéma Awards 2021 come Migliore opera prima italiana, L’afide e la formica di Mario Vitale racconta la storia di Fatima (Cristina Parku), sedicenne nata in Calabria da genitori marocchini, e di Michele (Beppe Fiorello), suo insegnante di educazione fisica. Tra i due si instaurerà un rapporto di simbiosi che cambierà radicalmente le loro vite. Il film, distribuito da Zenit Distribution e prodotto da Luca Marino per Indaco Film in collaborazione con Rai Cinema, dopo essere stato proiettato in alcune sale italiane, da domani approda su Sky Cinema e Now Tv.

Mario, quali sono le motivazioni che si nascondono dietro al titolo L’afide e la formica?

Nasce da un dialogo del film in cui i due protagonisti parlano di due insetti, l’afide e la formica, e prendono questo esempio di simbiosi in natura per descrivere il loro rapporto. Il film racconta di due personaggi che si scambiano emozioni, che entrano in contatto l’uno con l’altro aiutandosi vicendevolmente. Mi piaceva porre l’accento sullo scambio culturale ed emotivo che c’è tra i personaggi.

Il film è stato girato a Lamezia Terme, dove sei nato. Perché hai scelto la Calabria come scenario della storia?

Ci tenevo a raccontare una storia legata alla mia terra diversa rispetto alla narrazione stereotipata a cui siamo stati abituati in questi anni. Allargando inoltre il discorso ai nuovi cittadini italiani: gli immigrati di seconda generazione. Il mio sogno è sempre stato quello di fare cinema in Calabria e questa storia nasce ambientata nella mia città. Mentre scrivevo la sceneggiatura con gli altri autori i luoghi che descrivevamo erano quelli in cui ho vissuto, ed è stato automatico trasportarli nella realtà durante le riprese.

Come avete affrontato la costruzione di un personaggio attuale come quello di Fatima?

Sono da sempre un appassionato di film che hanno come tema la crescita, all’adolescenza realizzati negli anni ’80, come Stand by Me. Per raccontare Fatima ci siamo calati nel profondo di questi nuovi cittadini italiani provando a immaginare quale potesse essere la loro adolescenza, documentandoci anche attraverso varie testimonianze. Ma i temi principali dell’adolescenza sono comuni a tutti, che tu sia italiano, calabrese o marocchino.

L'afide e la formica
(ph: Giuseppe Carchedi)

Fatima è in una zona grigia: non sa chi è, se è italiana o marocchina. Rappresenta la generazione Z che rompe con il passato creando nuove identità…

È una nuova identità che prescinde dal luogo in cui nasci e cresci, legata specialmente alle emozioni e le vicissitudini che si affrontano nella vita. A un certo punto del film Fatima dice: «Non so se sono italiana, non so se sono marocchina. Io so solo che voglio essere come tutti gli altri». Forse neanche a lei interessa sapere se è italiana o marocchina. È così importante darci un’etichetta? Magari no, magari bisogna essere solo degli esseri umani che cercano la felicità e la libertà.

Ispirato dal coraggio di Fatima anche Michele (Beppe Fiorello) abbatte il muro del silenzio e della paura. Entrambi usano lo sport come mezzo di liberazione dal passato.

Nel film lo sport, rappresentato dalla corsa, ci sembrava la metafora giusta per parlare di un percorso. La corsa è sia voglia di scappare, come dice Michele a Fatima, sia la metafora giusta per parlare di un viaggio. Fatima e Michele partono insieme per un viaggio che non è altro che la corsa della loro vita. Non finisce, arriva a una destinazione che segna un nuovo inizio, con il passaggio di testimone tra loro due, come una sorta di staffetta. Michele finisce la sua corsa ma permette a Fatima di iniziarne una nuova.

Com’è stato lavorare con Giuseppe Fiorello, Valentina Lodovini e la giovane Cristina Parku?

Ancora oggi, due anni dopo le riprese, continuiamo a sentirci tutti. Il film è stato girato in piena pandemia e i problemi potevano essere tanti, invece sul set si è creato un clima veramente bello, sia con la troupe che con gli attori. Nonostante molti di loro, Beppe, Valentina, Alessio Praticò e Nadia Kibout siano attori di grande fama, sono diventati parte integrante di questo gruppo. Tra Cristina, alla sua prima esperienza, e gli altri attori si è creato lo stesso rapporto simbiotico che vivono i due protagonisti del film, ognuno è riuscito a tirar fuori il meglio l’uno dall’altro.

Qual è il filo conduttore che lega i tuoi lavori?

Recentemente mi sono reso conto che nelle storie che ho raccontato, sia con i corti che con questo primo film, i personaggi cercano una rinascita, una liberazione, e questa liberazione passa attraverso un’umanità che credo dovremmo ritrovare un po’ tutti.

Hai già in mente dei nuovi progetti?

In mente ce ne sono tantissimi. Ora si tratta di concretizzare al massimo e raccogliere i frutti di questo film, che sono l’esperienza acquisita e i riconoscimenti che abbiamo ricevuto sul campo, come il premio di Fabrique du Cinéma. Fare tesoro di tutto questo e realizzare un nuovo film, questo è il mio prossimo obiettivo.