Guarda in alto: l’arte del sogno secondo Fulvio Risuleo

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Dopo i successi internazionali ottenuti grazie ai cortometraggi, Fulvio Risuleo esordisce nel cinema con Guarda in alto, un’opera incentrata sulle avventure oniriche di Teco, giovane fornaio che scopre un mondo bizzarro e fiabesco sui tetti di Roma.

 

Tra gli addetti ai lavori, di Fulvio Risuleo si parlava già da qualche anno come uno dei possibili nuovi talenti del cinema italiano. Il ventiseienne regista romano, infatti, con Lievito madre aveva vinto nel 2014 il terzo premio alla Cinéfondation del Festival di Cannes, sezione dedicata ai lavori provenienti dalle scuole di cinema di tutto il mondo, mentre l’anno successivo, sempre nel contesto della kermesse francese, grazie a Varicella si era aggiudicato il premio per il miglior cortometraggio alla Semaine de la Critique.

Con il suo primo film Guarda in alto, presentato alla Festa del Cinema di Roma del 2017, il giovane autore formatosi al Centro Sperimentale torna alle atmosfere surreali che a diversi gradi caratterizzavano le sue opere brevi e conferma il proprio talento immaginifico, dimostrando già maturità dietro la macchina da presa. Cineasta, sceneggiatore ma anche fumettista, Fulvio ci ha parlato del suo originale esordio, così diverso rispetto a quanto solitamente offerto dal panorama cinematografico italiano.

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L’idea di ambientare il film in un mondo fantastico sui tetti di Roma è affascinante. Com’è nata?

Inizialmente volevo fare un film d’avventura ambientato a Roma, qualcosa di vicino a un road movie. Mentre stavo lavorando a questa idea, trovandomi su un tetto di un palazzo di Piazza Vittorio ho notato che i tetti circostanti erano collegati, o quantomeno molto vicini, e così ho immaginato di spostare tutti i personaggi a cui stavo pensando al di sopra della città. Mi sono subito reso conto che la cosa poteva funzionare e mi piaceva il fatto di rendere quello dei tetti un mondo dove tutto fosse possibile. Ho così coinvolto il co-sceneggiatore Andrea Sorini e insieme abbiamo ricercato un equilibrio sul piano narrativo. Per me era fondamentale che il film risultasse in qualche modo credibile e potesse essere accettato da un pubblico ampio, non solo dagli appassionati del genere fantastico.

Il protagonista si imbatte in diversi personaggi stravaganti, molto diversi tra loro ma accomunati dall’esigenza di trovare qualcosa di più eccitante della mera quotidianità. In un certo senso, il tuo mi sembra un film “politico” sulla necessità di sognare per vivere appieno la vita.

Dal mio punto di vista il film non ha significati particolarmente profondi, però il principale è proprio questo, suggerito in maniera esplicita dal titolo e da un personaggio verso la fine. È molto importante avere curiosità e volontà di esplorare contesti nuovi: se le cose si vanno a cercare, si vive meglio. Volevo che tutti i personaggi incontrati da Teco fossero come lui, cioè persone bloccate che sui tetti hanno trovato il luogo ideale per esprimersi. L’idea di un personaggio ipnotizzato poiché si sente inadatto, inadeguato rispetto alla vita, mi interessava molto. Ognuno di noi a tutte le età può avere un analogo momento di difficoltà, non si tratta semplicemente di una questione generazionale.

L’accompagnamento sonoro di Sun Araw è suggestivo. Come sei entrato in contatto con il musicista neo-psichedelico statunitense e che apporto cercavi dalla colonna sonora?

Per il film non volevo una tradizionale musica cinematografica di commento. Non mi interessava quella musica un po’ subdola che non capisci mai se c’è o non c’è: l’intenzione era di sottolineare con forza solo alcuni specifici momenti dell’azione, affidandomi a composizioni originali che creassero un contrasto interessante con le immagini. Per ottenere questo risultato ho cercato su internet vari artisti e mi sono così imbattuto in Sun Araw. Quando ci siamo incontrati ci siamo capiti subito e sono stato fortunato perché, oltre a essere un musicista bravissimo, è una persona sensibile con cui sono entrato in contatto facilmente. Il molto materiale da lui prodotto per il film, in gran parte non presente nel montaggio finale, verrà pubblicato in un album.

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L’opera prima è interessante anche dal punto di vista stilistico. Che tipo di approccio hai avuto alla regia?

L’idea era di puntare su un registro realistico per creare una sorta di contrappunto rispetto alla natura fiabesca della storia. Non volevo che le bizzarrie del film venissero sottolineate da una messa in scena troppo appariscente. Mi piace molto quando si crea questo cortocircuito, come accade ad esempio nella letteratura fantastica, dove spesso la scrittura è realistica mentre gli elementi narrati sono surreali. Fin dall’inizio, quindi, volevo girare ricorrendo a qualche piano-sequenza ma soprattutto a inquadrature molto lunghe e larghe. Abbiamo usato spesso grandangoli per poter stare un po’ in disparte, lontani dall’azione, e riprendere tutto senza dover seguire un personaggio o un altro. È stata dunque una regia più descrittiva della totalità dei personaggi: non a caso, i primi piani sono abbastanza pochi e hanno lo scopo di evidenziare particolari sensazioni dei personaggi, come accade nella seconda parte con Teco e Stella e nel finale con il muto e la bambina.

Per le atmosfere che evoca e per l’inventiva immaginifica, Guarda in alto a tratti mi ha ricordato il cinema di Michel Gondry e Spike Jonze. Quali sono state le tue ispirazioni?

Gondry e Jonze sono due dei registi che preferisco in assoluto e quindi penso che tanto i loro lavori brevi quanto quelli lunghi mi abbiano condizionato. In generale, la scuola di quei registi degli anni novanta che venivano dal mondo dei videoclip e della pubblicità, di cui fanno parte anche Jonathan Glazer e Chris Cunningham, mi ha sempre affascinato. Magari i loro lavori non saranno sempre completamente riusciti, ma mi ispirano perché trasmettono la voglia di uscire un po’ dagli schemi muovendosi con maggiore libertà e sperimentando con più linguaggi. Per questo film però i punti di riferimento sono soprattutto legati al mondo del fumetto, una mia grande passione. Anche se la storia di Guarda in alto è pensata in maniera indipendente e non è direttamente legata a nulla in particolare, dovendo fare un film d’avventura con un protagonista giovane che vaga in una Roma un po’ strana ho pensato molto ai fumetti di Tin Tin, mentre per quanto riguarda opere più contemporanee una fonte di ispirazione è stata Black Hole di Charles Burns.

Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?

Sto scrivendo un nuovo film che vorrei concludere in tempi brevi, perché la sceneggiatura ce l’ho in testa da tempo. Si tratta di un giallo che ruota attorno a un bulldog francese, con due storie molto diverse che vengono unite dal cane e dei personaggi che si improvvisano investigatori. Nel frattempo ho finito un fumetto per cui sono in cerca di un editore, che si muove un po’ sulla stessa lunghezza d’onda del mio primo Pixel, tra il demenziale e il filosofico.

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