TikTok: perché il social più amato dalla Generazione Z è la nuova frontiera dei filmmakers

TikTok
Il celeberrimo logo di TikTok.

La prima cosa da sapere è che TikTok non è più il social dei balletti in lip sync e dei video scemi: i grandi brand della musica, del fashion, del food e dell’entertainment ci sono sbarcati già da un pezzo e con loro una schiera di professionisti, dal medico all’avvocato e all’insegnante di inglese che ne hanno cambiato la fisionomia. I punti di forza che hanno fatto di TikTok (proprietà dell’azienda cinese ByteDance) il social più scaricato al mondo, in grado di tallonare il diretto rivale Instagram, sono il ruolo fondamentale della musica e la facilità di video editing. Tutti elementi che lo rendono potenzialmente uno strumento adattissimo ai videomaker. Ma c’è molto di più:  Federico Rognoni, Michele Pierangeli e Alessandro Bogliari, tre degli esperti che interverranno all’evento TikTalks a Palazzo Velli (Roma) il 28 maggio, ci aiutano a capire meglio le potenzialità del social più amato dai giovani e più odiato da chi lo vede, fra l’altro, come un cavallo di Troia della Cina (epico lo scontro con Trump alla fine della sua presidenza).

Federico Rognoni, 21 anni da pochi giorni e 250mila follower

Federico Rognoni è un social media strategist e lavora con aziende importanti (Amazon Prime Video, Idealista, Flowe – la banca digital di Mediolanum, Uber Eats, Calvin Klein) per farle crescere su TikTok. Alla domanda su quale azienda secondo lui ha il profilo più efficace risponde sicuro: «Mi piace molto il Washington Post [lo storico quotidiano americano acquistato nel 2013 da Jeff Bezos, proprietario di Amazon]. Da due anni stanno facendo un lavoro pazzesco su TikTok, perché hanno capito la cosa principale: qui vince la comunicazione diretta da persona a persona, il video istituzionale non funziona, c’è bisogno di una faccia, che sia quella del Ceo, di un dipendente o di un ambassador». Primo punto dunque: comunicazione da persona a persona. E sullo stesso piano: l’ambassador o l’influencer su TikTok è infatti diverso da quello di Instagram, qui conta molto meno la notorietà, conta il contenuto: «Se un post è ben fatto può arrivare sulla sezione “Per te” di centinaia di migliaia di utenti, anche quello di un creator alle prime armi; e, viceversa, il post di un influencer può “floppare” anche se ha milioni di follower».

Federico Rognoni TikTok
Federico Rognoni, social media strategist specialista di TikTok.

Insomma ogni volta è una scommessa: un contenuto può andare molto bene o molto male, e questa è anche una delle ragioni per cui ingaggiare un influencer su TikTok è tuttora meno costoso che su Instagram, tranne eccezioni ben note come l’inarrivabile Charli D’Amelio (115 milioni di follower). «Se prendi un giovane influencer con 100mila follower – spiega Federico – puoi cavartela con 250-300 euro, mentre su Instagram serve almeno il doppio; ma se il giovane influencer fa un video fantastico può ricevere anche un milione di views, mentre Instagram la platea è più o meno sempre la stessa, fai sempre gli stessi numeri. Chiaro che poi i grandi brand come Amazon Prime Video spendono in due giorni quello che un brand medio spende in due anni. Ho fatto campagne di influencer marketing e ADV su film e serie come Borat 2, The wilds, After 2 che hanno funzionato benissimo, anche per via del budget. Ma non bisogna dimenticare che proprio perché è importante costruire la propria base di follower non ha senso sparare tutte le cartucce il giorno dell’uscita del film, bisogna lavorarci con costanza».

Ok, i grandi brand sanno come fare: ma i giovani film maker possono avvantaggiarsi di TikTok, e come? Federico non ha dubbi: «Certo. Dato che sanno fare storytelling potrebbero raccontare il pre, il durante e il dopo del loro lavoro, magari con una serie di mini-episodi. Ma soprattutto devono imparare a creare un vero rapporto con il pubblico: conviene farlo ora, in cui la crescita dei follower è ancora organica, perché l’anno prossimo TikTok probabilmente diventerà come Instagram, in cui se non spendi le views sono sempre più basse». È vero che bisogna essere superveloci? «Sì, in genere i video che vanno di più sono sotto i 17 secondi, però se sei bravo puoi arrivare anche a 1 minuto».

Ma se vogliamo dare uno sguardo a come sarà il futuro, assicura Federico, basta guardare Duyn, la versione cinese di TikTok, in cui c’è una parte dedicata alle live molto sostanziosa, durante le quali gli utenti assistono a delle vere e proprie televendite da parte degli influencer, interagendo con loro e comprando direttamente sul social (si chiama social commerce, e in USA e in Europa non è ancora molto sviluppato).

Michele Pierangeli è un Influencer Coach, che accompagna «persone straordinarie a riscoprire se stesse per creare impatto positivo nel mondo»

Con studi di psicologia cognitiva e teoria e tecnologia della comunicazione, Michele Pierangeli ha un passato di consulente aziendale per grandi aziende (Unicredit, Nokia) in cui si occupava di user experience researching (intervistando le persone per migliorare servizi e prodotti tecnologici); poi un’esperienza in una start up a San Francisco gli ha insegnato una differenza chiave fra la cultura italiana e quella americana: la cultura americana è fondata sul what’s next, “come risolviamo il problema”, quindi sul futuro, quella italiana più sul passato, su “di chi è la colpa”. Lezione che gli è stata utilissima per coniugare la passione per la tecnologia a quella per le persone e i loro sogni, lavorando soprattutto con il loro lato emotivo: «Sono convinto che tutti siamo dei piccoli influencer, con i nostri amici, familiari, colleghi: ecco, io aiuto le persone a diventare veri e propri influencer insegnando loro a usare bene tutte le emozioni, anche quelle negative, in maniera non distruttiva ma costruttiva». Uno dei primi influencer di successo che Michele ha seguito è Norma’s teaching, al secolo Norma Cerletti, 29enne che con l’hashtag #ImparaConTikTok è arrivata quasi a 400 mila follower.

Michele Pierangeli coach e TikToker
Michele Pierangeli, coach e TikToker.

Michele spiega così il suo entusiamo per TikTok: «Ho sempre amato tutto quello che è gioco e divertimento, e TikTok non poteva che conquistarmi subito per la facilità nel montaggio dei video, dell’aggiunta delle musiche e della possibilità incredibile di condivisione (il mio primo video ha avuto 38mila visualizzazioni in un giorno dal nulla!)».  Sul suo profilo pubblica ricette di cucina a base vegetale seguite anche dai più piccoli («così sono ispirati a mangiare le verdure») e crede molto nella crescita sempre maggiore del settore educational su TikTok. Anche lui sottolinea la necessità per i brand di avere una faccia e di coinvolgere altri influencer sui propri valori: «Bisogna capire qual è il proprio valore (ad esempio l’inclusione o la creatività) e poi trasformarlo in contenuti per TikTok, la cui base per me è essere se stessi, esprimere la propria autenticità, anche nei lati meno positivi. Non credo all’idea di seguire l’algoritmo per avere successo, ma a basarsi su quello che funziona realmente, ovvero: storytelling, education, emozione». È tenendo a mente questo comandamento che registi e videomaker potrebbero raccontare quello che sta dietro il loro film, come vivono il processo creativo e produttivo: il tema è sempre quello di ascoltare la propria audience, dialogare con i follower, farli sentire coinvolti.

Ma c’è un aspetto più profondo che Michele mi indica: qui la vera sfida non è quella di andare alla ricerca di una comunità che già esiste, ma di crearne una propria. «Il punto non è “c’è una comunità per me”, ma “che comunità voglio creare nel mondo?” Solo così sono davvero creativo, un changemaker, altrimenti resto un viaggiatore, un nomade. Quando io ho iniziato a pubblicare video di cucina su TikTok ero il primo in Italia. All’inizio è difficile, bisogna tenere duro: ma se pubblichi anche un video al giorno e non per ottenere visualizzazioni, ma perché vuoi creare la tua community e ti piace quello che fai, allora non sbagli».

Alessandro Bogliari: «Se sento ancora qualcuno dire che TikTok è il social dei balletti, so che non l’ha mai nemmeno scaricato»

Mentre parliamo su Zoom la finestra inquadra lo skyline assolato di New York, in cui Alessandro Bogliari vive da due anni e dove ha fondato l’agenzia The Influencer Marketing Factory, una delle prime a lavorare su TikTok. I clienti sono numeri uno: Sony, Universal, Warner, Google, Snapchat, Donkin e sono sparsi fra USA, Canada, Australia, Giappone, Corea, Cina, Europa. «Mi sono appassionato a TikTok perché mi ricordava Vine, una app in cui si caricavano video di 6-7 secondi con storie fantastiche: nonostante il successo è durata solo pochi anni, Twitter che l’ha acquistata nel 2012 non è stato bravo a monetizzarla. All’inizio TikTok era il posto degli outsider – gamers e furries (persone che si travestono da animali, una comunità molto viva in America) – ma già balzava agli occhi la semplicità di editing del suono, potevi mettere la musica con un bottone e via. E c’erano già i duetti. Questa è una delle grandi differenze con altri social: su Instagram, ad esempio, crei un contenuto che va one to many e finita lì. Su TikTok invece è one-to many-to many: creo un contenuto, metto un hashtag e raggiungo tante persone che a loro volta possono duettare, fare lo stitch (prendere una parte di video e metterne un’altra) o remixare, causando un effetto domino con centinaia di migliaia di video creati a partire dal primo. Allora mi sono detto: se qui si può arrivare a grandi numeri anche con una base di follower ristretta, la gente non avrà voglia di lavorare cinque anni su Instagram per ottenere gli stessi risultati. E così è nata l’idea di The Influencer Marketing Factory».

Alessandro Bogliari Tik Tok
Alessandro Bogliari, cofondatore e Ceo di The Influencer Marketing Factory.

Quindi per te TikTok è e sarà ancora il luogo in cui si può passare da zero a un milione di views? «Diciamo che l’azienda, ByteDance, ha sempre detto di voler dare a tutti una possibilità, non solo ai grandi: per avere dai tre ai cinque milioni di follower può bastare un anno o anche meno, sugli altri social possono servire anche otto anni. Continuerà così perché secondo me ByteDance ha capito che i creator sono il suo pane e senza di loro TikTok non esiste». Sui punti di forza di questo social, Alessandro aggiunge interessanti elementi di riflessione: «Instagram è network-based: è nato perché le persone volevano connettersi con i loro amici, postare le foto di quello che mangiavano, delle vacanze ecc. Invece TikTok è content-based: quello che mi appare sullo schermo non è legato a dei nodi del network, è legato solo a quello che mi piace. Qui segui una persona non per chi è, ma per il contenuto che fa». Un’altra caratteristica essenziale, la ricerca di autenticità, secondo Alessandro è propria della Generazione Z, quella che più di tutti sta su TikTok: «È il posto ideale per i ragazzi della Gen Z, con i loro valori di body positivity, libertà di orientamento sessuale, antirazzismo e ambientalismo, in cui sentirsi liberi e accettati». Il divario con il mondo finto delle celebrities photoshoppate di Instagram si è ampliato con il lockdown: i ragazzi non ne potevano più di vedere la star che diceva “siamo tutti uniti” dalla villa a Beverly Hills, mentre loro soffocavano in appartamenti minuscoli. E si sono rivolti ad altri ragazzi che raccontavano vite normali come le loro e con il loro linguaggio. Infatti gli influencer di TikTok sono native, la loro fama non deriva dal cinema o dalla televisione, è nata proprio sul social, per questo sono più alla mano, sanno parlare e ascoltare i loro follower.

«Questa vicinanza talvolta può far pensare che sia facile diventare un influencer e avere ricchi contratti dagli sponsor. Io che lavoro con molti di loro so quanto impegno e quanta cura richieda arrivare a livelli alti e restarci. E se dovessi indicare un aspetto negativo di TikTok, tralasciando quelli generici che valgono per tutto quello che sta su Internet, direi che forse è proprio questo». Dal tuo punto di osservazione, come vedi che si stanno muovendo i registi e gli autori di cinema su TikTok? «Ce ne sono di bravissimi, con uno stile molto riconoscibile e ragionato in verticale come dovrebbe essere per i social, altri che lo usano come “gancio” per loro canale Youtube magari perché invece la loro modalità è il formato orizzontale, il classico 16:9. Noi italiani siamo un po’ sbrodoloni, non siamo bravi nella sintesi: ma il mondo del digital ha tempi brevissimi, tu devi creare attenzione nel primo secondo di video prima di fare lo scroll. Tuttavia è un fenomeno che ormai si verifica anche con le piattaforme streaming: prima gli spettatori andavano al cinema e stavano lì per due ore, adesso hai qualcosa come 7 minuti per interessarli prima che scelgano un altro titolo della library di Netflix, Amazon, Disney+ o altri».

(Si ringrazia Chiara Spoletini)

Federico Rognoni, Michele Pierangeli e Alessandro Bogliari saranno a:

TIKTALKS

Your business, your creativity

Roma, Palazzo Velli, 28 maggio 2021, 9-19.30 ingresso libero

L’evento sarà diviso in due parti: al mattino tavola rotonda per i ragazzi su: “Nuove figure e modalità di lavoro sui social, oltre il divertimento. Pro e contro”. Pomeriggio dedicato invece alle aziende. Oltre a una tavola rotonda su “Le potenzialità di TikTok per la mia azienda” gli ospiti potranno partecipare visitare la “Stanza consulenze” dove incontreranno un tiktoker e coach esperto pronto a dispensare consigli su come aprire un profilo TikTok e come farlo vivere ottenendo risultati importanti, potranno realizzare TikTok nei box a tema allestiti e potranno entrare nella “Stanza di Petra”, dove l’artista ASMR Petra lo Coco li trasporterà con la sua voce.