Junk: una docuserie ai confini del mondo sui segreti del fast-fashion

Junk
"Junk - Armadi pieni" è una docuserie condotta da Matteo Ward per la regia di Olmo Parenti e Matteo Keffer.

Questa storia inizia in un deserto che fino a pochi decenni fa era fatto di sabbia, il Deserto di Atacama, in Cile. La sabbia oggi ha lasciato il posto a montagne di indumenti, calze e scarpe provenienti dall’Occidente per dar vita ad un armadio-discarica a cielo aperto. Le sequenze iniziali sembrano quelle di un pericoloso futuro distopico, e invece il futuro distopico si è già avverato. Tutto questo è Junk – Armadi pieni, una docuserie di Will Studio e Sky Italia, condotta da Matteo Ward per la regia di Olmo Parenti e Matteo Keffer.

In sei episodi e in quattro continenti ci mostrano i dark side del fast-fashion, l’impatto delle nostre scelte d’acquisto sul pianeta e sulle persone e su come le multinazionali del tessile sfruttano l’economia di scala spostandosi nei paesi più poveri del mondo in cui trovano scarsa regolamentazione ambientale e manodopera a basso costo, spesso anche umano, come avviene in Bangladesh.

Ma come siamo arrivati fin qui? Come nascono “i cimiteri della moda”? Tra le principali criticità messe in luce nella docuserie ci sono i resi online o in negozio: il costo di ricondizionamento risulta eccessivamente oneroso per il brand che preferisce dunque rivenderli per poche lire all’ingrosso nei mercati del Sud America o dell’Africa. A seguire le donazioni: un’alta percentuale di capi arriva nei centri di smistamento già fallata e di conseguenza non può essere donata. Infatti quando ti sbarazzi della plastica la chiami spazzatura, ma quando sono vestiti la chiami donazione“.

Il racconto ci conduce fino in Indonesia dove la produzione di viscosa compromette la salute delle persone e causa deforestazione. Le immagini e le storie raccontate attraverso i volti di chi sta perdendo tutto o di chi non ha avuto niente sono durissime da sopportare eppure necessarie, perché la consapevolezza passa attraverso l’informazione e mai come in questo caso il cinema diventa strumento d’azione.

Ogni episodio di Junk si conclude con un monito, un’iniziativa all’agire per il futuro perché abbiamo tra le mani il potere di cambiare la domanda. Varie soluzioni emergono nella docuserie: acquistare di meno, tenere i capi più a lungo possibile, farli modificare o aggiustare laddove necessario e in un’ottica più istituzionale produrre di meno e investire nel riciclo o nell’upcycle tessile.

La ninna-nanna che Marion canta ai suoi figli mentre lavora al mercato di Accra mi accompagna mentre scrivo, e nelle sue lacrime sorde si raccoglie il dolore di intere comunità che non hanno alternative. L’augurio è che progetti come Junk possano accrescere consapevolezza e far comprendere che il cambiamento dipende soprattutto da noi.