Nessun filtro: Bacon raccontato a fumetti da Cristina Portolano

Una profonda consapevolezza espressiva e personale, rende Cristina Portolano una delle fumettiste e illustratrici più interessanti nel panorama italiano.

Napoletana, classe 1986, ha da poco pubblicato con successo per Centauria una biografia a fumetti del pittore irlandese Francis Bacon (ancora fino al 23 febbraio la mostra su di lui, Lucien Freud e la cosiddetta Scuola di londra a Roma al Chiostro del Bramante), ma, come la sua bibliografia dimostra, non ha problemi a raccontare sulle pagine disegnate anche la parte più intima di sé stessa.

 Com’è nato l’interesse per Francis Bacon e qual è più in generale il tuo rapporto con l’arte contemporanea?

È nato in un viaggio che ho fatto a Dublino, un anno fa, dove ho visitato la ricostruzione del suo studio londinese alla Dublin City Gallery The Hugh Lane. Tornata in Italia ho “intercettato” l’interesse di Centauria nel commissionare una biographic novel su di lui. Il mio rapporto con l’arte contemporanea è buono ma discontinuo: mi affascinano tutti i movimenti nati durante i decenni del dopoguerra e ognuno ha qualche artista che mi ha lasciato qualcosa. Oltre Freud e Bacon, che ammiravo molto anche prima di fare il fumetto, mi piacciono Mario Sironi, Edward Hopper, ma anche Claude Cahun, César Manrique. Credo che chi fa fumetti debba nutrirsi di altre immagini, di altri disegni, performance, installazioni e di tutto ciò che alimenta un pensiero critico. Noi siamo soltanto il prodotto di tutte le opere del passato e non possiamo fare a meno di accettare questa condizione. Essere la somma di ciò che abbiamo visto e vissuto.

Quali sono invece i tuoi riferimenti nel mondo del fumetto?

Tantissimi. Sono cresciuta negli anni ’90 con i Manga giapponesi di autori come Ai Yazawa, Naoko Takeuchi, Akira Toriyama, Clamp, Masakazu Katsura. Poi fumetto dopo fumetto sono inciampata nella rivista Kappa magazine che mi ha dirottata su Mondo Naif e da lì mi si è aperto un mondo di autori come Vanna Vinci, Davide Toffolo, Otto Gabos, Andrea Accardi, Marjane Satrapi. A Bologna, dove mi sono trasferita per frequentare l’Accademia di Belle Arti, ho conosciuto altri illustratori del calibro di Igort, Gipi, Lorenzo Mattotti, Gabriella Giandelli, Daniel Clowes, Phoebe Gloeckner, Rutu Modan, David.B e negli ultimi anni ho scoperto il Gekiga con Yoshihiro Tatsumi, Shin’ichi Abe, Tsuge, ripubblicati in Italia da Canicola.

Con Bacon ti sei occupata della biografia di un personaggio celebre, ma il tuo lavoro dimostra anche una grande capacità nel raccontare te stessa, da Quasi signorina a Non so chi sei. Quali sono state le difficoltà nell’affrontare il racconto autobiografico?

A vent’anni mi hanno segnata molto autori autobiografici nordamericani come Seth, Joe Matt e Chester Brown, quindi per me è naturale raccontarmi. Anche quando si tratta delle vite degli altri c’è sempre un po’ di te, o almeno questo è lo spirito con cui affronto le biografie. Nel raccontare me stessa, invece, il procedimento è semplice ma complesso allo stesso tempo, poiché il materiale da selezionare è tanto e spesso la realizzazione è una sorta di terapia, di psicoanalisi. Le difficoltà che ho riscontrato, nell’autobiografia ma non solo, sono relazionali. Devi stare attento a non offendere nessuno se decidi di raccontarlo/rappresentarlo, e questo vale sia per i personaggi principali sia per le “comparse”. Poi spesso in pubblico ti ritrovi a spiegare che se per te non è un problema raccontare determinate cose della tua vita non deve esserlo per gli altri. Non avrei mai raccontato qualcosa che non volevo si sapesse. Sono consapevole dell’uso che faccio dei personaggi e delle conseguenze che questo può avere e me ne assumo ogni responsabilità.

Nel corso del tempo, oltre a un ampliamento dei contenuti, i tuoi libri sembrano essere mutati anche nell’aspetto grafico, in un percorso che mi sembra più legato all’essenzialità del segno e alle precise scelte cromatiche. Come è cambiato, se è cambiato, il tuo approccio al lavoro nel corso del tempo?

Ogni libro ha bisogno di un suo stile grafico specifico. Faccio molta ricerca prima e mi sforzo di trovare il giusto compromesso tra un segno e una colorazione veloci ma funzionali. Bisogna trovare anche uno stile che rimanda a una certa sensazione che è quella che vorresti emergesse dalla storia. L’approccio ovviamente è cresciuto insieme a me ed è cambiato nel tempo. Prima usavo matite, fogli e china (perché per i progetti e libri lunghi voglio sempre qualcosa di “tangibile”), mentre adesso mi ritrovo ad usare anche solo il digitale.

 La tua storia breve per Post pink. Antologia di fumetto femminista conferma il tuo interesse nel raccontare, senza censure né timori, tematiche di genere, sessualità, aspetti intimi ma senza dubbio universali. Pensi che da questo punto di vista ci sia una maggiore attenzione nel panorama editoriale del fumetto, sia negli autori che nei lettori?

Assolutamente sì. Sono molto contenta che siano nate altre voci che si sono distinte e sono riuscite ad emergere in questo senso. Che ci sia attenzione da parte dei lettori lo dimostra sicuramente il grande successo di due giovani fumettiste come Fumettibrutti e Zuzu: entrambe non hanno paura di mostrarsi, raccontarsi e rappresentare il sesso, i sentimenti, i corpi e tutte quelle cose che fino a qualche anno fa erano tabù. La mia paura è vengano percepite solo come fenomeni passeggeri e non voci autorevoli da cui, magari, imparare anche qualcosa. C’è qualche progetto interessante in questo senso (Post Pink ne è un esempio) ma sono sempre troppo pochi e isolati. C’è un problema di “percezione”: si ha troppa paura del giudizio degli altri e troppo poco coraggio per dire ciò che si vuole o trattare argomenti scomodi senza demonizzarli o offrire soluzioni facili. Mi piacerebbe un mondo dell’editoria a fumetti italiana con più autrici coraggiose e più editrici temerarie.

Da un po’ di tempo hai aperto un canale Youtube in cui parli del tuo lavoro e dài suggerimenti sull’illustrazione e il fumetto. La scelta di comparire in video non è scontata per un disegnatore, come è nata questa esigenza?

Il tutto è partito dall’esigenza – e qui ritorniamo all’arte contemporanea – di fare qualcosa di performativo. Mi piace il mio corpo, mi piace interagire con spazi e corpi diversi e sentivo che il disegno, per lasciare la mia testimonianza nel mondo, non bastava. Un giorno mi sono detta che avevo già tutto quello che mi serviva per raccontare agli altri le mie esperienze e dare consigli: una webcam e un canale Youtube! Per questo ho deciso di lasciare le briciole del mio sapere nel tubo e chissà che magari possano servire davvero a qualche aspirante autrice o autore. Ora questa strada mi ha aperto tante possibilità. Ho creato una vera sinergia tra reale e digitale e viceversa.