Ambra Garlaschelli: «Tanto più forte è una luce, tanto più mostruosa è l’ombra che proietta»

    Galatea di Ambra Garlaschelli
    "Galatea", illustrazione di Ambra Garlaschelli per il libro di Madeline Miller (Sonzogno).

    «Tanto più una luce è forte, tanto più netta e mostruosa è l’ombra che proietta». Con questa massima Ambra Garlaschelli sintetizza il suo segno grafico: luci e ombre intense, accostate fra loro a creare immagini di grande impatto. L’illustratrice e fumettista lombarda ribadisce però che è molto aperta alle sperimentazioni, mentre alcuni suoi progetti, come ci ha raccontato, mostrano un consapevole impegno femminista.

    Partiamo dalla bellissima illustrazione per la copertina del Dylan Dog Color Fest. Com’è nata la collaborazione con Bonelli e quale è stato il tuo approccio a un personaggio iconico?

    La collaborazione per questa cover è nata in realtà un po’ per caso. Credo che Roberto Recchioni [il curatore della testata, ndr] mi abbia scovata per via di un post di Michele Garofoli sul sito Lo Spazio Bianco. Dopo qualche mese ho realizzato una commission proprio su Dylan Dog che deve essere piaciuta, perché subito dopo Roberto mi ha contattata per propormi di realizzare una cover per il Color Fest. Caso vuole che dovessero uscire anche le storie di Spugna, Jacopo Starace e Officina Infernale, che conosco molto bene, per cui realizzare la cover del loro numero è stata proprio una coincidenza fortunata. Roberto mi aveva chiesto di proporre un’immagine che raccontasse l’immaginario legato all’Indagatore dell’incubo, per cui ho cercato di condensare il maggior numero di informazioni creando diversi livelli di lettura. La prima cosa che volevo risultasse evidente era Dylan che con un gesto della mano ci invita al silenzio, collegandosi ai segreti e al mistero che li circonda. Dopodiché ho inserito una serie di sotto-tracce all’interno del personaggio, visibili solo se si osserva meglio, come un teschio sovrapposto alla faccia di Dylan, mani mostruose che lo afferrano e due scheletri che gli sussurrano all’orecchio.

    Immagino che le atmosfere oscure di Dylan Dog si sposino bene con il tuo immaginario grafico, fatto di neri profondi e lampi luminosi. È così?

    Sì, direi proprio che a livello di immaginario le atmosfere cupe sono indubbiamente nelle mie corde. Preferisco comunque non etichettarmi in una categoria troppo specifica perché mi piace variare e sperimentare cose nuove. Sono molto attratta dalle note scure, dai movimenti del nero, dalle sue sovrapposizioni e dai contrasti che si creano ed è così che vengo percepita. Ma non significa che abbia un tipo di personalità cupa, anzi!

    Qual è stata la tua formazione e quali i tuoi riferimenti nelle arti visive, dal cinema alla letteratura?

    Dopo la maturità mi sono iscritta allo IED di Milano, sezione Illustrazione e Arti visive. Durante il corso triennale ero ancora molto incerta sulla scelta e anche dopo il diploma ho fatto altro, principalmente grafica; all’illustrazione e alle arti visive mi sono riavvicinata abbastanza di recente. Del nero profondo di cui parli mi sono re-innamorata con l’inizio del mio lavoro nei laboratori di incisione, osservando gli inchiostri calcografici, probabilmente, ma ciò non toglie che mi sia sempre riempita gli occhi di immagini di ogni tipo. Potrei darti una lista di nomi e riferimenti ma sarebbe lunghissima. Indubbiamente le atmosfere cupe e desaturate, le luci nette o soffuse, i tratti nervosi mi hanno sempre attratta, ma nella categoria del visivo rientrano fumetti, illustrazioni, fotografia, grafica, cinema, persino la musica e i testi senza immagini lasciano comunque una sorta di immagine interna. Shakera poi il tutto: il risultato sarà contaminazione pura che però mantiene un mood di fondo e avrai la mia lista di influenze.

    Che rapporto hai invece con il fumetto, sia da lettrice che da autrice?

    Io e il fumetto abbiamo un flirt da anni, anche se nasco principalmente come illustratrice e grafica. Col fumetto a livello autoriale sto amoreggiando a tempo perso, ho un progetto personale in cantiere che porto avanti quando riesco e che mi sono ripromessa di finire in tempi utili. Per il resto leggo fumetti da quando ho imparato a leggere, anche se il vero amore restano i libri. Certo, il fumetto ha una sintesi testo/immagine che lo rende potentissimo rispetto a un libro, ma entrambi fanno parte di ciò che sono diventata a livello personale e professionale. Attualmente sto attraversando l’incomprensibile (a me stessa in primis) “fase cosmologica”: in pratica leggo solo saggi sulla fisica quantistica (prima o poi la capirò!) o sulle origini dell’universo, boh!

    In Favola vera, la storia che hai disegnato per l’antologia Artiste di Flavia Luglioli, ti sei occupata della grande pittrice manierista Lavinia Fontana. Come hai lavorato a questo progetto su una figura storica?

    La storia che mi è stata affidata da Flavia riguardava il primo incontro tra la grande pittrice Lavinia Fontana e Antonieta Gonzales, una bambina di dieci anni affetta da ipertricosi, una malattia caratterizzata da un eccesso di peluria su tutto il corpo ereditata dal padre. Quest’ultimo fu donato al re di Francia come animale esotico, venne educato a corte e infine si sposò con una nobildonna da cui ebbe due figli, entrambi con la stessa malattia genetica. Si pensa che la storia della sua famiglia abbia ispirato la favola de La bella e la bestia.  Nel mio racconto, volutamente muto, volevo dare risalto alla dolcezza e alla timidezza di Antonieta, che ho immaginato a disagio per il fatto di dover essere ritratta proprio per la sua diversità, mentre volevo che Lavinia risultasse molto materna, pratica e aperta (fu madre di ben 11 figli ed era incinta al momento dell’incontro con la bambina), cosa che, unita alla complicità dei due figli e del cane che la accompagnano nella storia, alla fine convincerà Antonieta a uscire dal suo nascondiglio per giocare, permettendo la realizzazione del famoso ritratto.

    Il progetto di questo libro mira anche ad approfondire il ruolo e il lavoro di molte artiste, a volte poco note al grande pubblico. Una sensibilità e un’esigenza, il racconto delle donne, che in un senso diverso – ma per certi aspetti contiguo – ritorna anche nel romanzo La porta del cielo di Ana Llurba, che hai illustrato per Eris. Cosa ci puoi dire delle tue esperienze professionali in questo senso?

    Concordo, sia per Favola vera che per La porta del cielo di Ana Llurba il tema femminile è molto forte, così come nel libro che ho illustrato di recente per Sonzogno, Galatea, sul testo di Madeline Miller. Soprattutto gli ultimi due racconti citati sono legati a personaggi femminili che cercano di scappare o evadere da un rapporto tossico, violento e dominante legato a figure maschili. Ultimamente ho realizzato molte illustrazioni legate al tema femminista. Credo che sia un momento molto forte quello che stiamo vivendo, in cui la voce delle donne, un po’ in tutti i settori compreso quello artistico, si sta facendo sentire parecchio con lo scopo di dare più fastidio possibile proprio perché è evidente che esiste ancora una grande disparità tra i generi, sia in ambito privato che professionale. La strada da fare è ancora lunga e credo che qualsiasi voce in più aggiunta al coro sia utile.

    L’illustrazione per Dylan Dog probabilmente ha fatto conoscere il tuo segno anche in ambiti nuovi. Cosa puoi dirci dei tuoi ultimi progetti?

    Effettivamente ci sono un po’ di progetti in chiusura e altri in cantiere: un piccolo progetto di animazione, Premise, sul tema del desiderio e della violenza, creato insieme all’amico animatore Roberto Grasso; poi un libro illustrato insieme a un amico scrittore e animalista, Francesco Cortonesi, sulla storia di Mocha Dick, la balena che ispirò Moby Dick, realmente esistita; c’è poi un video musicale per il gruppo Pray For the Day, fatto di inchiostri in movimento e animazioni a segno nervoso; infine il famoso fumetto personale a cui accennavo prima, che si intitola Rain Dogs, come la canzone di Tom Waits. Insomma, non ci si annoia…