Venezia 76: Martin Eden, Pietro Marcello affascina ma non rende giustizia a Jack London

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A quattro anni di distanza dal successo internazionale di critica di Bella e perduta (che vinse premi in numerosi festival in giro per il mondo, tra cui Locarno), Pietro Marcello torna con un progetto molto ambizioso: l’adattamento di uno dei più importanti romanzi dello scrittore statunitense Jack London, Martin Eden. Vista la natura anticonvenzionale e libera del suo cinema, da sempre refrattario alle standardizzazioni e difficilmente riducibile a qualsivoglia etichetta, l’attesa per questo nuovo film di finzione del quarantatreenne regista casertano era molto alta. E Marcello, anche in questo caso, si conferma un cineasta talentuoso dallo sguardo originale, che si pone fieramente al di fuori delle logiche dell’industria.

La nota storia del giovane marinaio dalle umili origini che per amore di una bella ragazza altoborghese decide di acculturarsi e lottare strenuamente per divenire uno scrittore di fama, viene trasposta dal regista e dal co-sceneggiatore Maurizio Braucci (già collaboratore di Marcello nel citato Bella e perduta) in una Napoli dove i riferimenti temporali non sono mai ben definiti e tendono a spaziare nel corso dei decenni del Novecento. Dalla California di inizio secolo scorso del romanzo, dunque, si passa a un capoluogo campano sospeso nel tempo. L’intento è quello di evidenziare come il testo di London, pubblicato integralmente per la prima volta nel 1909, abbia anticipato alcuni dei grandi temi che hanno segnato profondamente tutto il Novecento: la contrapposizione tra visione individualista e socialista del mondo, la prepotente affermazione della cultura di massa, la lotta di classe.

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A questo scopo, come del resto ci aveva già abituato in Bella e perduta, Pietro Marcello gioca in maniera intrigante con l’alternanza di riprese dal vivo e materiale d’archivio, rendendo così anche sul piano prettamente visivo il legame delle vicende narrate con quelle della Storia (il film si apre con alcune immagini dell’anarchico e scrittore italiano Errico Malatesta). Se questo stratagemma stilistico conduce a momenti molto stimolanti, in particolar modo sul piano strettamente formale (ogni singola inquadratura è una gioia per gli occhi di chi guarda), a deludere è l’assenza di una struttura drammaturgica sufficientemente forte e del necessario approfondimento dei complessi temi introdotti.

Nel suo libero adattamento del lavoro di London, Marcello decide di isolare solo pochi momenti-chiave del romanzo. In questo modo, però, diversi importanti passaggi narrativi risultato troppo veloci (ad esempio, la nascita in Martin Eden dell’ardente passione per la cultura e dell’interesse per la politica, le incomprensioni con la donna di cui si innamora a prima vista e con il marito della sorella) e alcuni rapporti tra i personaggi, fondamentali per lo sviluppo della storia, rimangono in superficie (su tutti, quello tra il protagonista e l’intellettuale Russ Brissenden).

Di conseguenza il film non si dimostra in grado di sfruttare il notevole potenziale drammatico e melodrammatico che risiede nella pagine dello scrittore statunitense e finisce anche per non stimolare un’adeguata riflessione sui nodali temi che vorrebbe mettere in risalto. Nonostante la rara eleganza formale, le buone prove di tutti gli attori principali (Luca Marinelli è una conferma, la giovane Jessica Cressy una piacevole sorpresa) e l’assai lodevole volontà di seguire sentieri poco battuti nel panorama cinematografico italiano, dunque, Martin Eden fallisce nel suo obiettivo primario: portare sul grande schermo la consistenza e l’acutezza dell’opera di Jack London.