L’immensità, il film più rischioso e sincero di Emanuele Crialese

L'immensità
Penélope Cruz in "L'immensità", quinto film di Emanuele Crialese.

L’immensità, il nuovo film di Emanuele Crialese, dopo una lunghissima gestazione, arriva finalmente in concorso a Venezia 79. Crialese mancava dal lido dal 2011, quando portò Terraferma.

Questa volta, l’opera è strettamente autobiografica, scritta dal regista insieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni, e messa in scena con l’aiuto di alcuni eccezionali collaboratori: scenografie di Dimitri Capuani, costumi di Massimo Cantini Parrini, fotografia di Gergely Pohárnok.

La storia de L’immensità si potrebbe sintetizzare dicendo che si tratta di un romanzo di formazione, un bildungsroman intimo, con la dodicenne Adriana, maggiore di tre fratelli nella Roma degli anni ’70, che si chiama e si fa chiamare Andrea perché già consapevole che la sua identità è in disaccordo con il suo dato biologico, e in funzione della costruzione di questa stessa identità sono scandite le sue giornate: l’attesa che arrivi un segnale dal cielo, divino o no che sia, oppure l’esplorazione avventurosa di una vicina baraccopoli, una di quelle alla Brutti, sporchi e cattivi, dove l’incontro con la piccola Sara genera in Adriana/Andrea i primi impulsi carnali.

L’infanzia di Adriana e dei suoi fratelli non è semplice, dentro mura domestiche bellissime e arredate con gusto, piene di design e di colori, perfettamente nello spirito del tempo: il padre, uomo in carriera assente, burbero, infedele, violento con moglie e figli, è fin da subito l’orco, il nemico, e la madre, invece, è la complice silenziosa, personaggio cruciale affidato a Penélope Cruz, perfetta per questo ruolo in sottrazione nel quale si alternano momenti di euforia, di tenerezza, di forte personalità con crolli impietosi in un dolore profondo, che la porterà finanche alla separazione dai propri figli.

Non sempre, nel film di Crialese, il percorso di Adriana è a fuoco, ma forse è giusto che sia così per la natura stessa della protagonista: la ricerca di una nuova identità, in una ragazza di 12 anni, sebbene molto sveglia e intelligente, non può necessariamente essere un percorso lineare, ma deve vivere di fiammate di acquisita consapevolezza.

Ecco perché L’immensità va avanti scandito da momenti di distensione e alcune sequenze, invece, molto forti e coinvolgenti, come i balletti in bianco ispirati visivamente alla televisione dell’epoca, in cui Adriana e la madre rimettono in scena Prisencolinensinainciusol di Celentano oppure le coreografie improvvisate per rendere speciali i gesti banali del quotidiano, fra cui quella su Rumore di Raffaella Carrà, venuta a mancare durante le riprese del film e così omaggiata dal regista. Insomma, i momenti più riusciti sono quelli in cui la storia si lascia andare alla leggerezza, al gioco dei bambini in compagnia della madre sofferente, che sono quelli in cui si vede che Crialese, che in questo film autobiografico ha messo in gioco tutta la sua vita, si prende i rischi maggiori ma, allo stesso tempo, è anche massimamente sincero.