Torino Film Festival, il (nuovo) cinema prima di tutto

Installazione in piazza

Ci sono cose che succedono solo al festival di Torino. Per esempio: si dice spesso che ai festival “il pubblico è protagonista”, ma di rado lo spettatore è al centro della ribalta. A Torino, invece, succede per davvero.

«Ieri ero pubblico. Oggi faccio parte della macchina del festival», spiega a Fabrique Dario Ceruti, regista della cerimonia d’apertura e chiusura della kermesse. A lui è successo proprio così: da appassionato a organizzatore, nello spazio di poco tempo (e molti film). «Ricordo ancora l’emozione delle prime volte, quando uscivo dalla sala e mi sembrava che il film continuasse a seguirmi fuori, nelle atmosfere magiche della città. Il festival di Torino è speciale anche per questo, sembra non finire mai».

“Avanti i giovani” è una delle promesse tradite più spesso dai festival: da molti, non da quello di Torino. Che ai giovani offre qualcosa di più che una riserva protetta all’ombra dei grandi: a loro, e a opere prime come Frastuono di Davide Maldi, Lorenzo Maffucci e Nicola Ruganti o N-Capace della geniale Eleonora Danco, dedica il concorso. «Torino è un festival giovane per natura – continua Ceruti – capace quest’anno di omaggiare un filmaker come Julian Temple, che ha lavorato con gente come i Sex Pistols e David Bowie, e da sempre alla scoperta del nuovo e dell’insolito. Basta guardare il concorso».

Un festival che delle convenzioni se ne frega. Di quella che vorrebbe, per esempio, le donne eterne seconde. Torino quest’anno è diretto da una donna, Emanuela Martini, e alle donne dedica praticamente tutta la sezione Diritti & Rovesci, curata dal direttore uscente Paolo Virzì, con i lavori di  Antonietta De Lillo (Let’s Go), Susanna Nicchiarelli (Per tutta la vita), Wilma Labate (Qualcosa di noi), Costanza Quatriglio (Triangle) ed Erika Rossi con Giuseppe Tedeschi (Il viaggio di Marco Cavallo). O della convenzione per cui, se il film l’ha visto qualcuno prima di te, è perfettamente inutile prenderlo in rassegna. Per Ceruti «una vera sciocchezza. Noi, grazie alla sezione Festa Mobile, abbiamo raccolto tutto il meglio dal cinema del mondo. La ricetta è facile: basta smettere di avere l’ansia dell’anteprima a ogni costo». E il menu non è certo di seconda scelta: la première italiana di Magic in the Moonlight di Woody Allen, quella europea di La teoria del tutto di James Marsh, il film di chiusura Wild del canadese Jean Marc Vallée (con una Reese Witherspoon vicina alla nomination per l’Oscar), il nuovo horror di Sion Sono Tokyo Tribe e il documentario filippino di Lav Diaz, Storm Children – Book 1.

Si dice che i festival siano in crisi. Che manchino i fondi, prima che le idee. Che manchi il pubblico, prima che i film. A Torino si va avanti lo stesso: «La strada che abbiamo scelto quest’anno è stata: levare tutto. Niente madrina, nessun tappeto rosso, via l’orchestra, via tutto quel circo. E torniamo al vero festival metropolitano, fatto solo di buon cinema. E di un pubblico che è davvero genuino». Sarà per questo che il festival, all’edizione numero 32, sembra più in forma che mai.