“Favola”: Filippo Timi è una casalinga anni ’50

Un'immagine da Favola

Una casa vaporosa e colorata come una bomboniera, una casalinga impeccabile tutti sorrisi, tacchi, messa in piega e abiti svasati in colori pastello, una barboncina (finta) spettatrice impietosa della vicenda. Favola è stato uno spettacolo autobiografico scritto e interpretato da Filippo Timi che ha girato l’Italia con successo. La complicità del regista Sebastiano Mauri e della coprotagonista Lucia Mascino ha permesso di realizzare il sogno dell’autore trasformando Favola in un film. Con due media così diversi, il tradimento era non solo auspicabile bensì necessario. E Favola, prodotto grazie all’intervento di Palomar, tradisce il materiale d’origine nella forma più che nella sostanza connotandosi come un’opera unica.

Se si esclude qualche libertà nella parte finale, il film di Mauri persegue con eccezionale tenacia l’unità di luogo. Tutta l’azione si svolge nell’artificiosa casetta di Mrs. Fairytale, alter ego “da sogno” di Filippo Timi che passa il tempo parlando con la cagnolina Lady e rassettando l’appartamento perché “più una donna fatica in casa più è bella agli occhi del marito”. Pur essendo sola tutto il giorno, visto che il marito Stan torna dal lavoro solo la sera in tempo per picchiarla ed esercitare il suo ruolo di capofamiglia, la giornata di Fairytale viene movimentata da un via vai di ospiti, dall’arcigna madre interpretata da Piera degli Esposti ai tre aitanti gemelli che vivono nella villetta vicina, Tim, Ted e Glenn, ma la visitatrice più assidua è Mrs. Emerald (Lucia Mascino), migliore amica e confidente di Fairytale che, a sua volta, deve vedersela con un marito distante e disinteressato.

Un'immagine da FavolaParlando dell’approdo al cinema, Filippo Timi spiega: “A teatro Fairytale è un personaggio. Lo spettacolo poteva durare due ore e un quarto o arrivare a tre, giocavamo sull’improvvisazione. Al cinema i personaggi si sono trasformati in persone. L’immaginario degli anni ‘50 mi è servito per esasperare le differenze tra maschile e femminile. Era un’epoca in cui le donne erano obbligate a innamorarsi della lavatrice. Ma serviva anche a me per cimentarmi in qualcosa di diverso. Io sono un cinghiale umbro, trasformarmi in una casalinga americana era quanto di più lontano potessi immaginare”.

Senza svelare troppo della trama, i colpi di scena che vedono coinvolte Fairytale e l’amica Emerald hanno molto a che vedere con l’immaginario di Filippo Timi. Chi conosce l’attore sa bene che le sue provocazioni ruotano spesso e volentieri intorno alla sua sessualità e non è la prima volta che lo vediamo in scena en travesti, impegnato a riflettere sulla propria identità. La conferma arriva dal regista Sebastiano Mauri, il quale ammette che le influenze dichiarate, in particolare Douglas Sirk, gli hanno permesso di toccare temi delicati come la libera espressione del proprio io e la guerra contro le convenzioni di genere. “Ci siamo rifatti ai drammi di Douglas Sirk, ma anche ad autori più recenti come Todd Haynes e Pedro Almodovar usando scenografie, costumi e luci per abbracciare lo stato d’animo dei personaggi. Tutto è al servizio delle emozioni. Questo è un mondo irreale perché esiste nella testa della nostra protagonista. Douglas Sirk parlava di sottomissione della donna. Anche noi trattiamo temi delicati, ma lo facciamo con leggerezza, a volte sfioriamo il demenziale”.

Filippo Timi, protagonista di Favola
Filippo Timi

Favola permette a Filippo Timi di liberare il proprio talento istrionico cimentandosi in lunghi monologhi, sbandierando vezzi linguistici (tra cui un uso molto personale della “z”) e sfoderando le proprie abilità fisiche. L’attore, che si muove sui tacchi con eccezionale agilità, ammette di essere stato aiutato dal pattinaggio artistico. “La prima cosa che ti insegnano è che se stai fermo cadi. Sui tacchi è uguale. Portando il 47 ho una pianta bella larga che ha richiesto dei tacchi piuttosto alti per non creare un effetto zattera. Quello che ho imparato è che trasformarsi in una donna è fisicamente doloroso”.

Favola è una girandola di gag, duetti, invenzioni; un’opera punteggiata di dialoghi scoppiettanti che valorizza la chimica instauratasi tra Timi e la compagna di set Lucia Mascino, novella Kim Novak che appare in scena sfoggiando abiti che ricalcano le mise della bionda di Hitchcock. La patina ironica lascia, però, trapelare riflessioni ben più profonde legate alla solitudine all’identità, alle dinamiche tra i sessi e all’accettazione di sé che danno all’opera con ben altro peso. Come confessa Filippo Timi “di me in Fairytale c’è il desiderio, un giorno, di essere felice per quello che sono senza essere incasellato in qualcosa”.