Fortuna: quando il sogno si rivela un incubo

Fortuna-Gelormini
Valeria Golino e Cristina Magnotti in "Fortuna"

Il nome della piccola Fortuna suona come una promessa non mantenuta, perché la sorte con lei non è stata generosa quanto ci si augura lo sia con i bambini. La giovane protagonista del film di Nicolangelo Gelormini (interpretata da Cristina Magnotti) è costretta infatti a nascondere un segreto che si svela allo spettatore con l’incedere delle immagini in tutta la sua crudezza, fino alla conferma finale che appare impietosa sullo schermo: tutto questo è successo realmente.

Un altoparlante, un immenso palazzo bianco in mezzo al nulla, e poi improvvisamente delle giostre. Tutto rigorosamente deserto. Sono queste le prime immagini del film. Il vuoto, la mancanza, che sia essa delle istituzioni o dei genitori, si impone da subito come il problema al centro della pellicola. L’intuizione di Gelormini, ovvero quella di dividere il film in due parti all’interno delle quali la storia di fondo resta la stessa, ma a fare da sfondo sono scenari drasticamente diversi, si rivela ottima anche in quanto permette di sottolineare l’universalità della condizione di Fortuna.

Ciò a cui si assiste in sala è una tragedia che il regista sceglie di mettere in scena prima filtrandola attraverso gli occhi della protagonista, per poi aprire una breccia sempre più grande e permettere allo spettatore di intuire la realtà dei fatti ben prima che lo squarcio si allarghi tanto da rivelarla del tutto. Realtà che viene mostrata abbandonando in parte le scelte estetico-formali delle sequenze iniziali, che costituiscono a tutti gli effetti un capitolo a parte, per evitare di abbellire alcunché.

Assume una valenza particolarmente interessante che sia lo sguardo della piccola protagonista a rendere possibile l’impiego di un certo linguaggio filmico nella prima parte. Sono quasi i suoi occhi da bambina a liberare la pellicola dalla tradizionale forma drammatica, a permettere al regista di sperimentare tanto con le immagini in sé, quanto con il montaggio, che arriva a essere repentino in alcuni punti e a conferire una dinamicità ribelle che si oppone alla claustrofobia delle inquadrature. Inquadrature incorniciate da un quattro terzi che contribuisce a schiacciare Fortuna all’interno di una composizione simmetrica che la imprigiona, che aiuta lo spettatore a percepire la presenza di qualcosa di profondamente sbagliato già dall’inizio. Cosa che avviene anche grazie al sonoro, alle basse sequenze che uscendo dal subwoofer investono il petto di chi guarda, il più delle volte poi direttamente dagli occhi della protagonista, dal momento che è copioso l’utilizzo della soggettiva in questa prima parte, rispetto a quanto avviene nella seconda, narrata invece da un punto di vista sì più distante, ma mai distaccato.

Nicolangelo Gelormini dirige con delicatezza sia gli attori più giovani che i volti noti (nel cast figura Valeria Golino) all’interno di un film mutevole quanto i personaggi che vengono messi in scena. Fortuna è un’opera che timidamente osa prendersi delle libertà, seppur non sempre riesce nell’intento, trovandosi a percorrere un terreno accidentato che facilita le cadute. Ma è anche un film che resta in piedi nel suo percorso, forte dell’aver raccontato ciò che aveva da dire.