“Indro. L’uomo che scriveva sull’acqua”, il doc di Samuele Rossi su Montanelli

“Ombre siamo, e come ombre siamo destinati a passare”. Così scriveva Montanelli un mese prima di morire, e a quindici anni dalla sua scomparsa con certezza possiamo dire che, per una volta, aveva torto, perché nessuno si è mai dimenticato di lui. Oltre che essere stato una delle voci più alte del giornalismo italiano del ‘900, è stato un personaggio pubblico che ha sempre fatto parlare di sé, tanto per aver raccontato settant’anni di storia italiana, quanto per la sua personalità forte, il carattere burbero, lo spirito libero e coraggioso e la grande dignità che spiazzava.

Samuele Rossi, giovane regista al suo terzo lungometraggio – la sua opera prima, La strada verso casa (2011), ottenne 8 premi nazionali fra cui Young Prize Award 2013 come Miglior Regista Esordiente – intende fare luce su un personaggio controverso le cui ombre lo hanno sempre un po’ oscurato, indagando nel profondo aspetti della sua vita meno noti.

Prodotto da Echivisivi e Alkermes in collaborazione con Sky Arte e presentato in vari cinema d’essai d’Italia – fra cui Spazio Oberdan di Milano – il docufilm alterna testimonianze di colleghi e amici di Indro, con un’accurata selezione di materiali d’archivio. Nelle parole degli intervistati – fra i tanti Tiziana Abate, Marco Travaglio, Beppe Severgnini, Ferruccio De Bortoli, Paolo Mieli, che lo ha riportato nella redazione del Corriere della Sera nel 1995, ma anche Franco Bonisoli, ex brigatista che nel ’77 prese parte all’organizzazione dell’attentato di cui fu vittima – Indro è un acrobata, un moralista scanzonato, un provocatore, un generatore di contrasti e, sopra ogni cosa, un individuo, uno che ha vissuto la sua vita da solista, con la vocazione di essere nei luoghi, interessato solo a fare “una cronaca di fatti e di parole vere”, che a volte un po’ inventava, ammettono in tanti, ma lo dicono come se stessero difendendo un bambino scoperto a rubare le caramelle. Uno che ha sempre messo il lettore al primo posto, che si è costantemente rifiutato di essere la voce di un partito, e che non è mai sceso a compromessi, a caro prezzo, perché la libertà di espressione in Italia si sconta sempre.

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Domenico Diele @Philippe Antonello

Trovata originale far rivivere la sua carriera e le svolte importanti della sua vita anche attraverso le riuscite interpretazioni di Domenico Diele e Roberto Herlitzka, nei ruoli di Indro giovane e adulto: le prime cronache dai fronti abissini durante la Seconda Guerra Mondiale, la caduta del Fascismo, la rapida ascesa al Corriere, la fondazione de “Il Giornale”, l’attentato delle Brigate Rosse e la creazione de “La Voce” dopo l’avvento di Berlusconi.

Del documentario colpiscono e commuovono le parti che raccontano il suo lato più umano, quello più intimo, che nascondeva dietro al cinismo, all’ironia. Indro era una persona piena di contrasti, un uomo sposato che insieme alla moglie formava una coppia di scapoli, che viveva da un hotel all’altro lasciando casa sua vuota, senza foto, niente piatti sporchi o vestiti sparsi. Un uomo che in fondo si è sempre tenuto lontano dalla vita nonostante si sia sempre tenuto dentro agli eventi, che ha dedicato ogni giornata, ogni sforzo, ogni energia al giornalismo, per lui non solo un mestiere, ma il suo unico amore. Il regista in punta di piedi ci svela gli aspetti più profondi della sua personalità, come quando nei suoi Diari personali scrive di avere un forte rimorso verso i suoi genitori, coi quali è sempre stato insofferente, o quando racconta della sua forte depressione, scoperta quando era ancora bambino, e poi tornata, come una ciclica maledizione, ogni sette anni, periodi dove Indro “familiarizzava con la morte”.

Ottime la fotografia di Paolo Ferrari e le musiche accese del giovane compositore pugliese Giuseppe Cassaro.