Dogman, Il codice del babbuino e gli altri: spazio al film d’autore

abracadabra

Complice il Festival di Cannes in corso, siamo giunti ad una settimana dove primeggiano, almeno per quantità di nuovi titoli, i film autoriali. In concorso alla Croisette e forte dei suoi 10 minuti di applausi, è già in sala Dogman (qui la recensione), ritorno di Matteo Garrone al racconto intimo di quel sottobosco suburbano che spesso fa paura. «Ci mette di fronte a qualcosa che ci riguarda tutti: le conseguenze delle scelte che facciamo quotidianamente per sopravvivere, dei sì che diciamo e ci portano a non poter più dire no, dello scarto tra chi siamo e chi pensiamo di essere»: ha dichiarato il regista sul suo film. Questa tensione estrema sta tutta in Marcello Fonte, piccolo grande protagonista che si muove come un folletto buono ma offeso. La trasformazione sarà graduale, un esempio tragico sulla mutazione di un uomo. Al suo fianco uno spaventoso Edoardo Pesce nel ruolo dell’ex-pugile Simoncino, che bullizza l’intero quartiere e in primis il piccolo Marcello, padre divorziato di una bambina che per lui è tutto. Garrone si rifà al fatto di cronaca del Canaro della Magliana, ma lo imposta come una favola nera, tornando alle atmosfere di un sud Italia polveroso e borderline. In più mette insieme un circuito di caratteri spesso meno umani dei pazienti a quattro zampe: il problema semmai sono gli uomini, i soldi e gli impicci per tirare avanti in una landa dove la vita è fatta di poco, ma vale altrettanto.

Anche Il codice del babbuino di Davide Alfonsi e Denis Malagnino prende spunto da un fattaccio di cronaca tutto romano, ma il loro è uno stile sporchissimo, low budget e con attori non professionisti (uno dei due protagonisti è un infermiere esordiente sul set). Periferia di Roma est, un uomo trova la ragazza di un amico in un campo rom, esanime e violentata. Inizia una ricerca disperata e spesso insensata dei colpevoli in una girandola di testosterone sprecato dietro ai mulini a vento di una Roma indifferente. Questo cinema nasce da un collettivo costituitosi in associazione, la Donkey Movies di Guidonia, a est di Roma per l’appunto, che è focalizzata su un cinema di problematiche sociali e contemporanee, ma in forme e atmosfere porta con sé gli antichi echi di Amore tossico proponendo i suoi ultimi simili a quelli di Caligari. Recitazione a canovaccio e senza pretese sono cresciute come un’edera intorno a una storia cruda e squallida. I registi non mollano mai la presa sulle facce degli attori. I primi piani sono continui, così il senso di claustrofobia di quel mondo di rabbia e impotenza delle periferie ci bussa prepotentemente. Il risultato non è eccelso ma il tentativo di uscire da un cinema mainstream è notevole. Lo stesso può esser detto del nuovo progetto di Distribuzione Indipendente che, con una lista di 9 film in sala entro novembre, lancia un’offerta speciale per gli esercenti che farà parlare.

Dalla violenza di strada passiamo ad Abracadabra. Spagna, un marito molesto e tifoso sfegatato del Real Madrid si fa ipnotizzare per gioco da un amico della moglie. Il suo carattere cambierà inspiegabilmente, diventando anche un padre modello per la figlia che lo evitava come la peste. Presentato al Festival del Cinema di Roma lo scorso anno e con 8 candidature ai Premi Goya, la commedia surreale di Pablo Berger riflette sulle relazioni familiari e le complicazioni moderne tra marito e moglie. I protagonisti sono quelle due meraviglie di Maribel Verdù (Y tu mamá también, Il labirinto del fauno) e Antonio de la Torre (Volver, La vendetta di un uomo tranquillo). Sensibilità e qualche svarione caratterizzano il lavoro di Berger, non all’altezza del suo precedente Blancanieves, ma godibile commedia scomoda per ridere a denti stretti.

La nostra ultima fermata di oggi è la Francia. In Parigi a piedi nudi, una donnina canadese si catapulta per la prima volta in Europa per andare a trovare una vecchia zia 88enne. Ma al citofono non c’è, e dopo una caduta accidentale nella Senna inizia una ricerca gambe in spalla che coinvolge un egocentrico clochard dall’aria signorile. Anche qui il gioco a tre è fondamentale per tessere la storia surreale in una Parigi reale (poco set di studio) ma ripulita e sognante come un cartoon. Il duo Abel & Gordon, nato in teatro e sbocciato nel cinema, ha realizzato una commedia romantica e fiabesca basata sulla fisicità attoriale avvalorata dalla dolcezza dei Chaplin e dei Tati, ma anche percorsa da alcune freddure alla Kaurismaki. Pieno di stilosi contrappunti e gustosi colpi di scena, è anche l’ultimo film con Emmanuelle Riva, diva francese scomparsa pochi mesi fa, che ci lascia con un personaggio profondamente diverso dai suoi: una signora leggera, smemorata e piena d’ironia che a spasso per Parigi come un folletto metropolitano sarà il trait d’union, o d’amour, tra i due protagonisti.