“Per vestire Freaks Out mi sono ispirata anche a Slash dei Guns N’ Roses”

Freaks Out
"Freaks Out": Fulvio, Cencio e Matilde.

«Non sono mica passati tanti anni da quando i costumisti si sono guadagnati il nome sui titoli di testa!». Inizia così la chiacchierata in un bistrot di Trastevere con Mary Montalto, costumista di Freaks Out, opera seconda di Gabriele Mainetti.

Mary, che insegna alla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè, non “veste” i protagonisti ma li modella, ne rafforza le caratteristiche e ne accentua l’essenza. Come ci racconta, in Freaks Out ha potuto esercitare al massimo la sua creatività, realizzando costumi che sono l’incontro tra la più triste delle realtà e la più bella delle fantasie. 

Freaks Out è la storia di quattro amici: Matilde, la “ragazza elettrica”, Cencio, l’albino che controlla gli insetti, Fulvio, l’“uomo lupo”, e Mario, il nano che sa manipolare gli oggetti metallici. Siamo nel 1943 a Roma, quando la Capitale è scenario di bombardamenti e deportazioni. I quattro lavorano in un circo gestito dall’ebreo Israel, che per loro è una sorta di padre. All’aggravarsi della guerra la strada dei Freaks si incrocia con quella di Franz, il pianista nazista con sei dita per mano e poteri di chiaroveggenza che dirige il Zirkus Berlin.

Quale è stato il percorso professionale che ti ha portata a Freaks Out?

Mi sono iscritta all’Accademia di Moda e Costumi di Roma negli anni ’80, in quel periodo in cui un po’ tutti volevano fare gli stilisti. In quegli anni ho avuto la fortuna di conoscere Paola Marchesin, appena diplomata al Centro Sperimentale in Costumi, a cui era stato chiesto di firmare il suo primo film, Mignon è partita di Francesca Archibugi. La produzione aveva poco budget, cercavano un’assistente costumista volontaria ed è così che ho iniziato. Da allora è stato un lungo e costante percorso di che mi ha portato fino a Lo chiamavano Jeeg Robot e poi a Freaks Out, un film che sarebbe stato un invito a nozze per qualsiasi costumista!

In Freaks Out ognuno dei protagonisti è caratterizzato da uno stile unico. Da cosa hai tratto ispirazione?

Gabriele Mainetti ci tiene molto a partire dalla ricostruzione di un mondo reale per poi introdurre i suoi temi fantasy. Abbiamo iniziato con una documentazione fedele dell’epoca: dalla deportazione degli ebrei, alla guerra, a Roma devastata. Ogni personaggio aveva già un preciso tema e il costume in questi casi diventa una sorta di sotto-scrittura, un valore aggiunto che ne rafforza l’identità. Per il personaggio di Matilde [interpretata da Aurora Giovinazzo], ad esempio, la richiesta è stata molto precisa: colori freddi perché il suo calore è interno e non superficiale. Per questo ho scelto per lei un cappotto blu in contrasto con i guanti rossi che sono il suo punto di energia. Con Aurora la difficoltà stava anche nel doverla rendere più piccola della sua vera età e per questo l’abbiamo vestita con una gonna con le bretelle, una camicetta semplice e acconciata con delle treccine. Quanto poi alla bombetta che indossa, il primo richiamo è stato ai pilastri del cinema come Charlie Chaplin e Giulietta Masina. Poi con Gabriele abbiamo deciso di conferire a quest’accessorio un significato più profondo ed è diventato una specie di “ombrello paterno” che compie un percorso: parte da Israel [Giorgio Tirabassi], arriva a Matilde e infine a un bambino come segno di speranza per il futuro.

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Per Cencio [Pietro Castellitto] invece il regista voleva un personaggio un po’ bullo e impolverato: «Lo vorrei come Terence Hill nel film Lo chiamavano Trinità», mi ha detto. E così è stato.

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Anche il personaggio di Mario [Giancarlo Martini] doveva essere reso più infantile, nel film ha un carattere magico e incantato, ma nella realtà a interpretarlo è un uomo adulto, signorile. Per questo abbiamo scelto per lui grandi scarpe, pantaloni alla zuava, giacchetta a quadretti e un fiocco da scolaro che gli conferisse quasi un aspetto clownesco.

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Per Fulvio [Claudio Santamaria] abbiamo voluto creare un personaggio dalla grande eleganza, esemplificata dalla sigaretta con il bocchino e dal pelo curatissimo. Per lui mi sono ispirata a Clark Gable, a mio parere negli anni uno degli attori più eleganti del cinema! Il cappotto ottocentesco di Fulvio è stato un’intuizione. Ho trovato in sartoria questo soprabito fuori epoca ed ho pensato che potesse essere in linea con il suo essere retrò: un uomo colto, che aveva letto libri e che per lungo tempo era rimasto chiuso in una torre.

Freaks Out

Il personaggio più complesso da vestire è stato però Franz [Franz Rogowski], uno showman fissato con l’esercito. La ricerca per lui è stata duplice: da una parte c’è stato uno studio storico sulle divise naziste e dall’altra mi sono ispirata ai grandi frontman del palcoscenico come David Bowie, Mick Jagger e Michael Jackson. La scelta del cilindro che indossa inoltre è stata influenzata in parte dal Ringmaster della Marvel e in parte da Slash, il chitarrista dei Guns N’ Roses.

Freaks Out

Quanto tempo ti ha richiesto questo lavoro di ricerca?

Lo studio preliminare ha richiesto circa 4 settimane, con una bozza del progetto e una prima stima dei preventivi. La preparazione effettiva è durata 3 mesi circa a cui hanno seguito 3 mesi di riprese. Senza considerare che quando lavori a un progetto del genere anche quando sei a casa ci pensi in continuazione, ma ne è valsa la pena!

Un costume tra quelli realizzati per questo film che ti ha particolarmente colpito?

È stato particolarmente divertente vestire il gobbo e i Diavoli Storpi, uno scalcagnato gruppo di ribelli antifascisti. I costumi di questi personaggi sono inventati, anche se per crearli ho studiato le immagini dei partigiani e delle partigiane, che portavano i pantaloni come gli uomini.  Il gobbo [Max Mazzotta], a capo della squadra dei Diavoli, doveva portare una fascia in testa stile Rambo come un vero combattente, un uomo dei boschi. Peraltro Max è un attore straordinario e un uomo di una cultura eccezionale, ha una sua compagnia teatrale a Cosenza e insegna all’Università.

Freaks OutI costumi realizzati che fine fanno?

I costumi dei protagonisti sono stati disegnati, tagliati e cuciti da noi in laboratorio con due sarte e sono di proprietà della produzione. Adesso alcuni di questi sono in viaggio verso Dubai per l’Expo in rappresentanza del Cinema per la Regione Lazio.  Il resto rimane come repertorio, ritornano nelle sartorie e vengono ri-smistati nei magazzini per essere utilizzati poi per altri film. È il ciclo vitale dei costumi, un vero e proprio patrimonio in cui noi italiani non siamo secondi a nessuno e che dovremmo valorizzare di più: per questo è nata anche la nostra associazione (ASC-Associazione Italiana Scenografi Costumisti e Arredatori).

Come è stato vedere Freaks Out dopo tutti questi mesi di lavoro?

Guardando il film mi sono detta “ma perché questi parlano romanesco?”. Sembra una pellicola americana! [ride]. È un film di genere, quindi ovviamente c’è a chi è piaciuto e a chi no, ma sono orgogliosa che sia stato un film pensato e realizzato in Italia. Siamo stati tutti coraggiosi, abbiamo tenuto botta in momenti difficili e faticosi dicendoci “ce la possiamo fare” e in questo Gabriele è stato il grande capitano della nave.