Spoiler! Serie tv e antropologia da divano

serie Pose
Indya Moore è Angel nella pluripremiata serie "Pose".

Le serie hanno ormai un ruolo importante nella nostra esperienza di spettatori. Abbiamo visto tutti almeno una serie, e molti di noi si sono trovati a finire una stagione tutta d’un fiato per sapere come va a finire, quasi in preda a una specie di dipendenza. Possono, però, le serie farci riflettere e discutere su temi sociali importanti? Sono o non sono uno specchio della nostra contemporaneità?

Lo abbiamo chiesto a Elena Garbarino e Mara Surace, due brillanti scrittrici genovesi, che nel loro libro Spoiler! Serie TV e giustizia sociale appena uscito da Meltemi, portano lo sguardo antropologico su molte celebri serie internazionali. Un pretesto per analizzare alcuni tra gli argomenti più urgenti e attuali del nostro tempo, tra cui la costruzione dell’identità, la rappresentazione della diversità e lo spaesamento dell’individuo postmoderno. Orange is the new black, Derry Girls, Sex Education e Vida sono solo alcuni dei titoli citati nel loro libro.

Come nasce l’idea di applicare l’antropologia contemporanea alle serie?

Elena: In realtà è nato un po’ per caso, ci capitava spesso di confrontarci sulle serie e fare dei raffronti con quello di cui avevamo parlato a lezione. Ci siamo dette che sarebbe stato figo usarle come spunto per parlare di questioni che possono essere ricondotte all’antropologia. Le serie sono utili perché le vedono tutti, chiunque dopo la fine di una stagione ne parla e discute con amici e parenti. Per questo motivo abbiamo voluto aggiungerle alla cassetta degli attrezzi dell’antropologo.  Sono utili per tutti coloro che cercano una rappresentazione che non è nei media tradizionali, uno sguardo su altre culture.

Quali serie possono essere dei buoni spunti di riflessione su tematiche sociali importanti?

Elena: Per quanto riguarda l’importanza della rappresentazione, sicuramente Pose. Nell’ultimo episodio, Blanca, Elektra, Angel e Lulu si incontrano per pranzo e parlano dei successi che sono riuscite ad ottenere. La ballroom ha avuto un ruolo fondamentale nella loro crescita, poiché lì sono finalmente riuscite a esprimere loro stesse senza limitazioni e imposizioni per poi ottenere risultati nel mondo “reale”. Emerge quindi l’importanza di avere un luogo, fisico o narrativo, dove potersi autorappresentare senza subire continuamente la narrazione altrui. Se invece parliamo di temi come l’ambiente e la sua protezione, è interessante notare come spesso vengano percepiti, nella quotidianità, come distanti e slegati dalle dinamiche di potere, sia nelle loro cause che nelle loro conseguenze. The Mosquito Coast mostra invece come la narrazione del progresso, industriale e tecnologico, sia una costruzione del capitalismo, che si autoalimenta nella sua necessità di consumo. In Snowpiercer, poi, la medesima narrazione portata al suo estremo causa l’annientamento della vita umana come la conosciamo, ma non delle sue sovrastrutture, come le classi sociali e i privilegi.

Mara: Sex Education, invece, è stata un ottimo spunto per analizzare una società patriarcale e androcentrica. Analisi che abbiamo sviluppato attraverso studi e opere come Il dominio maschile di Bourdieu, La città femminista di Kern e le opere di Françoise Vergès.

serie The Mosquito Coast
The Mosquito Coast.

Perché proprio le serie tv? Quanto ci rappresentano?

Elena: Può sembrare un argomento leggero, ma in realtà sono lo specchio di quello che viviamo. E poi ci sono temi più sentiti in certe parti del mondo: ad esempio il razzismo o la realizzazione individuale negli Stati Uniti o al tema ambientale nel Nord Europa. Sicuramente in questo momento le esigenze del pubblico spingono le produzioni delle piattaforme a proporre uno sguardo più aperto, a progredire nelle loro proposte di rappresentazione e a dare agli spettatori quello che cercano.

Mara: Il cinema o le serie, però, sono legate al mercato. A volte mi chiedo se il fatto di aprire la rappresentazione della società in modo più equo sia spinto dalla volontà di ampliare e rendere più giusta la narrazione, o se invece sia semplicemente la necessità di attirare un preciso target di persone. A quel punto si finirebbe con lo sfruttare chi è già sfruttato. Vedersi finalmente rappresentati sullo schermo, per tutti coloro che fino a ora non lo sono mai stati, è potente. Può essere una forma di accettazione e liberazione personale, ma spesso questo bisogno viene sfruttato per fare soldi. Una rappresentazione sbagliata, inoltre, può essere dannosa. Se penso a serie italiane mi viene in mente Zero, la prima serie nazionale con tutti i protagonisti afro-discendenti, in cui però la stereotipizzazione è imbarazzante. Non sono stati creati personaggi tridimensionali, reali, sono semplicemente stati sostituiti i personaggi bianchi con dei personaggi neri.  

Qual è stato il vostro intento scrivendo questo libro? A chi vi rivolgete?

Mara: Speriamo che Spoiler! possa dare spunti per approfondire le questioni sociali affrontate. Non ci piace ciò che è scritto in maniera complicata, per questo abbiamo cercato di rendere in modo semplice cose complesse. Se siamo riuscite a catturare la sua attenzione, chi legge avrà magari voglia di cercare più informazioni e documentarsi. Ad esempio, parliamo dell’abolizione delle carceri facendo riferimenti anche a Orange is the new black. Ecco, mi piacerebbe che possa essere uno spunto per poi approfondire il tema con i libri di Angela Davis.