Ride. Pasquale Croce tra Kubrick e GoPro

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Dalla ILM passando per la Weta Digital. Le società di effetti visivi digitali sono ormai un must per il cinema anglosassone, e il pubblico nostrano ancora arranca quando si tratta di associare questo tipo di cesellamento filmico all’Italia. Noi intanto abbiamo fatto una chiacchierata con Pasquale Croce, socio cofondatore di EDI Effetti Digitali Italiani, a proposito del loro lavoro nella post-produzione di Ride, thriller diretto da Jacopo Rondinelli, scritto e supervisionato artisticamente dai Fabio Guaglione e Fabio Resinaro di Mine.

[questionIcon] Come è avvenuto il primo contatto tra voi e gli autori di Ride?

[answerIcon] Inizialmente con i due Fabio, che ormai tenevamo d’occhio dopo il loro esordio con Mine. Però è stato un primo passo un po’ fuori dagli schemi, perché noi solitamente entriamo nei progetti con un’idea ben precisa di quello che andremo a fare, dall’inizio alla fine.

[questionIcon] E in questo caso no?

[answerIcon] No, perché gli autori ci hanno spiegato che avevano girato il film usando praticamente solo GoPro, con un’infinità di punti macchina e senza sapere ancora, di preciso, come il film sarebbe stato montato. Non solo, avevano bisogno anche di effetti digitali sui totem neri, che però sono parte fondamentale della storia.

Ride con Lorenzo Richelmy

[questionIcon] Certo, perché gli attori interagiscono con questi parallelepipedi di kubrickiana memoria.

[answerIcon] Appunto, quindi noi avremmo dovuto creare una parte grafica su quello che a tutti gli effetti è quasi un personaggio del film, senza avere una precisa idea della porzione di informazioni da rivelare di volta in volta. Un vero rebus: ogni elemento era interdipendente.

[questionIcon] Quindi come siete riusciti a risolverlo?

[answerIcon] È stata una sfida per noi di EDI e l’abbiamo accettata con piacere. Certo, i creativi del gruppo erano entusiasti mentre i pragmatici decisamente meno, ma ci sembrava giusto metterci alla prova, e una corsa del genere non potevamo farcela sfuggire. Poi abbiamo comunque avuto il contributo giornaliero di Rondinelli e Guaglione, che con sceneggiatura alla mano ci hanno aiutato nell’inserimento, a livello di intreccio, delle grafiche da aggiungere ai totem. Si vedeva quanto tenessero al loro film.

[questionIcon] Parliamo invece delle GoPro, supporto principale su cui Ride è stato girato. Qual è la difficoltà nell’aggiungere gli effetti su questo tipo di macchine da presa commerciali?

[answerIcon] Il discorso è tecnico. Cerco di semplificarlo un minimo: anche se, in generale, i sensori digitali hanno una maggiore risoluzione sul canale del verde e minore su quello del blu e del rosso, con le macchine da presa professionali è possibile avere un’ottima qualità di scontornamento sia con il green-screen che con il blue-screen. Nel nostro caso, invece, il sensore della GoPro, piccolo e non orientato al mercato professionale, non avendo sufficiente qualità sul canale del blu, ci ha obbligato a scegliere il green-screen. Ora ti faccio io una domanda: dove è stato girato, per la maggior parte, Ride?

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[questionIcon] In un bosco, ovviamente.

[answerIcon] Appunto, perciò green screen in mezzo alla vegetazione. Il delirio. Nel 60% dei casi si è dovuto intervenire facendo maschere a mano, avendo sempre una base di tentativo in automatico e poi una rifinitura manuale.

[questionIcon] Ma i problemi con le GoPro non finiscono qua.

[answerIcon] Ovviamente no. Le lenti grandangolari delle GoPro cambiano da macchina a macchina. Di solito per le riprese di un film si usa un solo set di lenti per le inquadrature, invece in questo caso avevamo molte macchine con lo stesso tipo di lente, anche se ognuna inevitabilmente aveva una sua piccola differenza. Infatti basta una minima variazione nella manifattura dell’ottica, che in questo caso è in plastica, per avere una grossa differenza in termini di distorsione dell’immagine che si traduce in variazione nell’ordine di parecchi pixel. Quindi noi non potevamo nominare ogni ripresa sapendo precisamente da quale macchina veniva, anche se a un certo punto abbiamo iniziato a riconoscerle a occhio. Per ogni scena dovevamo creare una mappa di deformazione in modo da ritrovare lo stesso tipo per compositare sopra la grafica. Non avevamo mai lavorato con le GoPro, ma anche per questo abbiamo intrapreso questo lavoro come una sfida personale.

[questionIcon] Voi avete anche ricreato una città completamente in 3D, è stato quello il compito più arduo?

[answerIcon] È stato un compito diverso, più vicino al nostro core business. La lavorazione in 3D è una delle nostre grandi passioni, perciò devo dire che l’elemento più complesso di Ride alla fine è stato adattarsi alle GoPro, proprio perché a livello organizzativo c’erano più variabili e più incognite.

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[questionIcon] Che programmi e strumenti avete usato per creare?

[answerIcon] Intanto ognuno di noi ha una tavoletta grafica, che utilizza sempre e comunque, anche per muoversi sull’interfaccia. Chi opera ha sempre una penna in mano. Per il dipartimento di compositing il programma principale è Nuke (di cui EDI è il più grosso parco licenze in Italia). La sua struttura a nodi ci permette di condividere tutto in ogni momento, ed è perfetto perché così puoi creare una sottostruttura che diventa di fatto come un vero e proprio plug-in senza bisogno di programmare tutte le volte. Così possiamo standardizzare: aumenta la qualità e si riducono i tempi. Ride aveva anche molta motion graphic su cui lavorare, perciò per quello ci affidiamo al pacchetto Adobe: After Effects, Photoshop e Premiere. Per il 3D invece utilizziamo Maya per la parte generale e le animazioni e Houdini per gli effetti particellari, come duplicazioni e liquidi.

[questionIcon] Perciò quanto è durata la post-produzione?

[answerIcon] Diciamo 4-5 mesi di lavoro effettivo, per compositing, motion graphic e 3D. Abbiamo lavorato su circa 6-700 inquadrature.

[questionIcon] Siete soddisfatti del risultato?

[answerIcon] Soddisfattissimi. Bellissima sia l’esperienza sia il lavoro con regista e sceneggiatori. Siamo pronti a una nuova collaborazione con loro, perché sono convinto che questi autori emergenti siano legati al futuro di EDI.