Lee Miller, icona del ‘900, secondo la matita di Eleonora Antonioni

Lee Miller nel fumetto Trame libere
Eleonora Antonioni dà la sua versione della leggenda Lee Miller in "Trame libere".

Premiata come “Miglior autrice unica italiana” all’ultimo Treviso Comic Book Festival, Eleonora Antonioni, romana di nascita ma da anni residente a Torino, ha raccontato nel suo ultimo libro a fumetti, Trame libere (pubblicato da Sinnos), la vita complessa e affascinante di Lee Miller.

 Modella prima, poi fotoreporter nella Seconda Guerra Mondiale e amica di alcuni dei maggiori artisti delle avanguardie, Lee Miller – ed Eleonora con lei, nell’attenta fase di documentazione per il libro – ha attraversato alcuni snodi centrali della storia del Novecento.  

Trame libere è il tuo primo fumetto da autrice unica. Come sei arrivata a Lee Miller e come hai gestito il doppio binario della narrazione e del lavoro sui disegni?

La scelta di fare una biografia di Lee Miller è partita in parte da me e in parte da Sinnos, la mia casa editrice. Inizialmente conoscevo e amavo Lee quasi esclusivamente per il suo percorso con Man Ray, brevissimo ma molto prolifico. Quando mi sono ritrovata di fronte alla sua biografia intera ho avuto un momento di smarrimento. Ogni dettaglio sembrava irrinunciabile, ma allo stesso tempo troppo complesso da far rientrare in un libro di 160 pagine. Parte della complessità della vita di Lee sta nel fatto che ogni cosa che ha fatto sembra appartenere alla vita di una persona diversa. Ci ho riflettuto molto e alla fine ho deciso che questo doveva essere evidenziato e non nascosto. Ho dato a ogni capitolo un’identità grafica diversa, che fosse funzionale al contenuto del racconto. Al centro di tutto c’è lei, Lee Miller, che, pur crescendo, rimane solida e indipendente.

La biografia di Lee Miller incrocia le vite di molti artisti – da Man Ray a Picasso e a Paul Éluard – ma anche grandi eventi storici come la Seconda Guerra Mondiale. Raccontaci il tuo lavoro di ricerca.

La ricerca è stata molto complessa, però è anche uno step preparatorio del mio lavoro che amo. Ho letto tutto quello che potevo trovare anche lontanamente collegato al tema. Per fare un esempio: il libro si apre con una scena nello studio della pittrice Neysa McMein, che, secondo alcune fonti, sarebbe la persona che ha consigliato a Elizabeth Miller il nome d’arte Lee. Per arrivare a disegnare quelle poche pagine ho cercato informazioni su tutte le persone che gravitavano intorno al suo studio. Niente di tutta questa ricerca è finito in quella scena o nel libro, ma è stato importante per farmi immergere in quel clima. Sicuramente la parte che temevo di più di affrontare era quella della guerra, mi sembrava davvero troppo più grande di me. Per fortuna sono stata guidata dagli spunti che la stessa Lee Miller scriveva ad Audrey Whiters, la sua editor di British Vogue (sono raccolti in un libro curato dal figlio di Lee, Anthony Penrose) che mi hanno rivelato tutta la sua umanità, fornendomi la chiave su come gestire il capitolo.

Lee Miller nel fumetto Trame libere
Lee Miller aveva cominciato la sua carriera come modella.

Uno dei punti di forza del libro, a mio parere, è la composizione delle tavole, da cui si evince un profondo studio dei volumi e delle forme, accanto alle precise citazioni di pubblicità, abiti e riviste d’epoca. Un’attenzione al contesto, questa, che mi ha ricordato la Spagna della Guerra Civile di Vittorio Giardino in No Pasaran. Quali sono state le tue fonti?

Ti ringrazio tantissimo per il complimento, mi diverto molto nella progettazione delle tavole! La mia guida principale per diffidare dai tag sbagliati delle fonti sul web sono i volumi di pubblicità della Taschen (tutta la serie All American Ads del Novecento). Adoro inserire le pubblicità nei miei libri, l’ho fatto anche in Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano (ambientato negli anni ’90), perché credo che siano una testimonianza importante delle varie epoche. In Lee Miller, in particolare, il primo capitolo riguarda la sua infanzia, fino alla fine della sua carriera da modella. Mi piaceva l’idea che il capitolo riguardante una parte di vita ancora in divenire rispecchiasse quello che la società si aspettava da una giovane donna in quegli anni. Quindi ho cercato di dare al capitolo l’aspetto di una rivista per signore con elementi decorativi liberty, geometrie e simmetrie a incorniciare le vignette. Mi piaceva l’idea che le pagine/magazine fossero la società e che Lee, già da ragazzina sentisse quella gabbia (di fumetto) stretta.

Lee Miller è stata una donna libera, dal carattere forte, pur con le sue debolezze. In passato, penso al tuo fumetto precedente – appunto Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano, con Francesca Ruggiero, pubblicato da Eris – hai già mostrato interesse per un delicato passaggio di crescita in un gruppo di ragazze. C’è un filo conduttore rintracciabile nel tuo lavoro?

Sicuramente sì. Alla base c’è l’amore per i racconti al femminile: mi piace raccontare storie di ragazze e di donne. Mentre mi occupavo dell’adolescenza di Lee Miller provavo le stesse sensazioni di quando lavoravo alle Bambine con Francesca. L’unica differenza è che le Bambine guardavano Buffy, ascoltavano Fatboy Slim e volevano essere come Britney Spears, Lee Miller leggeva Anita Loos e voleva essere come Zelda Fitzgerald! Alla base c’è la stessa umanità. Lee ha fatto cose enormi, ma prima di andare a Parigi a 22 anni non aveva idea di cosa avrebbe fatto nella vita, la stessa cosa succede oggi ai ragazzi contemporanei. Spesso io e Francesca Ruggiero ci domandiamo cosa sono diventate da grandi le protagoniste di Non bisogna dare attenzioni alle bambine che urlano, magari un giorno lo racconteremo.