The Land of Dreams, il musical-opera prima che sfida i modelli hollywoodiani

The Land of Dreams
Caterina Shulha e George Blagden in "The Land of Dreams".

Nel cinema italiano imbattersi in un musical è abbastanza inusuale, e lo è ancora di più se si tratta di un’opera prima: ed ecco che The Land of Dreams, lungometraggio d’esordio di Nicola Abbatangelo, rompe con entrambe le consuetudini. Presentato ad Alice nella Città, sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma, il film è ambientato nella New York dei favolosi anni Venti, e ruota intorno alla storia d’amore tra Eva (Caterina Shulha), immigrata italiana con il sogno di diventare cantante, e Armie (George Blagden), reduce della Grande Guerra con un segreto da nascondere.

Nonostante la nostra cinematografia abbia fatto qualche sporadica incursione nel musical, l’opera di Abbatangelo, con la sua ambientazione oltreoceano e il respiro internazionale, si discosta radicalmente da esperimenti di carattere prettamente nazionale, se non addirittura regionale, quali Tano da morire (Roberta Torre, 1997) e Ammore e malavita (Manetti Bros., 2017). Il film guarda chiaramente alla grande tradizione dei musical hollywoodiani: torna subito in mente Chicago (Bob Marshall, 2002), per l’epoca di ambientazione.

E The Land of Dreams nulla ha da invidiare al “medio” film americano per quanto riguarda la componente visiva. Fotografia ed effetti digitali rendono credibile la Grande Mela degli anni Venti, così come le scene di ambientazione onirica; anche i costumi contribuiscono a ricreare l’atmosfera Twenties. Quanto agli interpreti, la regia ne mette in risalto l’ottimo lavoro: a rafforzare il legame con la cinematografia internazionale vi è la presenza di George Blagden (Athelstan nella celebre serie Vikings), che gli amanti del musical ricorderanno per Les Misérables (Tom Hooper, 2012), e di Kevin Guthrie (noto per la saga di Animali fantastici e dove trovarli e la serie Netflix The English  Game). Al loro fianco non sfigurano gli attori italiani (tra gli altri la protagonista Caterina Shulha, il villain Edoardo Pesce e il suo braccio destro Paolo Calabresi).  

Il canto, ça va sans dire, è una componente fondamentale, e tutti gli interpreti si rivelano all’altezza. È la musica, però, che non convince appieno. I dieci pezzi che compongono la colonna sonora firmata da Fabrizio Mancinelli, seppur di buona qualità, non hanno l’incisività e la “memorabilità” tipiche dei musical più riusciti. Uscendo dalla sala non ne rimane in testa neanche uno, il che non è certo ideale per un film di questo genere. Sarebbe poi forse stato interessante se la colonna sonora avesse fatto più riferimento alla musica dell’epoca, in particolare al jazz: se non per tutte le canzoni, almeno per quelle che si potrebbero definire diegetiche, come la hit incisa e riprodotta alla radio, che con il suo sound chiaramente moderno stona un po’ con l’ambientazione.

La struttura del film, fedele a tutti i vari paradigmi dei manuali di sceneggiatura, regge in ogni suo plot point, conferendo al lungometraggio un ritmo perfetto, che a volte è difficile trovare nelle opere prime. Tuttavia neanche le convenzioni di genere possono far chiudere occhio, o meglio orecchio, di fronte a una scrittura dei dialoghi decisamente carente, che cade troppo spesso nell’ingenuo e nel cliché. A fronte di tutto questo, si può però dire che Nicola Abbatangelo sia perfettamente riuscito nel suo intento di ricreare un musical hollywoodiano in un contesto produttivo italiano. E rimane ora da capire se rimarrà un esperimento isolato, oppure se rappresenta l’inizio di una cifra autoriale, o una strada percorribile per superare la tendenza del cinema italiano a rinchiudersi nel locale, per aprire invece a un orizzonte internazionale.