Faith: i monaci guerrieri di Valentina Pedicini

Faith di Valentina Pedicini
un'immagine da Faith

Anteprima italiana al Biografilm per “Faith”

Faith è l’ultima fatica di Valentina Pedicini, presentato in anteprima italiana nella versione online del Biografilm Festival – International celebration of lives, giunto alla sua sedicesima edizione, dedicata come sempre ai documentari più interessanti del panorama mondiale.

«Nel 1998 un Maestro kung fu consacra corpo e anima alla lotta contro i Demoni. Recluta giovani campioni di arti marziali per combattere il Male. Li battezza come Monaci Guerrieri e Madri Guardiane. Sceglie l’Eletta che porterà la Luce nel mondo e fonda un Monastero a sua difesa. I “Guerrieri della Luce” forgiati da venti anni di disciplina e meditazione, senza alcun contatto fisico ed emotivo con il mondo esterno, sono oggi un piccolo esercito in attesa della battaglia finale»: queste le parole con cui Valentina Pedicini introduce il suo film, dedicato a una comunità di 22 persone che dal 1998 vive secondo rigide regole monastiche sulle colline marchigiane.

Bianco/nero e musica tecno

Faith cerca di far luce su una realtà atipica e da sempre polo attrattivo di diffidenza e pregiudizi, tentando di esplorare una realtà sconosciuta e affascinante. Il bianco/nero e le forti sonorità tecno si sposano sullo schermo mostrandoci lo stile di vita surreale scelto dai monaci-guerrieri e dando forma a un’estetica dello straniamento che brilla della stessa luce straniante delle atmosfere psichedeliche nelle quali veniamo catapultati. La quotidianità dei protagonisti, dai riti di rasatura alle docce fredde post allenamenti massacranti, dai pasti collettivi fino al rito del leccare il piatto una volta terminata la pietanza, rivendica la propria centralità senza fornire ulteriori chiarimenti, evitando di esaminare la valenza simbolica dei movimenti immortalati dalla camera.

L’occhio della regista concentra il suo sguardo curioso e sfrontato sui dettagli delle azioni dei combattenti, insinuando nello spettatore quesiti ingombranti su temi come normalità e diversità, o il peso di una scelta così radicale. Risulta, di conseguenza, naturale chiedersi quanto realmente l’uomo sia ciò che crede e in particolar modo, come in questo caso, ciò che decide fermamente di praticare, nella scelta della fede alla quale dedicare la propria esistenza e dei mezzi con i quali perseguirla per tutta la vita.

Faith si pone come una pura ricerca estetica che non dichiara le proprie intenzioni e che difende a spada tratta – accompagnata dalla colonna sonora del film Disney più adatto al tema, Mulan – la propria neutralità in un terreno fertile come quello della polemica, pronto a mettere in discussione il confine tra spiritualità e subordinazione; nella trincea di una battaglia interminabile contro un mondo esterno che di fatto i Guerrieri non toccano, nell’eterno e giornaliero conflitto tra speranza e sofferenza, infelicità e incertezza.

La realtà apparentemente disincantata dei monaci ci restituisce l’immagine di una comunità che rappresenta una parte di umanità distante dal mondo comune, una generazione disillusa ma speranzosa che si rifugia nelle radici del proprio credo, nei rigidi rituali e nell’apertura totale al dialogo, preparando così corpo e anima a combattere per difendersi da un male invisibile ma imminente.

Ricerca estetica senza pregiudizi

Valentina Pedicini porge allo spettatore la sua mano, donando l’istantanea di una realtà a molti forse sconosciuta, per altri inconcepibile. Ne registra quotidianità e azioni, rimanendo sulla superficie senza mai esplorare passato o motivazioni personali. Osserva e passa il testimone visivo al pubblico, senza giudicare e senza presunzione nel domandare a chi osserva di farlo.

Un ritratto dipinto con la precisione di chi non cerca interpretazioni né tanto meno opinioni, che non implica prese di posizione o la ferma convinzione nello stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato, quale il bene e quale il male. Una realtà, nuova, diversa e probabilmente scomoda sullo schermo, lontana da ogni ostentazione persuasiva. L’immersione documentaristica in un’estetica raffinata al servizio di uno spaccato manca forse di equilibrio ed empatia, ma è capace di spiazzare attraverso l’irruenza tipica dell’alieno, inscenando il disagio a suon di cazzotti e musica destabilizzante, sudore e devozione.