Figlio d’arte per sempre? Seppur orgoglioso dell’eredità paterna (e materna, ricordiamo che la madre è l’attrice francese Juliette Mayniel), da tempo Alessandro Gassmann ha intrapreso un percorso di crescita artistica passato dapprima attraverso la recitazione, con un’enorme varietà di ruoli che spaziano dal cinema al teatro alla televisione, per poi approdare alla regia. Fresco Presidente di giuria dei Fabrique Awards edizione 2021, Alessandro Gassmann si dice “onorato” della nomina, lui che il giovane cinema italiano lo ha sempre valorizzato, e anche se oggi si smarca con eleganza dalla categoria definendosi “signore di mezza età”, l’aspetto da eterno ragazzo e la voce energica sembrano voler continuare a smentire l’anagrafe.
E proprio il suo quarto lungometraggio da regista, Il silenzio grande, presentato a alle Giornate degli Autori veneziane, approda ora in sala. «Questo è il primo film che dirigo senza esserne anche attore ed è anche il primo film di finzione che presento a Venezia da regista» spiega Alessandro Gassmann. L’unico suo precedente veneziano dietro la macchina da presa è il documentario Torn – Strappati del 2015, dedicato a un gruppo di artisti siriani rifugiati in Giordania o Libano che Gassmann ha incontrato durante un viaggio in veste di ambasciatore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).
Il silenzio grande è «un lungo viaggio iniziato quando lo scrittore Maurizio de Giovanni è venuto a trovarmi a teatro. L’idea era fare qualcosa insieme, così ha scritto questa storia che parla di umanità che si incontrano. È la storia di una famiglia napoletana colta e raffinata caduta in disgrazia. Non avendo più soldi decidono di vendere la casa di famiglia, ma il capofamiglia non è d’accordo. Lo spettacolo teatrale, di cui io ho fatto la regia, ha debuttato al Festival di Napoli e poi è andato in tournée, è stato un grande successo di critica». A quel punto il passaggio dal teatro al cinema è stato naturale, come ricorda Gassmann che, oltre a dirigere Il silenzio grande, è anche co-autore dello script insieme a Maurizio de Giovanni e Andrea Ozza.
Il cast di quella che definisce una “commedia malinconica” è composto Massimiliano Gallo nei panni del capofamiglia, ruolo già interpretato a teatro, e Margherita Buy in quelli della moglie Rose. «Margherita non è napoletana, come non lo è il personaggio di Rose, una donna colta, fuori dal comune. Il film è ambientato a Napoli nel 1965 – data simbolica, non a caso è l’anno in cui sono nato – e contiene una componente visionaria, un coup de théâtre finale. Ma è soprattutto un film di attori, ce ne sono due giovanissimi, Antonia Fotaras ed Emanuele Linfatti, che interpretano i figli».
Proprio nei confronti dei giovani Alessandro Gassmann nutre una particolare attenzione anche e soprattutto sul set. «Dai giovani imparo tantissimo» ci dice. «Oggi le occasioni non mancano, i giovani possono esprimersi. Quello che manca, almeno in Italia, sono budget più adeguati. Serve più coraggio per lanciare i giovani autori in un mercato sempre più ampio». Il rapporto tra Alessandro Gassmann e il suo pubblico, giovane o meno giovane, è garantito da una presenza assidua su Twitter, unico social media che usa, dove il cineasta non ha peli sulla lingua tanto da alimentare accese discussioni per via delle sue posizioni nette. «Se insultano blocco, ma trovo Twitter uno strumento prezioso per alimentare una conversazione col pubblico. Molti miei colleghi preferiscono evitare, ma io temo gli indifferenti, li ritengo parte del problema. Non si tratta di urlare più forte, mi interessa capire il punto di vista di chi ha opinioni diverse dalle mie. I social ci hanno fatto diventare una società che ha smesso di informarsi, ma posta di tutto, fake news comprese. Così facendo lede la libertà degli altri».
Il tentativo di migliorare la società, per quanto possibile, per Alessandro Gassmann passa anche attraverso la trasmissione della conoscenza appresa dal padre Vittorio o da altri grandi incontrati nel proprio cammino come Gigi Proietti, che nel 2017 ha diretto ne Il premio. «Nascere in una casa di attori di successo è senza dubbio un privilegio» ammette l’attore e regista. «L’unico svantaggio è che siamo stati etichettati come snob perché non abbiamo mai frequentato certi salotti. In famiglia ci siamo fatti da soli, caratteristica questa comune a mio padre e a Proietti: non hanno mai preso scorciatoie. Erano convinti che il tempo desse loro la base per diventare indimenticabili. Oggi, grazie ai social media, puoi diventare famoso anche se non sai fare niente. Ma chi fa l’attore per diventare famoso ha sbagliato. Si sceglie di fare l’attore per raccontare la società».
E quella odierna è una società stravolta dall’emergenza sanitaria che vede gli incassi dei cinema stentare mentre le piattaforme streaming decollano grazie agli abbonati sempre più numerosi. «Purtroppo la pandemia non è finita» ammette sconsolato Alessandro Gassmann. «Le piattaforme tengono vivo il cinema, ma la visione in sala è un’altra cosa. Quando ho visto Il silenzio grande per la prima volta sullo schermo è stata un’emozione immensa, ho provato un senso di condivisione che la televisione non può restituire. Purtroppo le persone non si sentono al sicuro al chiuso, così i cinema stanno vivendo una crisi drammatica. Va detto che le piattaforme, negli ultimi anni, hanno prodotto serie di grande qualità. Io ne sono un fruitore, ma non le considero un sostituto del cinema. Per questo credo che una vaccinazione di massa sia necessaria per tornare in sala con tranquillità e provare a fare ripartire il settore».
Pur sperimentandone tutta la drammaticità, Alessandro Gassmann ammette che la pandemia lo ha spinto a rivedere alcune delle sue priorità: “Poco prima del lockdown mi sono ritrovato insieme alla mia famiglia nella casa di campagna in Maremma e questo ci ha permesso di trascorrere questo periodo in modo piacevole, potevamo anche uscire a fare quattro passi. Dopo 5 mesi fermo in casa, ho capito che il tempo a stare senza fare niente mi era piaciuto. Così ho deciso di lavorare di meno, guadagnando anche di meno, per dedicarmi a progetti più rischiosi. Voglio essere più selettivo nei lavori che accetto, l’anno scorso ho interpretato due opere prime, Mio fratello rincorre i dinosauri e Non odiare, che mi hanno dato tante soddisfazioni. Invece ho detto no al terzo capitolo di Non ci resta che il crimine. Intendiamoci, non rinnego niente, non ho niente contro questo tipo di commedie, ma oggi non mi sento più di farle. Il mio obiettivo principale è recitare sempre di meno per dedicarmi alla regia. Questo è il futuro che vedo per me”. Dopo aver ultimato Il silenzio grande, Gassmann ha però accettato di recitare un film di cui è molto soddisfatto. Il progetto diretto da Francesco Lagi per adesso è top secret e porta il curioso titolo de Il pataffio. Vista l’ambientazione medievale del film, la mente corre immediatamente a L’armata Brancaleone, uno dei titoli più celebri tra i tanti interpretati da Vittorio Gassman. Nuovo confronto con l’eredità paterna in vista? “Non posso dire niente” ammette Alessandro sornione. “Anzi, una cosa la posso dire: il film è tratto da un romanzo di Luigi Malerba a cui Mario Monicelli si era ispirato per creare il linguaggio de L’armata Brancaleone”. Et voilà, il link tra passato e presente è servito.