Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Sun, 28 Apr 2024 13:32:15 +0000 it-IT hourly 1 Castelrotto, un film antico e nuovo stranamente affascinante https://www.fabriqueducinema.it/focus/castelrotto-un-film-antico-e-nuovo-stranamente-affascinante/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/castelrotto-un-film-antico-e-nuovo-stranamente-affascinante/#respond Sun, 28 Apr 2024 13:30:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19100 Prima presentato al Torino Film Festival 2023, poi finalista dei Fabrique du Cinéma Awards tra i candidati per la Miglior Opera Prima Italiana, infine al centro di un giro d’Italia auto-organizzato, Castelrotto, il primo lungometraggio del poco più che quarantenne Damiano Giacomelli, è allo stesso tempo un raro esempio di indipendenza radicale e un pezzo […]

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Prima presentato al Torino Film Festival 2023, poi finalista dei Fabrique du Cinéma Awards tra i candidati per la Miglior Opera Prima Italiana, infine al centro di un giro d’Italia auto-organizzato, Castelrotto, il primo lungometraggio del poco più che quarantenne Damiano Giacomelli, è allo stesso tempo un raro esempio di indipendenza radicale e un pezzo di cinema italiano falsamente regionalistico, autenticamente diverso da tutto il resto. Un oggetto antico e nuovo stranamente affascinante.

Il suo autore totale – che ha scritto, diretto prodotto e distribuito – ha il physique du rôle e la storia dell’uomo di cinema d’altri tempi, un outsider caparbiamente e consapevolmente fiorito fuori dai soliti giri. Durante gli anni all’Università di Urbino Giacomelli scopre casualmente l’opzione cinematografica con l’incontro fatale con la sala di montaggio; così inizia la passione per il ritmo musicale delle immagini. Nel successivo periodo di studio e specializzazione a Roma scopre, coi primi lavori su commissione, il laboratorio della scrittura.

Riprende l’attività didattica con giovani e giovanissimi, dentro e fuori le scuole; da qui nasce Officine Mattoli, un laboratorio aperto che diventa fucina di nuovi artigiani cinematografici. Intorno si va raccogliendo intanto una piccola folla di talenti che si stabilizzeranno presto in gruppo di lavoro. In parallelo ricomincia l’attività di produzione cinematografica – che presto troverà la sua forma ufficiale sotto le insegne di Yuk! film – nella quale quel gruppo diventa protagonista. Così, nel giro di pochi anni, arrivano due corti – La strada vecchia e Spera Teresa – e un lungometraggio documentario – Noci sonanti – che tutti insieme costituiscono un po’ la massa critica necessaria per l’arrivo al primo lungometraggio a soggetto. Nei tre film si ritrovano anticipazioni, ricorrenze, contesti e registri che torneranno, sublimati e combinati, in Castelrotto: alcuni luoghi della provincia pulviscolare come dimensione esistenziale, il comico, il malinconico, il grottesco, il gergale e il dialettale usati come musica concreta, il plurale e il singolare come luoghi della vita di paese.

Castelrotto Tantucci
Denise Tantucci, nel cast di “Castelrotto”.

Il progetto di Castelrotto nasce a questo punto dall’intreccio e dalla sovrapposizione di due spinte: da una parte quella che muove Damiano Giacomelli verso nuove e più alte sfide in direzione di una maturazione e di una crescita, dall’altra la necessità di un’idea per trovare una forma cinematograficamente estrinseca. Dalla frequentazione assidua della cronaca locale, dalla rimasticazione delle dinamiche e delle forze che tendono l’ordito dei piccoli centri tra Fermo, Macerata, Tolentino, dalla versione del mondo, alternativa e differente, che da questi territori è prodotta, nasce un’idea che si manifesta – dice Giacomelli – prima di tutto come voce: Ottone, il protagonista del suo esordio, inizia a esistere nella testa del suo autore come voce ancora senza volto e senza corpo.

Alla fine del 2019 la voce è maturata in idea e l’idea in progetto: il film a venire ha già una sua forma produttivamente concreta e il suo protagonista, la sua voce portante, ha trovato un corpo, quello di Giorgio Colangeli. Un po’ per scelta e un po’ per necessità la macchina della produzione si mette in moto seguendo la via dell’indipendenza e intraprendendo l’avventura di fare un film senza la garanzia di accordi o alleanze.

Le riprese si svolgono durante l’ultima recrudescenza della pandemia di Covid,, concentrandosi soprattutto nel piccolo borgo di Ponzano di Fermo. Nonostante le difficoltà pratiche quotidiane, nonostante una sosta obbligata causa contagio, il film si presenta presto alla fase della post-produzione. «Mentre lo scrivevo ascoltavo sempre della musica»: tra le sue tante esperienze di agitatore culturale Giacomelli è anche direttore artistico del festival culturale Borgofuturo. Qui conosce Peppe Leone, autorevole musicista percussionista senza alcuna pregressa esperienza nella composizione per il cinema. A lui affida la costruzione di una colonna sonora anti-melodica e per niente nostalgica che contribuisce significativamente all’invenzione dell’anima frammentaria e sincopata di Castelrotto. Un contrappunto antinaturalistico e asincrono che spinge lo spettatore lontano da ogni possibile apparentamento con l’apologetica strapaesana.

Quel che arriva a Torino è un film di difficile definizione, né comico né tragico, che gioca con alcune forme dei generi cinematografici – il giallo e il crime movie su tutti, ma in una convincente simbiosi con altre citazioni frammentarie tra le quali forse perfino il western – senza mai lasciarsi irrigidire nel cimento; che evoca immaginari inconsueti pur parlando in modo concreto e rigoroso del tempo presente; che inizia sorvolando un orizzonte apparentemente surreale – né tondo né quadro, assai lontano dalle forme di visione e di racconto del cinema italiano contemporaneo – e che finisce atterrando in un altrettanto enigmatico panorama astratto, procedendo in realtà per tutto il tempo, secondo una coerenza perfetta, lungo una traiettoria che attraversa i corpi e le cose.

La voce che dà l’avvio al film è quella di Ottone, maestro in pensione che dalla finestra di casa sua domina la piazzetta del borgo di Castelrotto, dove una mattina non vede arrivare il camioncino del solito venditore ambulante ma quello dei “calabresi”, un padre e due figli arrivati nelle Marche per la ricostruzione del terremoto degli anni Novanta e poi rimasti in cerca di una vita migliore; da Ottone odiati e contrastati ciecamente per la convinzione, mai dimostrata, che abbiano indirettamente causato la morte della nipote.

Ottone – che inizia distinguendo tra storie e storielle, tra racconti che funzionano e racconti che non funzionano – è un narratore anacronistico e spaesato, giornalista amatoriale, e all’inizio del film si rimette alla sua vecchia macchina da scrivere per tentare di trovare un ordine nei misteriosi fatti intorno alla scomparsa del vecchio ambulante. Nella traiettoria che lo conduce attraverso una riconciliazione con il suo paese e con sé stesso, Ottone incontra la rabbia e l’odio […]

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Gli attori di Fabrique 43: Martina Iacomelli, Giovanni Crozza Signoris, Ludovica Ciaschetti, Luca Maria Vannuccini https://www.fabriqueducinema.it/focus/gli-attori-di-fabrique-43-martina-iacomelli-giovanni-crozza-signoris-ludovica-ciaschetti-luca-maria-vannuccini/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/gli-attori-di-fabrique-43-martina-iacomelli-giovanni-crozza-signoris-ludovica-ciaschetti-luca-maria-vannuccini/#respond Thu, 18 Apr 2024 09:14:40 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19078 I giovani attori protagonisti del nuovo numero di Fabrique du Cinéma, il 43esimo, sono Martina Iacomelli, Giovanni Crozza Signoris, Ludovica Chiaschetti, Luca Maria Vannuccini. Abbiamo chiesto loro di rispondere ad alcune domande sul loro lavoro e sui loro gusti cinematografici: – Età e città di provenienza: – Mi avete visto in… – Mi vedrete in… – Al cinema tutti guardano […]

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I giovani attori protagonisti del nuovo numero di Fabrique du Cinéma, il 43esimo, sono Martina Iacomelli, Giovanni Crozza Signoris, Ludovica Chiaschetti, Luca Maria Vannuccini.

Abbiamo chiesto loro di rispondere ad alcune domande sul loro lavoro e sui loro gusti cinematografici:

Età e città di provenienza:
– Mi avete visto in…
– Mi vedrete in…
– Al cinema tutti guardano i protagonisti, ma sappiamo che anche i ruoli minori sono fondamentali per la riuscita di un film: se tu dovessi assegnare l’Oscar di tutti i tempi per il miglior attore e attrice non protagonista, a chi lo daresti?

Martina Iacomelli

Ho 25 anni e vengo da un piccolo paese di mare al quale sono molto affezionata, Marina di Pisa.

Don Matteo 12, Buongiorno Mamma, Un passo dal cielo 7, La primavera della mia vita e da poco in Succede anche nelle migliori famiglie di Alessandro Siani.

In una nuova fiction Mediaset, ma non posso spoilerare nulla…

Mark Rylance in Don’t Look Up è stato magistrale. Ha dato vita a un antagonista di rara complessità, un uomo tanto rassicurante quanto diabolico. La sua performance era la vera calamita del film: ogni volta che compariva sullo schermo, non potevo distogliere lo sguardo. Rylance ha saputo gestire con maestria la costruzione del personaggio, calibrata alla perfezione, quasi impeccabile.

Giovanni Crozza Signoris

25 anni, nato a Genova.

Nella serie Sky sul mondo del calcio Il grande gioco, in cui mi barcameno disperatamente per restituire dignità ad un personaggio che meritava di più, ovvero Antonio Lagioia, una giovane promessa del Milan. Inoltre, dopo anni di provini sfumati nell’iperuranio, ho partecipato alla miniserie Rai Mameli. In questo progetto fallisco miseramente nell’interpretazione di Carlin Repetto, un camallo del porto di Genova che vuole riscattare il proprio passato.

Mi dicono che sia consuetudine rispondere: “Mi vedrete in un progetto top secret di cui non posso ancora parlare, incrociamo le dita”. Nel mio caso evidentemente questo progetto è talmente top secret che non l’hanno detto manco a me. Non ho proprio niente da incrociare. Accetto proposte.

Senza dubbio darei l’Oscar a Chris e Meg Griffin. So che a molti Meg non piace, ma non ho paura delle critiche. Per chiunque volesse confutarmi, sono disposto ad aprire dibattito.

Ludovica Ciaschetti

21 anni, Chieti.

Per Elisa – Il caso Claps di Marco Pontecorvo nel ruolo di Elisa, La storia di Francesca Archibugi e Summertime 3.

Il grande libro dei nodi, opera prima di Edoardo Ferraro nel ruolo di Margherita.

Tra i nomi più recenti penso a Claire Foy in All of Us Strangers per la sua immensa generosità artistica o Frances McDormand in Women Talking; per gli uomini Woody Harrelson in Tre manifesti a Ebbing, Missouri.

Luca Maria Vannuccini

22, Roma.

Anni da cane, Quando, Un’estate fa.

So che siete curiosi, ma vi chiedo solo di pazientare ancora un po’.

Philip Seymour Hoffman in Boogie Nights – l’altra Hollywood.

*

Fotografo: Gioele Vettraino

Stylist: Cosmo Muccino Amatulli 

Assistente stylist: Matteo Frascari

Hairstylist: Adriano Cocciarelli 

Make-up: Ilaria di Lauro

Location: Coho loft 

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Rebecca Antonaci, giovane leonessa https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/rebecca-antonaci-giovane-leonessa/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/cover/rebecca-antonaci-giovane-leonessa/#respond Tue, 16 Apr 2024 13:59:48 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19051 Rebecca Antonaci, appena ventenne, originaria di Viterbo dove ha studiato cinema in una “scuola comune”, come la definisce lei, ha lo sguardo e la voce della purezza, ma la grinta di una leonessa che ha trovato il modo di uscire dalla gabbia. Da esordiente è la protagonista assoluta dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, […]

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Rebecca Antonaci, appena ventenne, originaria di Viterbo dove ha studiato cinema in una “scuola comune”, come la definisce lei, ha lo sguardo e la voce della purezza, ma la grinta di una leonessa che ha trovato il modo di uscire dalla gabbia.

Da esordiente è la protagonista assoluta dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Rebecca, che interpreta Mimosa, si è posta di fronte alla macchina da presa come una pagina bianca: buca lo schermo e lo attraversa per puntare dritta al cuore dello spettatore con un’interpretazione magistrale e un lavoro di mimesi e rispecchiamento degni di un attore navigato, diciamo di un Willem Dafoe, di cui ormai Rebecca è amica. All’attivo ha spettacoli teatrali, piccole parti in serie tv, lo spot Barilla dove ha conosciuto Saverio Costanzo e un album (Morfina) di canzoni interamente scritte e composte da lei. Iniziamo la nostra chiacchierata proprio dalla musica.

Prima di essere un’attrice sei una cantautrice. Le tue canzoni sono delicate, magnetiche. Da dove nasce la passione per la musica?

La musica è arrivata prima del cinema, ho iniziato a studiarla quando ero piccola. Ha sempre fatto parte di me perché mi permette di esprimere me stessa appieno. Quando sono ispirata tiro fuori cose che non avrei mai pensato, perché è l’inconscio a parlare, la musica mi aiuta a entrare in contatto con le parti più nascoste di me. Quando interpreto una parte è diverso, perché sono sempre io ma dentro altri personaggi, anche se la prima regola della recitazione è «conosci te stesso», perché se non conosci te stesso non puoi conoscere il tuo personaggio.

E allora parliamo di cinema, parliamo del tuo debutto come opera prima assoluta con Finalmente l’alba: come sei arrivata, da esordiente, a un film così importante?

È successo grazie a una serie di incontri giusti al momento giusto. Io e Saverio Costanzo ci siamo incontrati sul set dello spot Barilla, anche se in quell’occasione non era stato possibile conoscerci davvero perché era stato tutto molto veloce. Durante le riprese però lui mi aveva osservata e – poi mi ha detto – ha subito pensato a me per il ruolo di Mimosa. Anche nella scrittura della sceneggiatura era me che immaginava, me lo ha confidato solo quando abbiamo finito di girare il film! Comunque niente è stato dato per scontato, ho fatto dieci provini, uno più difficile dell’altro, Saverio mi ha messo alla prova in tutti i modi.

C’è un film che ti ha fatto capire che volevi essere un’attrice? Che tipo di cinema ti piace?

Ci sono diversi registi che mi stanno a cuore, David Lynch, Quentin Tarantino, Edgar Wright, David Cronenberg. Il film che mi ha più toccato è Maps to the Stars, proprio di Cronenberg. Parla dell’ambiente degli attori, soprattutto degli aspetti negativi, dei problemi e delle paranoie che ti possono venire quando fai questo mestiere e l’ho apprezzato perché mi ci sono rivista, anche se sono soltanto all’inizio  della carriera. Mi ha aperto la mente su questo mondo, mi ha spronata e mi ha fatto capire quali sono i pericoli in cui non voglio cadere.

Come ti senti quando reciti? Il dolore che sei riuscita a trasmettere nella scena magistrale in cui “interpreti” una poesia, da dove è uscito? Chi riesce a trasmettere un’emozione così forte non può che essere una persona empatica.

In effetti sono una persona estremamente empatica e sensibile, sento tutto con grande intensità, che sia gioia, dolore o solitudine, perciò quando recito sto davvero male. Una volta che entro in un personaggio mi porto dentro il suo dolore per un bel po’ perché entro in contatto con me stessa, coi miei ricordi… Nella scena della poesia è successo proprio così, perché ero talmente dentro al personaggio di Mimosa che non ho neanche dovuto usare la tecnica o ricorrere a memorie personali, mi sono realmente immedesimata. È uscito tutto con naturalezza, senza artifici. E sono davvero molto contenta perché la scena è arrivata al pubblico.

Come è avvenuta questa profonda immedesimazione con Mimosa?

Credo sia stato un connubio fra tecnica e istinto, però con Mimosa ho sentito una connessione fin dalla prima lettura della sceneggiatura e non so perché. In realtà siamo due persone molto diverse, eppure mi sono sentita come se fossi sua madre, ho avuto la sensazione di volerla proteggere, dandole tutto quello che potevo. È un personaggio che ancora mi sento addosso. Mentre giravamo le prime sequenze e mi sono ritrovata con attori come Willem Dafoe, Lily James e Joe Keery, mi dicevo: “Ma stiamo scherzando? Sono in una scena con questi tre, ma che sta succedendo?”. Ero incredula proprio come Mimosa.

Mimosa rappresenta l’innocenza, e in una favola nera la sua purezza spicca ed emerge ancora di più. Ma alla fine trova la leonessa che è in lei. Quella scena sembra proprio un invito a tutti noi, sembra suggerirci di camminare affianco al nostro leone, a non averne più paura.

 Sicuramente questo film mi ha fatto crescere come persona e come attrice, è stata un’esperienza assolutamente formativa. La leonessa però la sto affrontando adesso, perché quando ho girato il film ero piccola, avevo solo 17 anni. Dovevo ancora finire la scuola. Era tutto bello, la parte più difficile è arrivata quando è finito il film perché sono tornata al liceo, alla vita normale. Questa esperienza mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto tanto e sto imparando solo ora ad accettare tutto, a vivere con serenità e ad affrontare le cose una alla volta. Questo è un mestiere bellissimo, ma è anche pieno di incertezze, non sai mai quando lavorerai… quindi affrontare il leone forse significa affrontare te stesso e il lavoro che hai scelto.

Saverio Costanzo ti ha scelta per la tua autenticità, la caratteristica principale anche del tuo personaggio. Com’è stato lavorare con lui? Cosa ti porti dentro?

L’insegnamento più grande che mi ha dato Saverio è come arrivare all’anima del personaggio. Lui ti toglie ogni schema, ogni forma di overacting, nota tutto, ha una grandissima sensibilità e una grande empatia perché capisce in che situazione sei e ti aiuta a entrare nell’anima del personaggio. Amo moltissimo la sua visione del film e la sua visione delle cose in generale e del mondo femminile, delicata, sensibile. E poi Saverio mi ha regalato un film stupendo: a prescindere dal fatto che c’ero anche io in quel film, lo avrei amato comunque.

Com’è stato recitare con grandi divi di Hollywood? In particolare Willem Dafoe nel film è un po’ la tua guida, quasi una figura paterna. È stato così anche sul set?

Più che una figura paterna Willem è stato un amico. È in grado di capirti subito, ti legge completamente, mi ha fatto sentire a mio agio sul set e anche divertire, fra un ciak e l’altro, con le sue smorfie! È stato molto stimolante lavorare con lui, è un attore con la “a” maiuscola, però ho scoperto che è anche una bellissima persona.

E ora cosa vedi nel tuo futuro? C’è un regista o una regista con cui sogni di lavorare?

Cerco di non avere pretese, mi piace pensarmi come una pagina bianca pronta a essere “scritta” e sono sicura che arriverà il progetto giusto nel momento giusto. Però il mio sogno segreto è poter girare un horror. Io ho una grande paura dei film horror, mi fanno stare male per giorni e quindi vorrei proprio girarne uno dove interpreto la parte del mostro sanguinario, quello che spaventa gli altri… Credo sarebbe l’unico modo per superare questa paura.

Scrivi canzoni. Ma hai mai pensato di scrivere una storia? Magari una storia per il cinema?

Oltre alle canzoni scrivo anche poesie, ma sono cose molto intime quindi le tengo per me. Mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura, anche se adesso mi sento ancora acerba, però è una possibilità che tengo aperta. Mi attira l’idea di parlare di solitudine, un po’ come fa Sofia Coppola.

Fotografa Roberta Krasnig: assistente Davide Valente
Stylist: Flavia Liberatori
Hair and Makeup
Ilaria di Lauro

Abiti: Meimeij; Federica Tosi; Alysi

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Gloria! Quando una cantautrice prende la macchina da presa https://www.fabriqueducinema.it/focus/gloria-quando-una-cantautrice-prende-la-macchina-da-presa/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/gloria-quando-una-cantautrice-prende-la-macchina-da-presa/#respond Mon, 15 Apr 2024 16:51:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19048 Il titolo sembra già di per sé una scommessa. Da una parte inteso come preghiera rivolta al cielo, come i canti che da secoli animano le messe cristiane. Ma anche una sorta di richiamo coercitivo a un’ipotetica ragazza che disobbedisce. Gloria! è l’opera prima di Margherita Vicario, già in concorso alla Berlinale. Già, con tanto […]

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Il titolo sembra già di per sé una scommessa. Da una parte inteso come preghiera rivolta al cielo, come i canti che da secoli animano le messe cristiane. Ma anche una sorta di richiamo coercitivo a un’ipotetica ragazza che disobbedisce. Gloria! è l’opera prima di Margherita Vicario, già in concorso alla Berlinale. Già, con tanto di punto esclamativo. Partita come attrice diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica, una filmografia d’attrice di 8 lunghi, 4 corti e 12 partecipazioni in serie tv, nonché cantautrice di indie-pop con Universal, un album, due EP e diversi tour all’attivo, più 190 mila followers su Instagram, la Vicario punta alto per essere un’esordiente. Scrive e dirige una storia corale dove s’incrociano diversi piani narrativi, molte minuziose ricostruzioni sceniche e costumistiche del 1800 veneziano, ma ci parla soprattutto di musica e giovani artiste schiudendoci le porte su alcuni aspetti di un’epoca mai considerati dal mainstream.

Il connubio tra ragazze nobili e orfane, strano ma storicamente vero, aveva la possibilità di studiare musica negli Ospedali, ovvero strutture che le ospitavano finché non avessero preso marito, ma al tempo stesso ne soffocava ogni slancio creativo in un’atmosfera dove le donne erano semplicemente al servizio degli uomini. La regista parte dall’Ospedale della Pietà al tempo di Pio VII, il Papa che per alcuni mesi soggiornò in Veneto visitando alcune congregazioni, e ci mescola la vicenda fittizia di Teresa, cenerentola muta ma con un talento speciale e segreto: la composizione musicale. Insieme a un gruppo di ragazze violiniste si riunirà intorno a un pianoforte, un po’ come una Setta dei Poeti Estinti in stile Attimo fuggente, durante notti insonni e piene d’invenzioni musicali. Nasce da qui una magia di note che pervade di vitalità tutto il pastiche. Citazioni pittoriche e atmosfere che ricordano magicamente Music, il musical di Sia, e Into The Woods, quello Disney di Rob Marshall offrono un’impronta estetica più rivoluzionaria delle scarpe da ginnastica in Marie Antoniette della Coppola.

La Vicario orchestra febbrili sfide al piano che ricordano quella della Leggenda del pianista sull’oceano, con audace leggerezza plana dalla musica barocca al pop, passando per ritmi jazz e gospel. Se a metà novecento il rock’n’roll di Elvis faceva veniva bollato come “musica del diavolo”, immaginate cosa avrebbe mai potuto provare persone ottocentesche ad ascoltare jazz e pop dei giorni nostri. Praticamente più che un film in costume diventa una felice ucronia, dove cioè l’autrice stravolge il passato portando sonorità impensabili nel primissimo ottocento.

Si avvale di un cast assortito, dalle protagoniste Galatéa Bellugi e Carlotta Gamba, ai fanatici villain Paolo Rossi, nel ruolo del dispotico maestro di musica, e Natalino Balasso, retrogrado governatore, fino agli outsider Elio, che interpreta un affettuoso liutaio, e Vincenzo Crea, giovane dalla vita difficile per le proprie scelte sessuali.

Sottotemi sono tra gli altri la maternità negata, la forza della solidarietà femminile e il potere ecclesiale maschiocentrico. Questo racconto rivoluzionario e complesso per un’opera prima porta alcune piccole farraginosità per i più attenti, ma la Vicario dimostra di saper gestire il set come fosse quasi un musical da palcoscenico, e il cuore che ne traspare con chiarezza ha le carte per conquistare emotivamente alla visione. Infatti questa storia appassionante e originalissima, in forma e sostanza, al suo 5° giorno di sala si è piazzata quinta al box office. In più, dato interessante per addetti ai lavori e spettatori attenti a temi ambientali, questa di Tempesta è una produzione avvenuta in EcoMuvi, cioè il disciplinare europeo di sostenibilità ambientale certificato per una produzione cinematografica a basso impatto.

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The Cineclub Contest: immagina il cinema del futuro https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/the-cineclub-contest-immagina-il-cinema-del-futuro/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/the-cineclub-contest-immagina-il-cinema-del-futuro/#respond Tue, 26 Mar 2024 13:53:39 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19033 Hai mai pensato a come saranno le sale cinematografiche del domani? Forse saranno come letti galleggianti sull’acqua, con uno schermo che fluttua sopra di te. O forse diventeranno drive-in per piloti di droni. Oppure potrebbero rimanere simili a quelle di oggi, magari più intime, con presentazioni speciali e ospiti d’onore. The Cineclub Contest è un’opportunità […]

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Hai mai pensato a come saranno le sale cinematografiche del domani? Forse saranno come letti galleggianti sull’acqua, con uno schermo che fluttua sopra di te. O forse diventeranno drive-in per piloti di droni. Oppure potrebbero rimanere simili a quelle di oggi, magari più intime, con presentazioni speciali e ospiti d’onore.

The Cineclub Contest è un’opportunità unica per dare forma alla sala cinematografica del futuro. Vogliamo sapere come le nuove generazioni immaginano il cinema e il luogo in cui viene proiettato. Per molti di noi, la sala cinematografica è stata il luogo per eccellenza per godersi un film. Ma per i millennial e la generazione Z, abituati a una varietà di dispositivi e modalità di fruizione dei contenuti, cosa rappresenterà il cinema nei prossimi anni?

The Cineclub Contest offre agli artisti uno spazio di libertà creativa per esprimere con le immagini la loro visione dell’evoluzione del cinema. I finalisti avranno l’opportunità di essere esposti a Roma di fronte ai più grandi nomi dell’arte illustrata e del cinema. E il vincitore riceverà un premio in denaro di 500 euro.

Una giuria composta da esperti del settore, tra cui Giacomo Bevilacqua, Emiliano Mammuccari, Ginevra Nervi, Alessandro Celli, Maria Giulia Costanzo e Cynthia Sgarallino, valuterà le opere. Ma attenzione: hai tempo solo fino al 30 marzo per inviare le tue opere!

The-Cineclub-Contest-giuria

Tutte le informazioni necessarie nel bando al link: https://thecineclubcontest

Qui la pagina IG 

The Cineclub Contest è prodotto dall’associazione culturale Bladerunner, in collaborazione con Fabrique du Cinéma, Autori d’immagini, Pepe Agency e con il patrocinio del Comune di Roma.

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Il superpotere delle nuove tecnologie comporta grandi responsabilità: parola di Jeff Gomez https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/il-superpotere-delle-nuove-tecnologie-comporta-grandi-responsabilita-parola-di-jeff-gomez/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/industry/il-superpotere-delle-nuove-tecnologie-comporta-grandi-responsabilita-parola-di-jeff-gomez/#respond Tue, 19 Mar 2024 15:26:52 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19023 Jeff Gomez è un produttore transmediale ed esperto di narrazione interattiva statunitense riconosciuto a livello mondiale, fondatore e CEO di Starlight Runner Entertainment. Nella sua carriera, ha lavorato con alcune delle più grandi proprietà intellettuali del mondo, tra cui Star Wars, Avatar, Halo e Transformers, contribuendo a estendere le loro storie attraverso molteplici piattaforme e […]

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Jeff Gomez è un produttore transmediale ed esperto di narrazione interattiva statunitense riconosciuto a livello mondiale, fondatore e CEO di Starlight Runner Entertainment. Nella sua carriera, ha lavorato con alcune delle più grandi proprietà intellettuali del mondo, tra cui Star Wars, Avatar, Halo e Transformers, contribuendo a estendere le loro storie attraverso molteplici piattaforme e media. Anticipiamo uno degli articoli che appariranno sul prossimo numero di Fabrique con la versione estesa del contributo di Jeff Gomez, che ringraziamo per la sua disponibilità.

Qual è il tuo punto di vista sull’impatto delle nuove tecnologie sull’intrattenimento? In particolare, mentre le piattaforme di distribuzione hanno subito cambiamenti notevoli, i formati sembrano rimanere gli stessi, a eccezione di alcuni prodotti “interattivi”. Credi che l’emergere di VR, AR, Metaverse e IA cambierà anche i metodi di narrazione e i formati?

Le tecnologie partecipative emergenti come la realtà mista e l’intelligenza artificiale richiederanno modalità narrative completamente nuove. Assisteremo all’evoluzione della progettazione narrativa: una forma di narrazione necessaria per sfruttare l’attività del giocatore all’interno degli ambienti interattivi predeterminati dei videogiochi, in un modello che consentirà una relazione libera e senza limiti tra partecipante, ambiente, personaggi e storia. Questo concetto è ciò che chiamo “narrazione sistemica”. Il partecipante umano o il personaggio giocante entra nell’ambiente, virtuale o completamente fittizio e si muove all’interno di esso senza una traccia predeterminata. Il nuovo linguaggio della narrazione sistemica deve inoltre consentire di mettere da parte concetti polarizzati di giusto e sbagliato, perché il partecipante non è necessariamente un “eroe speciale” all’interno di questo ambiente, ma è più simile a un membro di una comunità o di un collettivo di personaggi ed eventi. Il grado di partecipazione alla grande narrazione è interamente a sua discrezione. Il mondo procederà con o senza di lui. Ma il modello deve anche incoraggiare la partecipazione e ricompensare una maggiore interazione con l’ambiente con l’attivazione di sequenze narrative aggiuntive progettate dagli autori. Ciò influenzerà e arricchirà la narrazione, perché gli autori dovranno immaginare mondi viventi, respiranti, in cui ogni personaggio e creatura ha la propria prospettiva e dove anche le azioni più piccole dei partecipanti avranno effetti a catena sulla storia. Questo promuoverà un approccio differente alla narrazione, dove i punti di vista di ciascun partecipante e personaggio non giocante devono essere presi in considerazione affinché la narrazione sia veramente attualizzata.

Attualmente, come sta rispondendo il mercato dell’intrattenimento alle tecnologie immersive (AR, IA, Metaverse) e all’IA? Siamo ancora in una fase esplorativa, o stiamo già iniziando a offrire qualcosa agli utenti, allontanandoci dagli standard che hanno dominato finora?

Le narrazioni lineari e alcune interattive stanno diventando più sofisticate. Sono particolarmente interessato ai complessi mondi narrativi dei franchise dell’intrattenimento come Star Wars, Game of Thrones e l’Universo Cinematografico Marvel, perché ognuno è ambientato all’interno di un proto-mondo narrativo sistemico. Universi videoludici come Grand Theft Auto e Elden Ring trasmettono l’illusione di mondi narrativi viventi che esistono tutto intorno al partecipante e procedono nel tempo. Anche le narrazioni immersive come quelle che si potrebbero trovare nel teatro sperimentale e nei parchi a tema stanno evolvendo in direzioni interessanti. Ma abbiamo ancora molta strada da fare prima che le narrazioni sistemiche come le ho descritte diventino comuni.

Approfondendo le “tecnologie generative”, come pensi che queste tecnologie influenzeranno la creazione, il consumo e la distribuzione dei contenuti a lungo termine? Sono rischi o opportunità per i creativi e per l’industria e la società civile?

Stiamo assistendo a un salto quantico che ricorda alcuni degli eventi più impattanti nella storia della comunicazione di massa: la stampa, la radio, il cinema, la televisione e i dispositivi mobili. Le tecnologie generative hanno il potenziale per emulare e in certo modo realizzare ciò che finora è stato evocato solo dalla nostra immaginazione. Si tratta della capacità di produrre simulacri convincenti dei mondi narrativi che stiamo navigando, fino al più piccolo dettaglio, e ancora più in profondità fino ai pensieri, ai desideri e alle aspirazioni degli esseri immaginari. La bellezza di questo è che la nostra finzione può diventare meno astratta e semplificata, provocando una maggiore riflessione e considerazione per il mondo che ci circonda. Il pericolo, naturalmente, è nella tentazione di raffigurare la depravazione umana. Man mano che le storie diventano più realistiche a livello sensoriale, c’è poi il rischio di sfumare i confini tra fantasia e realtà fino al punto in cui le esperienze diventano indistinguibili. Questo significa intanto che le fantasie e i vizi potranno trasferirsi nel mondo reale. Ma ci sarà anche il pericolo che alcuni, più esposti a queste tentazioni, esprimano la volontà di rimanere nel mondo narrativo il più a lungo possibile, perché è un’alternativa migliore alla banalità del mondo reale.

Jeff Gomez
Jeff Gomez.

Parliamo ora di “qualità narrativa”. Quando si discutono le nuove tecnologie applicate alla narrazione, le preoccupazioni sorgono principalmente dall’industria dell’intrattenimento, in particolare l’industria cinematografica. Ricordiamo i pericoli che alcuni indicano, come “la scomparsa degli autori”, la creazione di film “senza attori” e come questo influenzerà negativamente la storia, rendendola un prodotto standardizzato prodotto da una “macchina”. Sei d’accordo o in disaccordo con queste preoccupazioni?

Per tutti i precedenti grandi balzi nell’evoluzione dei media, sono state sviluppate nuove lingue e tecniche per sfruttare i punti di forza della tecnologia. Nel cinema, ad esempio, siamo passati rapidamente da riprese di spettacoli teatrali alle riprese in campo e controcampo, al montaggio parallelo e alle telecamere in movimento. Con l’avvento dell’IA e delle tecnologie immersive, probabilmente ci ispireremo al videogioco per ottenere dei nuovi format narrativi e creare un linguaggio per le narrazioni sistemiche. Sebbene non vi sia dubbio che il livello di qualità dei contenuti prodotti dall’IA continuerà a aumentare, probabilmente passerà ancora molto tempo prima che possano simulare una visione creativa originale con un approccio stilistico unico che emerge dalla somma totale delle esperienze e dei desideri personali di un artista, dai suoi traumi infantili, dalle sue fantasie sessuali e dalle manifestazioni dell’intero spettro di dolore e gioia. Quando però accadrà, saremo in grado di apprezzare i contenuti generati dall’IA come facciamo con il film medio su Netflix.

Guardando ai mestieri tradizionali del cinema e della televisione, credi che dovremmo prepararci per una rivoluzione o un cambiamento radicale?

Ai tassi di sviluppo attuali, entro pochi anni interi film e programmi televisivi saranno creabili senza la necessità di lunghe fasi di sviluppo della sceneggiatura o di produzione fisica. Da una parte dovremo avere nuove skill che siano in grado di dominare i prompt per creare una storia. Dall’altra parte da un potere del genere deriverà una grande responsabilità. Quando qualsiasi cosa che possa essere generata dalla tua mente può trovare la sua strada in un film in movimento altamente realistico, dobbiamo dedicare molte più risorse alla cura e al mantenimento della salute mentale. Soprattutto, dobbiamo cambiare prospettiva e dare valore non più alla sconfitta del male da parte del bene (qualunque cosa definiamo questi due termini), ma alla riconciliazione. Ovvero affinare la capacità di mettere a confronto prospettive per trovare nuove soluzioni mutuamente valide ed effettuare riparazioni sistemiche, in modo da non essere condannati a ripetere cicli di negatività, distruzione e trauma.

Questi impatti vengono studiati o esplorati in ambienti accademici? Quali sono le domande che attualmente guidano la ricerca in questo settore?

La rapidità di proliferazione di questi nuovi media mi ricorda quanto rapidamente si sia evoluta e abbia impattato la società la tecnologia dei telefoni cellulari. In entrambi i casi, l’accademia e la nostra capacità generale di auto-istruirci non sono stati al passo dell’evoluzione. Nel caso dei dispositivi mobili e dei social media, questo ha comportato un impatto molto negativo, soprattutto per i giovani e le fasce deboli. Se non siamo attenti, lo stesso può accadere con l’IA e le tecnologie immersive. Non possiamo più permetterci di essere ingenui o idealistici sull’applicazione di queste tecnologie. Sono inevitabili ma ciò significa solo che dobbiamo studiarle, stabilire limiti per prevenire o almeno mitigare il danno e prepararci a neutralizzare i tentativi di militarizzarle. Decenni fa, con il Macintosh, Apple ha posto il potere del calcolo nelle mani delle masse e ha contribuito a cambiare il corso del destino umano. Oggi ci viene dato il potere di visualizzare qualsiasi cosa possiamo sognare o accedere alla somma delle conoscenze umane attraverso un paio di occhiali. Dobbiamo esaminare l’etica di queste capacità. Dobbiamo capire il fascino psicologico di mondi narrativi all’interno dei quali possiamo perderci. Dobbiamo capire come queste tecnologie possano rendere il mondo un posto migliore e prepararci a coloro che vorranno usarle per peggiorarlo.

 

 

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Ufficialmente aperta la nuova edizione dei Fabrique Awards! https://www.fabriqueducinema.it/festival/fabrique-awards-10a-edizione/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/fabrique-awards-10a-edizione/#respond Thu, 14 Mar 2024 16:45:54 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18999 Siamo entusiasti di annunciare l’apertura della 10a edizione dei Fabrique du Cinéma Awards, il nostro premio dedicato al cinema italiano e internazionale. Da cortometraggi avvincenti a lungometraggi che catturano l’immaginazione, passando per documentari che raccontano storie straordinarie, il nostro concorso offre una piattaforma unica per celebrare e promuovere il talento emergente nel mondo del cinema. […]

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Siamo entusiasti di annunciare l’apertura della 10a edizione dei Fabrique du Cinéma Awards, il nostro premio dedicato al cinema italiano e internazionale.

Da cortometraggi avvincenti a lungometraggi che catturano l’immaginazione, passando per documentari che raccontano storie straordinarie, il nostro concorso offre una piattaforma unica per celebrare e promuovere il talento emergente nel mondo del cinema.

Da sempre l’obiettivo dei Fabrique Awards è quello di fornire un’opportunità senza pari ai cineasti di tutto il mondo di condividere le loro visioni, esplorare nuove prospettive e connettersi con una comunità appassionata di professionisti del settore.

Unitevi a noi nel plasmare il futuro del cinema e nell’ispirare le prossime generazioni di cineasti. Siamo pronti a dare vita alle vostre visioni più audaci e a celebrare l’arte del cinema in tutte le sue forme.

Vi aspettiamo con impazienza ai Fabrique du Cinéma Awards 2024!

Tutte le info per l’iscrizione ai Fabrique Awards 10a edizione sulla nostra pagina di Filmfreeway.

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Supersex: anche il porno è stato bambino https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/supersex-anche-il-porno-e-stato-bambino/#respond Thu, 07 Mar 2024 13:20:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18990 Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. […]

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Era una delle serie italiane Netflix più attese dell’anno Supersex, disponibile online dal 6 marzo. Sette episodi ispirati alla vita di Rocco Siffredi, icona del porno interpretata da Alessandro Borghi. L’attore romano ne carpisce l’anima rimodulando sul suo volto lo sguardo intenso e la risata larga un po’ obliqua del pornostar, lati noti di Siffredi. Ma la novità sono le inquietudini e le fragilità di un uomo che è stato prima di tutto bambino e ragazzo, sempre attratto dalle donne fin quasi all’ossessione, ma perseguitato dai suoi demoni del passato.

Si parte da una sua crisi del 2004 per dei flashback che ci mostrano l’infanzia e poi l’adolescenza di un ragazzo abruzzese cresciuto in una casa popolare di Ortona assieme a una famiglia numerosa, ma destinato a diventare un divo. Prima tappa del suo cammino Parigi, ospitato dal fratello maggiore dal volto rude di Adriano Giannini. «L’amore è difficile, Rocco. Tu hai quegli occhi buoni e parli dell’amore, ma manco sai cos’è». Gli dirà la moglie del fratello impersonata da Jasmine Trinca. Con loro si costruisce il principale nucleo di relazioni e contrasti. Il giovanissimo Rocco guarda come esempio il fratellone e custodisce fin da bambino il suo giornalino erotico Supersex come il Don Abbondio di Manzoni teneva al suo breviario. Tutt’intorno si svilupperanno il legame con il cugino manager e lucignolo con il volto di Enrico Borrello, la professionalità del pornoattore con il suo primo mentore, il pornostar francese Gabriel Pontello, con il produttore italiano Riccardo Schicchi e con l’icona nonché amica dispensatrice di piccole saggezze erotiche Moana Pozzi, interpretata con molta verità nel suo fascino un po’ flemmatico da Gaia Messerklinger. La relazione più combattuta e tenera è invece con la madre impersonata da Tania Garribba, mentre una vera sorpresa toccante sarà l’amicizia importante con l’attore Franco Caracciolo, caratterista di tante commedie sexy degli anni ottanta, che ha il volto dell’ottimo Mario Pirrello.

Tra le elucubrazioni di un eroe oscuro, il delirio del sesso attraverso i labirinti del desiderio e gli affetti che hanno circondato il protagonista durante il suo cammino, la sceneggiatura di Francesca Manieri tesse insieme un reticolo complesso di contrasti emotivi, introspezioni, conflitti interni e tra i personaggi che va ben oltre la pornografia. La Manieri ha scritto film, tra gli altri, per Laura Bispuri, Valentina Pedicini ed Emanuele Crialese. Il suo tocco gentile si sente in moltissimi passaggi, assumendosi come lei stessa ha dichiarato «il rischio e il privilegio di raccontare il maschile partendo da un maschio che del maschile occidentale è diventato senza dubbio emblema». Ed è questa forse la vera arma vincente di Supersex. Poi c’è ovviamente l’epopea del porno. Lo chiama potere, superpotere, il Rocco diretto da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni. «Il cazzo è un pensiero. Non ero pronto per il soft ma non ero nemmeno pronto per l’hard». O anche, all’apice del successo: «Era così forte quello che vendevamo, che la Chiesa, lo Stato, le guardie, erano tutti contro di noi». Dirà la voce off di Rocco/Borghi.

SupersexNon mancano scene forti, ma questa serie rimane ben allineata tra i prodotti Netflix. In Italia è molto difficile parlare di sesso, ma su una piattaforma ramificata in 190 paesi la questione cambia. E Groenlandia espandendosi in varie direzioni dell’audiovisivo ha aggiunto alle sue produzioni un tassello piuttosto sostanzioso. Non propone in realtà molte idee di macchina da presa Supersex, ma compensa con l’ottima direzione e ricerca attoriale. Presenta una patinatura un po’ sognante sull’infanzia e la giovinezza, dove il ruolo di Rocco è coperto da un energico Saul Nanni, mentre la fotografia sul Rocco in crisi degli anni 2000 assume più profondità visiva. Inoltre racconta a modo suo un po’ di Abruzzo attraverso il dialetto tutto sommato ben proposto, pur con il paese natale del protagonista, Ortona, che viene inquadrato soltanto nelle panoramiche aeree, venendo ricostruito sui set del Trullo e di Ostia, quartieri di Roma.

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Antipop, la storia di Cosmo in un doc su Mubi https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/antipop-la-storia-di-cosmo-in-un-doc-su-mubi/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/antipop-la-storia-di-cosmo-in-un-doc-su-mubi/#respond Mon, 26 Feb 2024 14:25:42 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18975 In gergo tecnico l’anti pop è un filtro audio, un piccolo reticolo posizionato tra il microfono e la bocca del vocalist che serve a escludere dall’incisione piccoli rumori dovuti all’articolazione delle parole o alla respirazione. Nel caso del documentario su Cosmo e la sua band, in uscita su Mubi, Antipop ne diviene il titolo, ripulendosi anche […]

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In gergo tecnico l’anti pop è un filtro audio, un piccolo reticolo posizionato tra il microfono e la bocca del vocalist che serve a escludere dall’incisione piccoli rumori dovuti all’articolazione delle parole o alla respirazione. Nel caso del documentario su Cosmo e la sua band, in uscita su Mubi, Antipop ne diviene il titolo, ripulendosi anche da quella definizione così larga e onnivora che è il genere pop. Ed è inoltre lo stesso titolo di un brano dell’album La terza estate dell’amore, una citazione voluta dal regista Jacopo Farina, qui alla sua opera prima.

L’ascesa di Cosmo non appartiene al mercato discografico immediatamente mainstream e la scalata al successo del cantautore di Ivrea somiglia più alla storia di una garage band. Sempre circondato e legatissimo al gruppo e alla sua famiglia, questa caratteristica è il cuore del lavoro di Farina, che si concentra non tanto sulla spiegazione di testi e musiche, ma sulla vita vissuta della “tribù” che ruota intorno a Marco Jacopo Bianchi, da cui poi l’artista emergerà con il nome di Cosmo. Si parte dalla sua prima band, i Melange e dalla morte prematura di uno dei musicisti, passando per il secondo gruppo, i Drink to me, e poi finalmente si arriva al successo presso il grande pubblico come solista, che solo non è mai stato.

Nella prima parte del doc Farina ci espone un racconto corale dove i genitori, ogni amico o musicista hanno lo stesso peso. Ci sono le prove nello scantinato di uno zio o in tavernette casalinghe con boiserie, antistanti il bagno d’una madre presa dal fare il bucato; le bevute dopo i rifornimenti di birre al supermercato e le ragazze che testimoniano amori e creazioni musicali; lo spirito dell’essere uno per tutti e tutti per uno nel lutto affrontato con una lunga astensione dagli strumenti quanto nell’appoggiare in toto la nuova identità solista di Marco, anzi Cosmo. Una famiglia e una tribù appunto, dove a contare è l’unione, sempre e comunque. È questa la caratteristica più incisiva del doc e del Cosmo-mondo. Il regista l’affronta con la voce narrante di Cosmo stesso, e ci sentiamo quasi Marco che osserva la sua storia, o meglio il mondo che lo ha circondato sin dall’adolescenza. Quasi un doc in soggettiva, insomma.

La musica qui ha un ruolo amniotico e, libera dal binomio convenzionale del videoclip (canzone-performance visiva), circola in questo lavoro come una linfa. Sempre presente in mood sonori quasi sottotraccia, loop e melodie estrapolati da arrangiamenti editi, percorre il film con il sound elettronico che caratterizza questo artista.

Dall’1 marzo Antipop arriva in esclusiva su Mubi. Forse una piattaforma di qualità è la migliore via distributiva per un doc di questo formato, un’ora, molto adatto a una fruizione televisiva d’approfondimento. Essendo in uscita il nuovo album, Sulle ali del cavallo bianco, il quarto da solista di Cosmo, in uscita il 15 marzo per Columbia Records e Sony Music Italy, sembra anche il lancio perfetto sul piano del marketing.

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Fabrique n. 42: Liliana Bottone, Francesco Patanè, Pauline Fanton e Andrea Fuorto https://www.fabriqueducinema.it/magazine/attori/fabrique-n-42-liliana-bottone-francesco-patane-pauline-fanton-e-andrea-fuorto/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/attori/fabrique-n-42-liliana-bottone-francesco-patane-pauline-fanton-e-andrea-fuorto/#respond Sat, 17 Feb 2024 18:32:50 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19063 Ecco i quattro nuovi attori che Fabrique presenta nel suo numero 42: Liliana Bottone, Francesco Patanè, Pauline Fanton, Andrea Fuorto. Liliana Bottone, 28 anni L’avete vista: In Sabato, domenica e lunedì (adattamento televisivo di Edoardo De Angelis), nella serie Resta con me e nei film Il Principe di Roma, Grazie ragazzi e 100 domeniche. La […]

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Ecco i quattro nuovi attori che Fabrique presenta nel suo numero 42: Liliana Bottone, Francesco Patanè, Pauline Fanton, Andrea Fuorto.

Liliana Bottone, 28 anni

L’avete vista: In Sabato, domenica e lunedì (adattamento televisivo di Edoardo De Angelis), nella serie Resta con me e nei film Il Principe di Roma, Grazie ragazzi e 100 domeniche.

La vedrete in: Nelle serie Bastardi di Pizzofalcone, Inganno e in quella che sto girando (ancora top secret).

I tre film italiani, classici o contemporanei, che preferisce in assoluto: Ho difficoltà a fare classifiche, dico tre film che mi sono piaciuti molto ma che NON rappresentano la mia top 3: Volevo nascondermi, perché mi piacciono le storie vere di persone che hanno vite anche molto lontane dalla mia e mi lasciano qualcosa da portarmi dietro. Esterno notte, uno dei migliori in assoluto che ho visto negli ultimi anni, appassionante, sconvolgente, mi tornavano in mente scene e personaggi anche nei giorni seguenti, era come se il film mi fosse rimasto attaccato addosso. Non essere cattivo: oltre ad essere la consacrazione di due attori magnifici, un film crudo, senza fronzoli, intenso.

Francesco Patanè, 27 anni

L’avete visto: Al cinema ne Il cattivo poeta e Ti mangio il cuore, e nelle serie La legge di Lidia Poët, Monterossi, Imma Tataranni, Un passo dal cielo, Don Matteo.

Lo vedrete in: A teatro nello spettacolo Tu (non) sei il tuo lavoro, scritto da Rosella Postorino (premio Campiello 2018, finalista premio Strega 2023) con la regia di Sandro Mabellini.

I tre film italiani, classici o contemporanei, che preferisce in assoluto: La grande bellezza, perché descrive in modo struggente la decadenza dell’uomo contemporaneo in contrapposizione alla bellezza eterna e maestosa di Roma. 8 e ½, perché Fellini gioca con l’impossibilità di fuggire da sé stessi attraverso l’arte. Veloce come il vento, perché vederlo al cinema fu per me una rivelazione, ricordo la sensazione che provai in sala: un nuovo cinema italiano era possibile e stava cominciando a farsi sentire!

Pauline Fanton, 24 anni

L’avete vista: Nelle serie Vostro Onore e Confusi.

La vedrete in: In Confusi 2, Doc – Nelle tue mani 3 e La legge di Lidia Poët 2.

I tre film italiani, classici o contemporanei, che preferisce in assoluto: Mediterraneo di Gabriele Salvatores, per la ricerca di un proprio posto nel presente che talvolta coincide con il bisogno di prendere le distanze da una realtà immutabile, e per la celata ma chiara esortazione a fermare la follia delle guerre. Caro diario di Nanni Moretti, per la rassegna di immagini di una Roma ignorata e silenziosa, per la sua narrazione della solitudine attraverso il viaggio tra le isole e per l’umorismo drammatico con cui ha raccontato la malattia. Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, perché non lascia speranza di un futuro migliore e perché racconta un’Italia patriarcale nelle famiglie piccole borghesi che continua a mietere vittime.

Andrea Fuorto, 25 anni

L’avete visto: L’Arminuta di Giuseppe Bonito, La prima regola di Massimiliano D’Epiro, Suburra 3 e Patagonia di Simone Bozzelli.

Lo vedrete in: Zweitland (Seconda Patria) di Michael Kofler e Gerri di Giuseppe Bonito. Attualmente sono su un set di un nuovo film di cui non posso ancora parlare.

I tre film italiani, classici o contemporanei, che preferisce in assoluto: Gomorra di Matteo Garrone per la verità che trasuda dallo schermo: per come il regista è riuscito a far convivere attori affermati come Toni Servillo e attori presi dalla strada che regalano un’interpretazione di una verità fuori dal comune. E per come la macchina da presa che accompagna i personaggi per tutto il film riesce a raccontare senza giudicare. Roma città aperta per la straordinaria performance di Anna Magnani, un film dove la distruzione dell’uomo e della terra convivono insieme e riesci a sentire i respiri, le urla, la rabbia, il dolore e la morte. La grande bellezza di Paolo Sorrentino, un’opera d’arte perché è un film che ho sempre ammirato e guardato come si guarda una statua o un quadro. Mi ha fatto innamorare per la seconda volta di questo mestiere e mi fa innamorare ancora ogni volta che lo rivedo.

Fotografo: Gioele Vettraino

Stylist: Cosmo Muccino Amatulli 

Hairstylist: Adriano Cocciarelli per Harumi

Make-up: Chiara Baretti per IDL Makeup

Location: Studiophotografia

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