Ozpetek: “Gli articoli su di me li butto”

ferzan ozpetek

I suoi film attingono a piene mani ai sentimenti, in una girandola dolce-amara di amori regolari e irregolari. Dopo la trasferta in Turchia di Rosso Istanbul, Ozpetek torna in Italia per il suo prossimo film, e ci racconta della sua inesausta passione per il cinema.

Lo incontriamo reduce dal set di Napoli velata, il nuovo film interamente ambientato nella città partenopea. L’occasione è quella di un omaggio a Gian Luigi Rondi a Taormina. «La conosciamo, questa rivista», interviene Simone Pontesilli, dal 2016 marito del regista, elegante come un attore, prendendo in mano una copia di Fabrique. Ferzan sfoglia le pagine, annuisce, forse non ricorda ma non importa. È gentile, sorride. Nessuna domanda sul film – “un thriller d’amore” con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Isabella Ferrari – molte chiacchiere sul cinema, sulla passione di chi lo fa, sugli errori da non commettere se si vuole trasformare un sogno in realtà.

Ferzan, ricorda come reagì Rondi al suo primo film?

Per il mio primo film Il bagno turco, Gian Luigi spese bellissime parole di critico. Mi consigliò in privato su certi passi da fare e a quali rinunciare. Per La finestra di fronte venne ancora a congratularsi suggerendomi poco dopo di non lasciare l’Italia per le offerte americane che nel frattempo avevo ricevuto. All’epoca seguii il suo consiglio, non che fosse il solo ad influenzarmi. E ancora mi chiedo se fu la scelta più opportuna. Certo che ho continuato con soddisfazione a fare il cinema in Italia.

Di solito che rapporto ha lei con le critiche?

Recentemente ho trovato tantissimi articoli con le critiche italiane e francesi su Il bagno turco e altri miei vecchi film: ho buttato tutto. Non me ne importa niente, gli articoli su di me li cestino. Il passato è passato.

ozpetek sul set

Tra i nostri lettori ci sono tanti ragazzi che vorrebbero fare cinema. Che consigli darebbe loro?

Consiglio di avere una grande passione. Di nutrire il proprio amore per il cinema e puntare dritti allo scopo, usando tutti i metodi possibili. Io stesso per entrare nel mondo del cinema, per frequentare i set, ho fatto di tutto. Ho provato anche a fare il giornalista: intervistavo i registi e poi gli chiedevo, alla fine, di prendermi come assistente. Ma le interviste erano vere, eh, io le scrivevo davvero! Poi ho cercato di fare il costumista, insomma… avrei fatto qualsiasi cosa pur di arrivare su un set.

Le ha conservate le sue interviste?

Scrivevo per una rivista turca, mi chiedevano di portare loro Bertolucci, i Taviani… Ma quel giornale non esiste più, e non ci penso nemmeno a ripubblicarle, ci mancherebbe!

E che suggerimenti darebbe a chi finalmente raggiunge il set?

È fondamentale differenziarsi dagli altri. Trovare il duende [il “quid” ndr], ammesso che uno ce l’abbia: capire cosa ti rende diverso dagli altri e sfruttarlo.

Le scuole di cinema servono?

Le scuole servono per nutrirsi di film, per instaurare un contatto con il cinema e con le persone con cui formare il proprio gruppo di lavoro. La scuola migliore è il set. Lavorare su un set ed essere pagati. Non è un dettaglio: quando sei pagato ti assumi una responsabilità vera.

Errori da non fare?

Mi irrita molto quando qualcuno mi chiede una parte d’attore nel film e poi, se gli dico di no, che non c’è spazio o non si può, allora si dice disposto a farmi da assistente. Capito? Come se si trattasse dello stesso lavoro! Così non funziona, uno deve puntare su una cosa precisa quando si propone.

Ma lei li guarda mai i corti dei ragazzi?

Io i corti li vedo spesso, corti e opere prime. Anche in questo caso: l’importante è attirare l’attenzione, fare qualcosa fuori dalle regole per farsi ricordare.

Se lo ricorda il suo esordio?

Ho avuto la fortuna di conoscere registi tra cui Maurizio Ponzi, Gianni Amelio, Bertolucci, Petri. Ho coltivato quei rapporti, li ho frequentati, finché un giorno mi è capitato di intervistare Troisi. Il suo aiuto regista Umberto Angelucci, che era una persona molto carina, si ricordò di me e mi fece arrivare sul set di Massimo. Gli ho fatto da assistente, portavo solo il caffè e il tè. Ho cercato di farmi notare facendo sempre più degli altri, dimostrando che ero il più capace. Sa qual è la cosa più difficile?

Quale?

Non perdere la passione per il cinema. Può succedere, per questo bisogna nutrirla sempre. Non darla mai per scontata.