Blanca: anatomia di una serie di successo (e perché poteva non esserlo)

Blanca
Maria Chiara Giannetta è Blanca, qui nel suo caratteristico look colorful.

Non sappiamo dove arriverà Blanca. Se diventerà uno dei prodotti di punta di Rai Uno e Rai Fiction, se conquisterà anche il pubblico estraneo alla tv generalista, se proseguirà per altre venti stagioni sostituendosi a Don Matteo. Ma oggi, nel pieno del suo debutto e a ridosso del finale di stagione, il fenomeno merita d’essere osservato da vicino per una serie di elementi che, se contestualizzati nel contenitore Rai e in relazione al target di riferimento, indicano un (elettrizzante) cambiamento in corso. 

Il look 

Da subito Blanca si è caratterizzata attraverso i costumi della protagonista, a cura di Monica Saracchini e Angelo Poretti, con un look che rimanda felicemente allo stile comic. Blu elettrico, giallo fluo, rosso e verde sono dominanti nell’abbigliamento di Blanca, mentre il cinturone sempre presente definisce la silhouette e l’armatura di Giannetta, collocandosi nel tradizionale fetish del ‘vitino a vespa’ che ha popolato la narrazione femminile e le sexy villain del fumetto americano. 

Lo stile pop della serie si impone poi con una color correction estremamente satura e irrealistica per il gusto abitudinario della prima serata Rai (virando spesso anche sui toni del verde e strizzando l’occhio al Teal&Orange). Il comun denominatore è proprio la costruzione di un mondo visivo che orbita attorno a un’eroina della porta accanto, la cui cecità si trasforma quasi in un superpotere. Con tutte queste scelte Blanca opta per un biglietto da visita che potrebbe disturbare il suo target, e invece piace (se lo share non è un’opinione). 

Bando alla noia 

Dal modo in cui avrebbero raccontato la cecità di Blanca, si giocava invece buona parte della riuscita della serie. La regia firmata da Jan Michelini e Giacomo Martelli trova l’incontro armonioso tra il fine educativo (strutturando e decostruendo gli ambienti dal punto di vista di una non vedente e portandoci a immedesimarci nella disabilità della protagonista) e una chiave decisamente accattivante. Senza inciampare in soporiferi spiegoni pietisti, il mondo buio di Blanca trova un linguaggio fumettistico, vivace e dissacrante. 

L’olofonia 

Due tecniche su tutte risultano particolarmente interessanti: l’olofonia e l’uso del buio. Blanca è infatti la prima serie ad utilizzare totalmente la tecnica di Audio Immersivo dell’olofonia, che esplora lo spazio sonoro a 360°. Essenziale il lavoro sperimentale in fase di presa diretta sul set (ad opera del fonico Roberto Sestito, del microfonista Leonardo Giambi e di una lunga serie di assistenti e sotto-unità), completato poi da una fase di post-produzione e mix altrettanto raffinata e rischiosa (con Marco Giacomelli e Matteo Lugara). 

Perché è così centrale il merito d’aver utilizzato l’olofonia? Perché è una novità. Perché ci restituisce, se ascoltata in cuffia, una riproduzione del suono vicinissima a quella registrata dall’apparato uditivo umano. E dunque facilita l’identificazione con Blanca (non vedente), sostituendosi a un’ipotetica soggettiva e diventando una sorta di punto macchina sonoro. E poi perché è un’invenzione italiana risalente agli anni Ottanta, che ha richiesto non poca fatica in fase di lavorazione: qualcosa di cui vantarci, dunque. 

L’uso del buio 

Un discorso che si replica nel modo in cui Blanca sperimenta le possibilità tecniche offerte dall’ovvia dicotomia cecità-buio. La regia propone infatti una ‘stanza nera’ che, all’occorrenza, isola Blanca dalla condizione dello spettatore vedente, ponendolo insieme alla protagonista in un non-luogo che si popola poco a poco delle percezioni sensoriali di Blanca. Ogni indizio uditivo e percettivo che lei acquisisce muovendosi nello spazio, si trasforma in vfx e inizia a riempire la stanza nera. Noi siamo con lei. 

Struttura verticale ma godibile

Questo diventa inevitabilmente anche un punto a favore della struttura verticale della serie, che segue comunque lo standard episodico ancora caro alla Rai, dove la narrazione ruota attorno ai vari omicidi da risolvere ogni puntata. Ma se un caso che potrebbe annoiare viene risolto dalla lente della cecità di Blanca, con il gusto dell’olofonia, della stanza nera e del décodage (tecnica in cui la protagonista è specializzata), anche il crimine di puntata scorre in modo godibile. E per noi non si traduce solo in un polpettone riscaldato da buttar giù nell’attesa che succeda qualcosa d’interessante, ma diventa una sfida condivisa. Insomma: non ci interessa scoprire il colpevole, ma come Blanca arriverà a scoprirlo. 

Patrizia Rinaldi e Maria Chiara Giannetta 

E qui chiudiamo, last but not least, con la coppia Rinaldi-Giannetta. Alla prima va il merito di aver creato il personaggio dei romanzi noir da cui la serie è tratta, alla seconda va quello di interpretarlo con tutto il piglio, l’ironia e la verve necessaria. Perché Blanca è un personaggio fortemente caratterizzato, e non solo dalla sua condizione di cecità (niente da invidiare ad alcuni piattissimi e stereotipati protagonisti Netflix). Ha i vizi, i difetti e le sfumature di una persona a cui possiamo affezionarci in fretta: odia cucinare, è spocchiosa, pensa al sesso, è una fanatica orgogliosa dell’umorismo nero. E, vero colpo di scena, è sexy. Non è solo una vittima, ma anche una giovane donna che sa di poter piacere. In sintesi, Blanca possiede quello di cui ha bisogno un buon personaggio: è ben scritto e recitato anche meglio.