Sciamani virtuali

Funghi fluorescenti, pareti di luce pulsante, colonne doriche a sostenere fasci ingarbugliati di neon, cieli stellati, nebulose maligne.

Un quadro di De Chirico in acido, un viaggio allucinato in una foresta che è anche un po’ chiesa, casa, tempio, arena, galleria, corridoio, tunnel, infine spiraglio verso una nuova dimensione. È un cortometraggio, Amanitha, anche se come sempre più spesso accade con la realtà virtuale bisognerebbe trovare un termine nuovo per definirlo e inquadrarlo: un trip iperdimensionale, una performance, un esperimento, «un viaggio sciamanico postmoderno – spiegano gli autori, il grafico 3D Saul Clemente e il modellatore/direttore della fotografia Alessandro Passoni – basato sul sincretismo culturale, a cavallo tra la tradizione celtica e quella asiatica, attraverso un paesaggio mutuato da Dalì ed Escher».

Realizzato in occasione del Festival della creatività digitale Omissis, a Gradisca d’Isonzo, Amanitha è stato il primo progetto in VR realizzato dalla friulana Virtew: «Fino a tre anni fa ci occupavamo esclusivamente di rendering e visualizzazioni per progetti di architettura e design, poi, da appassionati di videogiochi, abbiamo cominciato a interessarci alla VR». Nel 2015 Omissis gli commissiona un’“esperienza” in realtà virtuale, e nel giro di quattro mesi nasce Amanitha, quattro minuti e mezzo (ma la durata è relativa, la percezione del tempo dilatata) costati circa 35.000 euro.

«L’esperienza era nata per essere una vera e propria performance: nella stanza dove si vedeva il film, attraverso il visore di Oculus Rift, c’era una palla da yoga, una campana tibetana, un fungo identico a quello che compare nel video. L’idea era quella di fondere reale e virtuale». Fino a oggi, grazie alla circolazione del cortometraggio nei festival, circa un migliaio di persone hanno potuto provare Amanitha «e ognuno ha vissuto l’esperienza in modo diverso. Le emozioni più comuni sono state quelle che volevamo provocare: paura, senso di allucinazione, vertigini, eccitazione».

Le tecniche messe a punto dal team per realizzare il corto, nato «come tutti gli audiovisivi» da una fase di brainstorming e storyboarding, oggi servono a Virtew per realizzare prodotti diversi ma affini: videogiochi.

Amanitha

«Amanitha ci ha permesso di sperimentare prima di tutto a livello scenografico. La cosa più difficile da ottenere, in un ambiente in realtà virtuale, è una corretta direzione della fotografia. Bisogna inoltre saper raccontare tutto il mondo intorno allo spettatore, permettergli letteralmente di girarsi, aiutarlo a uscire dagli schemi della visione abituale». Il passaggio dal cinema VR al videogioco VR sarebbe avvenuto in maniera molto fluida: «Viviamo un momento particolare, la tecnologia disponibile ci permette di sperimentare tantissimo: in un certo senso, chiunque oggi usi la VR è un pioniere. I nuovi videogiochi sono già cinema interattivo, la tecnologia sta fondendo i due ambiti: la linea di demarcazione tra i due mondi, cinema e videogioco, è sempre più labile. Sono due media diversi che lavorano a un nuovo linguaggio comune».

Ma passare al videogioco, dopo un esordio brillante come quello di Amanitha, è stata una scelta dettata anche dalle regole del mercato. Che in Italia, nei confronti della VR, è asfittico quando non ostile: «Il mercato del videogioco è più sviluppato, anche se in Italia la situazione per la VR è generalmente di stallo. Gli investitori sono frenati dalla paura della novità, dall’ignoranza, dallo scetticismo: non conoscono la validità del mezzo e non hanno acquisito alcuna competenza in merito. È difficile persino farsi capire quando si presenta un progetto».

Run of Mydan

E dire che l’hype da parte del pubblico, cioè l’aspettativa nei confronti di tutto ciò che riguarda la realtà virtuale, è altissimo anche nel nostro paese. Basti pensare a quanto accaduto lo scorso novembre con Run of Mydan, videogioco in VR prodotto dal team: è bastato pubblicare un’inserzione in cui si annunciava un test pubblico di pochi minuti per andare in overbooking di richieste. «Era un test di dieci minuti. E nemmeno la release definitiva». Come dire: la voglia di guardare avanti, almeno al pubblico, non manca.