The Shift: vivere e morire a Bruxelles

The Shift film
Adamo Dionisi e Clotilde Hesme in una scena di "The Shift".

Thriller adrenalinico quasi interamente ambientato all’interno di un’ambulanza, sullo sfondo di un tragico attentato terroristico che avviene nella capitale belga, The Shift è un’opera prima convincente e produttivamente audace. Presentata alla Festa del Cinema di Roma, finalista ai Fabrique du Cinéma Awards e ora in streaming al Noir in Festival, ne abbiamo parlato con il regista Alessandro Tonda.

«Non scorderò mai la meravigliosa coincidenza che mi ha portato ad avere lo stesso giorno il via libera definitivo per la realizzazione di The Shift e la notizia dalla mia compagna che era incinta». Il trentottenne regista piemontese ama raccontare come consideri il suo film un vero e proprio secondo figlio, fortemente voluto. Dopo la lunga gavetta maturata sul set a partire dal 2005, in qualità di assistente prima e aiuto regista poi (tra i titoli più noti Suburra, la prima stagione di Gomorra e la seconda di Romanzo criminale, Sicilian Ghost Story), Tonda è finalmente riuscito a esordire nel lungometraggio con un’opera prima atipica per il contesto produttivo nostrano. The Shift è infatti un incalzante film d’azione dal respiro internazionale, con un budget di tutto rispetto (intorno ai 3,5 milioni di euro) che la stragrande maggioranza dei registi italiani al debutto può solo sognare di avere a disposizione.

Da dove nasce l’idea del film?

La prima scintilla è legata a un’esperienza personale. Erano passati pochissimi giorni dall’attentato del Bataclan e, mentre ero fermo in macchina davanti a un semaforo e alla radio davano le notizie sui fatti di Parigi, ho visto sfrecciare due ambulanze a sirene spiegate. L’emozione di quel momento mi ha fatto pensare a come si sarebbe comportata una persona comune come mio padre, volontario della Croce Rossa che guida le ambulanze, se si fosse trovata improvvisamente sulla scena di un attentato, costretta a soccorrere una persona cara. Da questa suggestione siamo partiti con il co-sceneggiatore Davide Orsini e presto ci siamo fatti affascinare dall’idea di trasformare l’ambulanza, solitamente vista come un mezzo che salva le vite, in un luogo estremamente pericoloso. Con un terrorista all’interno che tiene in ostaggio due paramedici, pronto a farsi esplodere da un momento all’altro.

Trovare i fondi necessari per realizzare un’opera prima come questa non deve essere stato facile. Come ci sei riuscito?

Tutto ha avuto inizio con il concorso Pitch in the Day, a cui si può inviare un proprio soggetto e, se si viene selezionati per la fase finali, si ha poi la possibilità di presentare l’idea a venti produttori italiani. In questa occasione ho avuto modo di incontrare Notorious Pictures, che ha subito colto del potenziale nella storia e ha deciso di portare avanti il progetto. Produrre un film d’esordio è sempre una scommessa e devo dire che il coraggio di Notorious in questo caso è stato notevole. In più, sono riusciti a mettere in piedi una co-produzione con il Belgio che mi ha permesso di realizzare The Shift proprio come lo avevo pensato inizialmente. Sono stato davvero fortunato.

Il tema del terrorismo islamico viene affrontato senza giudicare ma scegliendo di concentrarsi sulla relazione che si instaura tra i tre protagonisti nel ristrettissimo spazio di un’ambulanza.

Con Davide avevamo la consapevolezza che nel film non fosse possibile approfondire in maniera esauriente un fenomeno così complesso e ampio come quello del terrorismo di matrice islamica. Ciò che ci interessava era provare a entrare nelle dinamiche psicologiche dell’attentatore sopravvissuto  ˗ un adolescente plagiato, in crisi e alla ricerca della propria identità ˗ attraverso il rapporto che si sviluppa all’interno dell’ambulanza con i paramedici che lo soccorrono. Abbiamo cercato di scrivere meno dialoghi che potevamo, in modo da lavorare sugli sguardi dei protagonisti e rappresentare le loro emozioni soprattutto attraverso le immagini.

Per quanto riguarda lo stile, fin dal piano sequenza iniziale che ci immerge nel luogo dell’attentato il film è in grado di tenere alta la tensione con grande efficacia.

La mia esigenza era proprio quella di portare in maniera prepotente lo spettatore dentro le vicende del film. Proprio per questo motivo sono partito con un piano sequenza che segue i ragazzi mentre si dirigono verso la scuola. Sentivo fosse fondamentale restituire a The Shift una sensazione di freschezza e istantaneità quasi documentaristica. Così ho puntato molto sulle riprese a mano, facendo sì che il punto di vista della macchina da presa coincidesse con quello dello spettatore all’interno della storia. Ho anche tentato di fare meno ricorso possibile al montaggio. Utilizzare pochi stacchi, infatti, significava non interrompere il flusso di emozioni che si generava tra gli attori grazie alla loro interazione durante le riprese, avvenute realmente all’interno di un’ambulanza in costante movimento per la città.

Hai avuto delle ispirazioni cinematografiche particolari per The Shift?

Mi sono fatto influenzare soprattutto dalla visione di telegiornali, inchieste e video su Youtube. Fonte di ispirazione è stata la cronaca più che il cinema. Un film però che mi ha colpito molto e che in qualche modo mi è rimasto dentro anche durante la realizzazione di The Shift è Made in France, pellicola francese che narra la storia di un giornalista infiltratosi in una cellula jihadista con l’obiettivo di scrivere un libro per mostrare quel mondo dall’interno. Il film propone un intenso racconto psicologico delle motivazioni dei terroristi che ha rappresentato senz’altro un’ispirazione per me, seppur indiretta.