L’urgenza di Spaghetti Story, la piccola bellezza del cinema

SPAGHETTI STORY

I precari sono arrivati al cinema, anche se nessuno li voleva. Il piccolissimo film di Ciro De Caro è anche una piccolissima rivincita per una generazione che vorrebbe cambiare il cinema e l’accesso alla cultura. Ciro de Caro lo conosco dai tempi dell’università. L’altro giorno ho letto della selezione per il concorso del suo piccolo film, Spaghetti story, ai David di Donatello.

Felicità.

Due estati fa Ciro mi chiamò per vedere il film alla tv del suo salottino-studio. Non lo sentivo da un po’ e mi fece un gran piacere. Faceva caldissimo, presi il motorino scappando dal lavoro (precario e sottopagato) che stavo facendo in quel momento per la Rai.  Ciro era stanco e felice, aveva appena finito il montaggio del lungometraggio realizzato in poco più di una settimana, con l’attrezzatura che poteva entrare nell’utilitaria che gli avevano prestato.  Nei 10 anni precedenti ha fatto diverse piccole regie, più che altro pubblicità e tentativi di fuga, ora ha 39 anni. Il suo film racconta l’ineluttabile sconfitta della nostra generazione, parla il linguaggio della nostra generazione ed è stato fatto con l’incazzatura della nostra generazione. Siamo quei figli che nel migliore dei casi crescono con un pensiero critico, perché in Italia si studia tanto, e finiscono con le lauree in mano a spiegare ai genitori che è inutile spedire cv.    Il suo appartamento, quello dove mi aveva invitata a vedere il film, è anche il set di Spaghetti Story. Coi mobili girati, ma si riconosce. Quel giorno sulla scrivania aveva pacchetti per spedizioni, inviava copie del film a produzioni e registi per cercare di dargli una distribuzione, mi disse che solitamente non riceveva risposte.   Io gli dissi che la forza del film era averlo realizzato, che l’avrebbe dovuto promuovere spingendo sul fatto che era costato meno di 15mila euro e che era stato realizzato in 11 giorni. Mi pareva l’unico “titolo” possibile per quella storia. Ma Ciro mi disse che non voleva si sapesse il budget, o almeno non subito, perché avrebbe voluto che la gente se ne incuriosisse in modo sincero e non viziato dall’etichetta low budget, anzi no budget.   Ciro aveva ragione e io avevo torto.   Al cinema Aquila, al Pigneto, a Roma, qualche mese dopo il film riempiva le poltrone mentre i film dei “grandi” andavano semi-deserti nella sala accanto. Gli avevano concesso due giorni, c’è rimasto 13 settimane. Altri cinema lo cercavano e le copie avevano iniziato a girare in Italia. E Ciro se andava all’estero per portarlo ai festival, fino a Mosca e a Dhaka, prendendosi sempre un sacco di applausi alla fine delle proiezioni. Si era creato da solo un bel sito web, pubblicato su YouTube i trailer e i cortometraggi con gli stessi protagonisti che anticipavano in qualche modo quello che sarebbe stato il film (il corto Salame milanese ha 260mila visualizzazioni), una pagina Facebook piena di fan. Spaghetti story non sarebbe arrivato dove sta ora se non ci fosse stata la

Rete

Il film è a tratti ingenuo e ha tanti difetti. Sono esattamente l’ingenuità e i difetti che ne fanno trasparire l’urgenza. C’era qualcosa di importante che stava dentro una storia talmente realistica da poter essere girata su quel divano. La storia dei protagonisti è anche la storia di Ciro e anche la mia, e forse la vostra. Trentenni che invecchiano faticando per crescere. Mi pareva bello, diciamo disneyano, pensare che il cinema si potesse inventare esattamente come qualunque altro mestiere quando lo si vuole davvero.   In quel periodo mi era capitato di intervistare registi come Gianni Amelio e Marco Bellocchio (per una rivista no budget pure quella), loro mi dicevano sempre la stessa cosa, che oggi fare cinema è più facile per i giovani, basta una spesa minima con l’attrezzatura digitale, il problema è solo trovare qualcosa da dire. Il problema, infatti, è quell’urgenza.   Ovvio che i film non si possono fare con 15mila euro, ovvio che chiunque merita una paga dignitosa, dall’attore al fonico. E ovvio dunque che quel che ha fatto Ciro non è l’obiettivo, ma forse può essere un mezzo. Io non so se Spaghetti story vincerà un David, però mi piacerebbe vedere come sarebbe. Mi piacerebbe anzi che qualcuno desse a Ciro 9milioni di euro per fare il prossimo film e magari che ne desse solo 15mila a Sorrentino.   Così, tanto per provare cosa potrebbe succedere in un’Italia per una volta alla rovescia.