Il camorrista: Giuseppe Tornatore e il complesso dell’opera prima

il camorrista

Giuseppe Tornatore, da sempre, si definisce un «massimalista dello stile contro il minimalismo del nostro cinema»: amato dal pubblico per la sua schietta onestà, è riuscito a mostrare al mondo l’immagine di un’Italia nostalgica e vitale, portando sul grande schermo personaggi sinceri in forma poetica, che siano essi santi, criminali, pianisti che suonano in mezzo all’oceano o bambini innamorati del cinema.

A soli sedici anni mette in scena a teatro le opere di Pirandello e Eduardo De Filippo e, dopo il liceo, la sua carriera inizia con delle esperienze documentaristiche e televisive per la RAI. Il primo approccio con il cinema arriva nel 1984, quando collabora con Giuseppe Ferrara per Cento giorni a Palermo del quale è produttore, co-sceneggiatore e regista della seconda unità. Due anni dopo esordisce con Il camorrista, film tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Marrazzo, incentrato sulla storia del noto boss della malavita napoletana Raffaele Cutolo.

La pellicola racconta l’ascesa del ‘O Professore ‘e Vesuviano (Ben Gazzara) che, nel carcere di Poggioreale e con l’aiuto della sorella Rosaria (Laura del Sol), sfida un boss più anziano e diventa il capo della Nuova Camorra Riformata, la malavita napoletana organizzata che tratta alla pari con politici, servizi segreti e terroristi.

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Tornatore nella sua opera prima prova a coniugare il cinema sociale di Francesco Rosi e il melodramma di Damiano Damiani con il giallo carcerario, il tutto con uno stile manieristico che si fa subito notare. Trentenne e al suo primo film, Tornatore governa perfettamente la materia narrativa, riuscendo a sostenerne il ritmo anche dando vita a cruenti colpi di scena. Il camorrista, prima di essere una gangster story è soprattutto lo scomodo ritratto dell’Italia degli anni ’70 e ’80, la pellicola sbatte in faccia allo spettatore tutte le miserie di una società che si crede civile anche quando è collusa con il malaffare.

Tornatore non risparmia nulla al suo pubblico ma lo fa con una grazia spiazzante mettendo in mostra il suo talento fatto di dettagli cesellati e omaggi ai film che hanno reso grande il genere gangster, lo si può notare soprattutto nelle scene di battesimo e matrimonio con montaggio alternato di stragi, un chiaro rimando a Il Padrino di Francis Ford Coppola. Il film è però molto altro, è la narrazione senza esclusione di colpi dell’ascesa di un uomo che da solo si è fatto icona e mito e da solo affonda nella follia, prigioniero di qualcosa che va ben oltre le sbarre d’acciaio di una cella.

Il camorrista, costato ben 4 miliardi di lire, segue un iter un po’ sfortunato, viene distribuito nel circuito cinematografico italiano il 12 settembre del 1986 in due versioni di metraggio: quella per il grande schermo, querelata e ritirata dai cartelloni ad appena due mesi di distanza dalla prima assoluta, e l’edizione estesa realizzata per la televisione, della durata di cinque ore e mai andata in onda. La pellicola trova poi una seconda distribuzione che gli permette di raggiungere le sale e ottiene finalmente il meritato successo. La prima visione televisiva invece arriva su Rete 4 solo il 20 marzo 1994, quasi otto anni dopo l’uscita al cinema.

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Tornatore, con Il camorrista, vince il Nastro d’argento al miglior regista esordiente, questo successo sarà poi determinante per l’incontro con il produttore Franco Cristaldi, grazie al quale potrà realizzare il suo secondo e più famoso film: Nuovo Cinema Paradiso (1988), destinato ad ottenere ampia risonanza a livello globale. I primi due film del regista hanno in comune una grande attenzione per la colonna sonora, la musica non viene intesa solo come mero sottofondo ma come elemento fondante della sua estetica, ne Il camorrista la realizza Nicola Piovani, mentre in Nuovo Cinema Paradiso è opera del maestro Ennio Morricone, con il quale poi Tornatore instaura un vero e proprio sodalizio.

Il camorrista è un film bello quanto imperfetto, forse il più vero e selvaggio della filmografia del regista siciliano, che offre spontaneamente la chiave di lettura del suo cinema camaleontico e mai uguale a sé stesso: «Mi piace cambiare perché, lo dico sempre, ho il complesso dell’opera prima: ho sempre bisogno di fare un film che rappresenti per me la prima volta» e si sa, le prime volte sono sempre indimenticabili.