Per la nostra rubrica sui mestieri del cinema, abbiamo intervistato i dronisti Vincenzo Paternostro e Marco Colombo, due professionisti del settore che attraverso la propria azienda, la GFS – Geo Fly Survey Aerial Service & MarvinDrone, lavorano ormai regolarmente nel cinema e nelle serie tv, partecipando a produzioni nazionali ed internazionali come Il nome della rosa, Il cacciatore, Non mentire, La mafia uccide solo d’estate, Time is Up 2, e tanti altri. In quest’occasione ci hanno raccontato i segreti e le tecniche di un mondo in continua espansione e di sempre maggiore rilevanza artistica come quello del drone, toccando diversi punti cruciali, dalle migliori tecnologie offerte oggi sul mercato alle criticità incontrate sui set cinematografici, con uno sguardo finale al futuro della loro professione.
Spesso si fa molta confusione tra il pilotare un drone e realizzare delle riprese aeree. Qual è la differenza? E quale il vostro modo di lavorare e dividervi i ruoli, tra chi è responsabile di pilotare il drone e chi invece fa da operatore da remoto?
Vincenzo: Sul drone che utilizziamo noi – che è il DJI Inspire 2 con camera X7, che ci consente di girare in 6K – Marco si occupa del pilotaggio mentre io mi occupo di realizzare effettivamente la ripresa finale. Chiaro però che questo nasce da un rapporto quasi intimo, nel senso che devi sapere come pilota il tuo collaboratore, così come lui deve sapere come gestisci la camera. Ti devi anche capire con una sola parola.
Marco: Spesso anche senza parole.
Vincenzo: Esatto, perché sul set non hai il tempo, quindi devi essere immediatamente bravo a fare quello che ti viene richiesto. Riguardo la differenza tra chi pilota il drone come hobbista o chi lo pilota con l’idea di realizzare immagini per il cinema, si trova in diversi aspetti, come l’occhio fotografico o l’attenzione alla luce ad esempio. È un’esperienza diversa rispetto a quella di chi utilizza un drone per fare rilievi o qualsiasi altra cosa. Sono due mestieri totalmente differenti. Come è diverso per chi ha una camera da terra.
Marco: Sì, senz’altro sono due sport diversi. Noi facciamo solo questo perché richiede un impegno che è notevole, abbiamo iniziato nel 2014 e ancora oggi impariamo tantissimo, non si finisce mai. Credo che la regola base di questo lavoro intanto sia la composizione dell’immagine. Bisogna però tenere conto di tante altre variabili che normalmente un operatore da terra non ha, perché mentre con una camera in spalla si può immediatamente, tramite il movimento del corpo, aggiustare l’inquadratura, noi dobbiamo fare almeno due passaggi in più. Io, che sono il pilota, devo essere così bravo da lasciare intendere al mio operatore-camera, che è Vincenzo, che tipo di immagine voglio realizzare e dove finirà quest’immagine. Spesso queste immagini hanno una durata anche notevole e quindi devo essere in grado di anticipare tutto e far capire a lui cosa voglio fare, perché alla fine sono io che piloto. Se io faccio male il mio lavoro non consento a lui, che gestisce la camera, di fare l’inquadratura corretta e quella, soprattutto, che vuole il regista o il direttore della fotografia.
Rimanendo sull’argomento della comunicazione con gli altri reparti, posso immaginare che vi siate trovati molte volte davanti alle richieste di alcuni registi di fare dei piani sequenza con il drone. Come dialogate con loro, in quei casi in cui non sono possibili oppure hanno bisogno di molte prove o ancora non vi sono stati forniti i giusti strumenti?
Marco: Questo è uno dei primi problemi, se non il principale. Molti registi o direttori della fotografia non hanno presente ciò che si può fare o meno, invece sarebbe fondamentale interpellarci preventivamente e pianificare insieme determinativi tipi di immagini. Nella realtà però non c’è mai tempo per farlo, ormai è una costante venire convocati e non sapere fino a un istante prima di girare qual è l’immagine che il regista vorrebbe. Non c’è un confronto: ti viene spiegata la scena desiderata e poi sta a te riuscire a far capire cosa puoi fare. In generale cerchiamo, nei limiti del possibile, di accontentare tutti e fare anche l’impossibile quando ci si riesce.
Vincenzo: Soprattutto cerchiamo di accontentare sempre tutti per un motivo abbastanza banale e concreto: facendo base in questa terra collegata male col resto d’Italia, la Sicilia (ride, ndr), è chiaro che se vieni chiamato a girare a Milano, in Basilicata, a Torino o in Trentino, è perché c’è qualcuno che si aspetta qualcosa da te, che magari non ha trovato lì sul posto. È quindi per non deludere chi ti ha dato fiducia che rischi e realizzi cose che magari non faresti normalmente.
Marco: O che gli altri non farebbero.
Vincenzo: Per esempio abbiamo realizzato una ripresa molto particolare a Torino, in una serie tv con Alessandro Preziosi (Non mentire), dove il drone doveva partire dal Parco del Valentino, seguire Alessandro Preziosi che correva, anticiparlo, riprenderlo in volto, per poi andare indietro, passare sotto l’arco fuori il parco e dopodiché arrivare sul Po per prendere Greta Scarano su una canoa, quindi “agganciarla”, seguirla e poi finire con una panoramica della città di Torino. Qualcosa che quando io la rivedo dico ma “come abbiamo fatto a realizzarla?
Come è iniziato il vostro percorso nel mondo del cinema?
Vincenzo: È sempre stata una passione, ma sia io che Marco veniamo da tutt’altro ambiente. Siamo entrambi laureati in Geologia e la nostra azienda è nata con l’idea di lavorare nel settore tecnico, per fare rilievi. Il nostro primo lavoro per il cinema è stato con Ricky Tognazzi Boris Giuliano – Un poliziotto a Palermo nel 2015. Siamo piaciuti sia a lui che al direttore della fotografia, che ci ha richiamati per un altro lavoro su Trapani (Maltese – Il romanzo del commissario), una cosa particolarmente complicata da fare, perché c’è stato chiesto di volare nei vicoli, larghi sì e no un metro. Il risultato è piaciuto alla produttrice esecutiva, la stessa che ci ha portato a fare un’esperienza internazionale come Il nome della Rosa.
Marco: Sicuramente l’esperienza di Trapani è stata un bel trampolino di lancio, perché abbiamo realizzato un piano sequenza che credo fino a quel momento nessuno avesse mai fatto, quantomeno in Italia.
Andando più nello specifico, potreste parlarci più approfonditamente del vostro parco tecnico? Quali sono i diversi droni e le camere che usate? E li avete mai usati per montare e puntare delle luci?
Marco: Fondamentalmente è stato un po’ il mercato che ha direzionato la scelta delle attrezzature, perché ad oggi i droni che si usano nel cinema sono di fatto due tipi: il DJI Inspire 2 con Camera Zenmuse X7, che è, come dire, un drone “quasi tutto in uno”, perché la camera è proprietaria del marchio, quindi non c’è una camera di un altro marchio che viene montata sul drone. E questa è la soluzione più rapida e con una qualità che si avvicina tantissimo alle camere da terra come possono essere le ARRI o le RED, permettendoti quindi di “matchare” quasi alla perfezione i file delle due diverse camere. Poi c’è un’altra soluzione che è l’”ottocottero”, che presenta semplicemente una differenza di portata, ha più eliche che ti permettono di sollevare più peso, che è quello che ti serve per tirar su un’ALEXA Mini (ARRI, ndr) per esempio, piuttosto che una KOMODO (RED, ndr), o una qualsiasi altra camera, insomma. Ma abbiamo notato col tempo che il vero interesse riguarda la rapidità d’azione. Se ti chiamano all’ultimo secondo e devi essere pronto in un lampo, con un drone che è differente dall’Inspire 2 non riesci ad esserlo, poiché devi sempre stare lì a “settare” tutto perdendo troppo tempo. Non solo, ma anche le dimensioni di quel drone non ti permettono di fare tante cose che potresti fare con l’Inspire 2. Quindi alla fine è stata un po’ questo e un po’ quello che si poteva realizzare che ci ha indirizzati di fatto sull’Inspire 2, che è la macchina con cui ormai si vola tutti quanti. Poi è chiaro che se ci sono produzioni particolarmente grosse o ci sono richieste particolarmente dettagliate da parte, soprattutto, del DOP, sei costretto a portare su un’ARRI o una RED. Però tendiamo a non farlo anche per un discorso economico. Perché c’è un’altra componente fondamentale che è quella economica e spesso e volentieri i budget sono ridotti, quindi si ripiega sull’Inspire 2, che alla fine gira un 6K Raw, ossia tutto quello che oggi serve.
Vincenzo: Ad oggi è la soluzione migliore, sia come diceva Marco in termini di praticità che anche di qualità. Per esempio, noi stiamo realizzando le riprese per una serie tv, per Rai1, all’interno di alcuni palazzetti del ghiaccio, sia a Bergamo che a Milano, quindi hai degli spazi limitati. Con un drone ottocottero diventerebbe complesso. A proposito del discorso precedente su chi pilota e chi gestisce la camera, questa è per esempio una condizione dove se ti distrai per mezzo secondo il drone si schianta sulle pareti in plexigass che bordano il campo di pattinaggio, o contro le parti dell’edificio.
Marco: E c’è anche un problema materiale che è quello del “disturbo della scena”. Lo dico in modo grezzo, ma per rendere l’idea. Tutti sappiamo che ad un’azione corrisponde una reazione: se io devo tirar su in aria quattro chili, è molto diverso dal tirarne su sedici, per dire. Significa che io devo spostare sedici chili d’aria per tenere su un’ALEXA, mentre quando io devo tirare su l’Inspire, che è di quattro chili e tutto in carbonio, dà molto meno fastidio. Immagina una classica scena sotto di me, per esempio, con un attore sdraiato a terra e il drone sopra, mentre io sto a quattro/cinque metri d’altezza. Se ci sto con un drone da quattro chili tu non noti nulla, se ci sto con un drone da dieci/quindici chili noterai un “effetto vento” impressionante, perché chiaramente tutta quest’aria va a muovere i vestiti o le foglie, per esempio. Non che con un drone da quattro chili non si muova nulla, però è chiaro che questo effetto è molto più ridotto. Senza contare poi la sicurezza. Un drone da quattro chili che cade non è la stessa cosa di un drone da quindici chili che si schianta, quindi c’è anche questo aspetto da considerare.
E poi per quanto riguarda l’uso del drone per le luci…
Marco: L’abbiamo fatto una sola volta, ma il problema è che, anche qui, montare delle luci da set comporta tirar su qualcosa di comunque pesante, di almeno cinque/sei chili. Significa che devi usare lo stesso drone che usi per alzare un’ALEXA. E quindi è lo stesso discorso, ci vuole più tempo, ci vogliono più soldi, quindi è una cosa che abbiamo fatto molto poco, anche se è estremamente interessante dal punto di vista cinematografico.
Avete qualche consiglio a chi si vuole affacciare a questo settore? Anche considerando l’abbattimento dei costi rispetto al passato che di fatto lo ha reso più accessibile?
Vincenzo: Oggi cominciare dal punto di vista legale conseguendo vari attestati, patentini, ecc.. è più semplice ed economico. Però è un po’ come la patente per l’auto: c’è chi sa guidare anche senza e chi invece ce l’ha e non sa guidare. Non è quel pezzo di carta a spiegarti come pilotare un drone, quello ti abilita a farlo, poi saperlo fare è tutto un altro discorso. È necessaria la volontà di esercitarsi quasi quotidianamente, di sbagliare, di fare prove, anche cose che sembrano semplici come girare attorno a un albero e tenerlo al centro, per assorbire già l’idea di quali siano i movimenti, le tempistiche. E poi chiaro che fa tutto l’esperienza, anche con droni meno professionali, di quelli che compri su Amazon, che non hanno nessun controllo, nessuna telemetria. Se impari a gestire quello poi paradossalmente diventa più semplice andando avanti, però nel frattempo hai acquisito un’esperienza, sei abituato a risolvere problemi. Considera che sono comunque sempre software e hardware che in qualsiasi momento possono avere dei problemi come ne sono capitati a tutti, anche a noi. Magari mentre sei in volo lo perdi, si disconnette e lì devi sapere cosa fare”.
E qui si arriva alla criticità della programmazione sui set…
Marco: Mi sento di dire che è un aspetto che viene poco curato nella cinematografia italiana. Non c’è pianificazione. Il drone viene usato quasi come un qualcosa di aggiuntivo. In realtà secondo me non è questo il messaggio che deve passare. Anche perché le immagini-drone ormai sono immagini chiave, quindi andrebbero curate molto di più, andrebbe dato loro un po’ più di spazio. Non sono solo un accessorio e credo che ce ne siamo accorti un po’ tutti.
Vincenzo: In tutte le riunioni che vengono fatte, non sarebbe male avere anche l’opinione di chi pilota il drone. Perché spesso ci rendiamo conto che viene sfruttato male o comunque non pienamente. Magari ti chiedono delle immagini che realizzi, ma sai che hanno poco di performante.
Marco: Sì, perché ci siamo resi conto che quelli che ne sanno di più alla fine siamo sempre noi. Non è per vantarci, è un aspetto puramente pratico. Io so qual è l’immagina più bella, magari più spettacolare, che posso fare in quel momento. È chiaro che il regista ha la sua idea, però sarebbe bello se la condividesse con noi precedentemente e noi la potessimo migliorare, spiegandogli ciò che davvero si può realizzare con un drone.