
Buone notizie (finalmente) per il settore cinematografico, in attesa che trovi una piena soluzione – possibilmente senza alcuna crocifissione – la via crucis sul tax credit. La felice novella è proprio relativa a questo tema: difatti, lo scorso 24 aprile, il Ministero della Cultura ha pubblicato i “Criteri interpretativi in merito all’applicazione delle disposizioni in materia di intelligenza artificiale generativa contenute nel decreto tax credit produzione nazionale”.
In particolare, il Ministero ha previsto che il beneficio del tax credit non possa essere concesso alle produzioni che hanno fatto sottoscrivere, ad autori o interpreti, contratti nei quali si prevede la cessione dei propri diritti per utilizzazioni operate da sistemi o modelli di intelligenza artificiale. La disposizione trova applicazione agli autori (e, quindi, a soggettisti e sceneggiatori), nonché agli attori. Tra le categorie interessate, rientrano anche i doppiatori, agli adattatori e ai dialoghisti, mentre non è chiaro se vi rientrino anche gli autori delle musiche (ma, a parere di chi scrive, dovrebbe essere così).
Insomma, le produzioni non potranno utilizzare l’intelligenza artificiale per riprodurre l’immagine degli attori, né, sebbene non sia espressamente menzionata, la loro voce: quindi, per capirci meglio, non sarà possibile accedere ai benefici fiscali del credito di imposta (che sono pari al 40% delle spese di realizzazione delle opere cinematografiche), nel caso in cui elementi fisici degli attori siano ricostruiti artificialmente.
Lo stesso vale, però, anche per l’allenamento delle macchine: in altri termini, soggetti, sceneggiature, dialoghi e così via discorrendo, non potranno essere utilizzati dalle produzioni per insegnare alle tecnologie di intelligenza artificiale a crearne di nuovi.
Si tratta certamente di una conquista – e un plauso va alle associazioni di categoria che hanno avviato un lungo dialogo col Ministero –, ma il bandolo della matassa sembra ancora lontano dall’essere sbrogliato. Le regole sull’intelligenza artificiale sono per lo più di derivazione europea, con il famigerato AI Act, il regolamento dell’UE, che non ha chiarito se e in che modo siano dovuti diritti d’autore o diritti connessi sia per gli input (ossia i dati forniti) sia per gli output (ossia i dati restituiti) dai sistemi di intelligenza artificiale. Lo stesso dicasi per un recente disegno di legge, che pure affronta tangenzialmente il profilo del diritto d’autore, con una norma che fa più confusione che chiarezza.
Non resta, quindi, che godersi questo primo passo, nella consapevolezza che, per dirla col sommo poeta, sarà probabilmente ancora duro calle lo scendere e ‘l salir le scale ministeriali e delle altre autorità competenti, a Roma come a Bruxelles.
*Giovanni Maria Riccio – Ordinario di Diritto privato comparato e socio dello Studio Legale E-Lex