Da Elvis a Zendaya, i grandi professionisti italiani dietro al make up delle star

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    "Elvis" di Baz Luhrmann (2022), curato dal make-up and hair artist Aldo Signoretti.

    Il trucco e i capelli raccontano come nient’altro i personaggi al cinema. Che si mettano il mascara davanti allo spacchio o lo lascino colare sul viso mentre piangono, il make up li accompagna nei loro archi narrativi e ne rivela la personalità. Pensiamo all’ossessiva skincare routine di Patrick Bateman in American Psycho o a Margot Robbie nel biopic Tonya, mentre si trucca per una gara di pattinaggio e traccia sui suoi zigomi dei segni spessi con il blush in stick, come un guerriero prima di combattere. Ancora diverso il rituale di bellezza di Cheyenne (Sean Penn), rockstar al tramonto in This Must Be the Place di Paolo Sorrentino: rossetto rosso, matita sugli occhi, capelli corvini e spettinati come il suo ispiratore, il leggendario Robert Smith dei Cure.

    Anche l’acconciatura può rivelare molto su un personaggio, secondo Daniela Tartari, make up e hair designer. Ad esempio, il dettaglio di cui va più fiera in Martin Eden di Pietro Marcello «è sicuramente la testa di meches biondo-argentato di Martin nella seconda parte. Marcello ci aveva detto di vedere il personaggio come una rockstar ormai disillusa, e cambiare forma al taglio o lasciarlo incolto mi sembrava banale. Ho pensato che se Kitano ha raccontato un samurai del 1600 biondo platino allora il mio Martin sarebbe stato coi colpi lunari». Anche per La chimera di Alice Rohrwacher il lavoro di Daniela è stato «un’avventura memorabile. Rohrwacher è autrice delle sue storie quindi attingi dalla fonte per creare i personaggi. Spesso i suoi attori si ripetono e non sono attori ma amici, vicini di casa, contadini della zona e questo è un grande vantaggio perché costruire su una verità è più semplice. Iniziamo a parlare dei personaggi prima, quando sono sulla carta, e poi, quando hanno un volto, iniziamo con le prove, dove vale tutto! Con Alice non ci sono limiti alla creatività». Nel film Isabella Rossellini appare per la prima volta con i capelli bianchi: «per la parrucca siamo partite da un’idea di Alice che ci aveva portato come reference la foto di un’anziana pittrice. La volevamo grigia, fatiscente e Isabella non ha un capello bianco, ma era disponibile a tutto, qualsiasi tipo di invecchiamento senza paura. Abbiamo provato varie parrucche poi, trovata quella col colore giusto, l’ho tagliata a una lunghezza visibilmente sbagliata, per non far risaltare il collo lungo. E la cospargevo sempre un po’ di polvere perché non brillasse mai». Il segreto, come spesso accade, sta nella misura: «Ci sono look molto azzardati che arrivano a un passo dalla caricatura, Spartaco (Alba Rohrwacher) e tutti i suoi scagnozzi sono biondo platino e le sorelle sono tutte rame. La cosa più difficile da capire mentre stai girando è fino a che punto ti puoi spingere senza prendere il sopravvento sulla scena».

    Luca Marinelli in Martin Eden
    Luca Marinelli in “Martin Eden”.

    Il make up ha un ruolo cruciale nel cinema, eppure i riconoscimenti per i mestieri di questo settore hanno tardato ad arrivare, se pensiamo che solo nel 1982 gli Academy Awards hanno assegnato il primo premio per il miglior trucco in un film, a Rick Baker per Un lupo mannaro americano a Londra. E solo nella 85a edizione il premio è diventato Oscar al trucco e all’acconciatura, con la vittoria di Lisa Westcott e Julie Dartnell per Les Misérables. Sulla questione è intervenuto anche lo special effect artist Valter Casotto (Harry Potter, X-Men, Prometheus, Lo Hobbit) che con Martina Sandonà ha fondato Skintxt, un laboratorio di effetti speciali, iper-realismo e make up prostetico: «Il nostro è un lavoro di artigianato e, nelle sue espressioni più elaborate, è diventato un mestiere molto complesso, che si è evoluto come si sono evolute le cineprese, le luci e le ottiche. La sfida più grande per noi è continuare a lavorare in Italia con produzioni italiane. Il paradigma, dopo Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, è sicuramente cambiato. Si è capito che questa tipologia di prodotti può nascere e crescere nel nostro territorio. Ma serve più coraggio e sono convinto che, anche se lentamente, siamo sulla strada giusta per produrre film con respiro internazionale». Qualcosa sta iniziando a cambiare e anche grandi make up e hair designer come Esmé Sciaroni e Massimo Gattabrusi vedono sempre più riconosciuto il proprio lavoro: sono diventati entrambi membri dell’Academy con diritto di voto agli Oscar. Il lavoro compiuto da Gattabrusi per Challengers di Luca Guadagnino è stato a dir poco meticoloso. «I primi sketch danno il via all’interpretazione del personaggio, che poi viene seguita da dettagliate ricerche fotografiche e pittoriche su ogni dettaglio. Lo studio e le prove poi proseguono con gli attori. In Challengers i protagonisti sono raccontati lungo un periodo di tempo di circa dieci anni e comunque rimangono giovani: è stato molto difficile raccontarne il carattere e l’evoluzione senza ingannare il pubblico». La lunga treccia di Tashi (Zendaya) le dà sul campo un’aria da guerriera, al college i lunghi capelli sciolti ne sottolineano la sensualità, ma nel momento in cui l’energia del personaggio cambia e la ritroviamo più adulta e madre, i capelli diventano corti e chiari, grazie alla parrucche. «La parrucca – spiega Gattabrusi – è uno strumento importante, quasi diabolico. È una fonte d’espressione dell’interiorità, dell’animo del personaggio, e questo consente all’attore di mettersi in contatto viscerale con chi andrà a interpretare. La mia è una visione un po’ da sciamano, credo che le parrucche abbiano un effetto potentissimo e ci lavoro in modo istintivo, quasi esclusivamente con parrucche di capelli umani, che portano con se autenticità e magia allo stesso tempo».

    Zendaya in Challengers
    Zendaya in “Challengers”: make up and hair designer Massimo Gattabrusi.

    Oggi più che mail il make up nel settore cinematografico è un’arte sofisticata che combina AI, CGI e creatività. La CGI, al fianco degli artisti degli effetti speciali, ha ringiovanito Robert De Niro in The Irishman, ha trasformato Mark Ruffalo in Hulk e Andy Serkis in Gollum, per citare solo tre delle trasformazioni più celebri del cinema del XXI secolo. La velocità con il quale il cinema si è evoluto ha messo i professionisti del settore davanti a nuove sfide, come ci racconta Dalia Colli, make up designer e storica collaboratrice di Matteo Garrone: «La mia avventura è iniziata quando ancora si girava in pellicola e vedevi partire un addetto della produzione che portava le “pizze” alla stampa. Sembra una vita fa, ma in realtà sono passati meno di vent’anni. L’arrivo del supporto digitale ha rivoluzionato il nostro lavoro. I materiali che usavamo erano i classici fondotinta in crema, coprenti e materici che stendevi accuratamente con spugnetta e pennello. Poi tutto è cambiato, ricordo perfettamente il mio primo film girato in digitale dove spesso quello che realizzavo risultava diverso nel monitor, i colori che usavo si saturavano in modo diverso e la luce reagiva incontrollatamente». Le nuove tecnologie per Colli sono ormai parte integrante del quotidiano e anche se l’AI non potrà mai soppiantare le idee e l’artigianalità, potrà rivelarsi utile: «Devo ammettere che per alcune cose l’apporto di queste tecnologie accorcia molto i tempi di realizzazione, per esempio nell’esecuzione dei bozzetti. Bisogna però stare attenti quando proponiamo un concept digitale alla visione del regista per la creazione di un personaggio. Non bisogna mai perdere di vista quelli che sono i soggetti nella loro fisionomia, nella morfologia del volto coi suoi volumi reali. Dove c’è un grosso volume come un naso, non potrà mai esserci un incavo, e se devi creare una protesi che annulli quel naso, si dovrà per forza ricorrere alla CGI, per lo meno correttiva, perché mica lo puoi tagliare via! Mi viene in mente il personaggio di Voldemort, truccato dal grande Marc Coulier, che per lui creò una maschera totale che annullava il volume del naso dell’attore Ralph Fiennes, alterando tutti gli altri suoi volumi. Di certo il genio di Marc, col quale ho avuto l’onore di collaborare sul Pinocchio di Garrone e condividerci un David, riesce con la sua artigianalità a creare l’impossibile, ma un ritocchino in CGI rende tutto più perfetto!»

    Con il successo dei biopic e delle storie vere, la critica si è chiesta spesso se l’attore perde qualcosa quando la star è la “maschera”, dovendo rassomigliare il più possibile a un personaggio storico o famoso. Ma recitare presuppone diventare altro da sé, quindi si può dire che l’immedesimazione estrema è un problema solo se fatta male. Uno dei biopic musicali più riusciti degli ultimi anni è Elvis di Baz Luhrmann con protagonista Austin Butler. Era chiara fin da subito la somiglianza fra i due, tuttavia Butler non si è limitato a ricalcare la similitudine fisica con la rockstar, ma ha lavorato per mesi sulla tonalità e l’espressività della voce. In ogni caso ricreare l’aspetto iconico di un divo non è semplice: Aldo Signoretti è il fedele make up and hair artist, collaboratore di Baz Luhrmann dai tempi di Moulin Rouge, che riportato in vita Elvis. Quando gli ho chiesto come si fanno i conti con una figura così famosa, ha risposto: «Nel corso della mia carriera ho riportato in vita molti personaggi celebri, da Giulio Cesare ai Borgia e Napoleone. Dare un aspetto fisico e una somiglianza è fondamentale, un’icona è un’icona perché è riconoscibile a livello d’immagine». Il lavoro preparatorio in casi come Elvis consiste in una lunga ricerca iconografica e soprattutto di confronto con il regista. L’aspetto fondamentale del lavoro, precisa Signoretti, resta però la passione. Può sembrare banale ma, quando è così vibrante, non lo è affatto: «Faccio il lavoro più bello del mondo, mi ha consentito di conoscere nuove culture, mi ha portato dove non sarei mai andato e di questo sono molto grato. Ma chi si avvicina a questo mestiere deve amarlo, non è solamente viaggiare, fare soldi o conoscere le star. Bisogna farlo con amore, passione e attenzione. Imparare e guardare, io ho sempre rubato nella vita, quando mi chiedevano che fai nella vita io rispondevo “faccio il ladro”, perché guardavo, rifacevo e riproducevo, riproponevo. Serve grande curiosità».